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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE/Concentrazioni e settore automotive – La Commissione europea avvia la fase II per un’indagine approfondita sulla fusione FCA-PSA
Lo scorso 17 giugno la Commissione europea (Commissione) ha annunciato di aver avviato un’indagine approfondita (cd. Fase II) per valutare se la fusione dei gruppi automobilistici Fiat Chrysler Automobiles N.V. (FCA) e Peugeot S.A. (PSA) comporterà una riduzione significativa della concorrenza.
In particolare, la Commissione intende accertare le eventuali criticità sollevate dall’operazione con riguardo ai veicoli commerciali leggeri, i c.d. van di massa non superiore alle 3,5 tonnellate, in 14 Stati membri dell’Unione europea e nel Regno Unito, ossia la tipologia di veicoli che la Commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager ha descritto come “…in crescita e sempre più importante in un’economia digitale in cui i consumatori si affidano più che mai ai servizi di consegna”.
L’operazione in questione, che, per quanto qui rileva, riunirà i brand Fiat, Chrysler, Peugeot, Citroën e Opel (solo per citare alcuni dei marchi in portafoglio) e porterà alla creazione del quarto gruppo automobilistico a livello mondiale, è stata notificata alla Commissione l’8 maggio 2020. Secondo quanto riportato, PSA e FCA hanno deciso di non presentare alcun impegno fino ad ora (i.e. durante la cd. Fase I di valutazione della concentrazione).
In particolare, la Commissione teme che l’operazione possa comportare una riduzione significativa della concorrenza per alcune tipologie di veicoli commerciali leggeri in Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Lituania, Lussemburgo, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Regno Unito. In molti di questi paesi, PSA e FCA si sarebbero storicamente contese il mercato dei veicoli commerciali leggeri, offrendo i van a prezzi simili. La fusione tra le due case automobilistiche comporterebbe quindi – ad avviso della Commissione – la scomparsa di un diretto concorrente, riunendo in un unico soggetto elevate quote di mercato (secondo dati pubblici, in alcuni casi pari o al di sopra del 35%), insieme ad un’ampia gamma di marchi e modelli di diverse dimensioni. La Commissione ha sottolineato, inoltre, che attualmente i concorrenti sono significativamente più piccoli dell'entità risultante dall’operazione e che l’ingresso futuro di nuovi operatori di dimensioni significative appare improbabile, alla luce di notevoli barriere all’ingresso e all’espansione (ad es. la necessità di disporre di un service network).
L'obiettivo, confermato di recente dalle due case automobilistiche, sarebbe quello di perfezionare l’operazione entro il primo trimestre del 2021 ma è evidente che tutto dipenderà dalla posizione della Commissione e dagli impegni che PSA e FCA saranno eventualmente disponibili a proporre ai fini del via libera alla concentrazione. Sarà altresì interessante osservare l’impatto della recente, fondamentale sentenza del Tribunale che ha annullato il precedente divieto della Commissione alla operazione H3G UK/Telefónica UK sull’analisi di Bruxelles in questa operazione, in particolare con riguardo alle valutazioni sul fatto che le parti siano o meno (ed in che misura) “closest competitors”.
In particolare, la Commissione intende accertare le eventuali criticità sollevate dall’operazione con riguardo ai veicoli commerciali leggeri, i c.d. van di massa non superiore alle 3,5 tonnellate, in 14 Stati membri dell’Unione europea e nel Regno Unito, ossia la tipologia di veicoli che la Commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager ha descritto come “…in crescita e sempre più importante in un’economia digitale in cui i consumatori si affidano più che mai ai servizi di consegna”.
L’operazione in questione, che, per quanto qui rileva, riunirà i brand Fiat, Chrysler, Peugeot, Citroën e Opel (solo per citare alcuni dei marchi in portafoglio) e porterà alla creazione del quarto gruppo automobilistico a livello mondiale, è stata notificata alla Commissione l’8 maggio 2020. Secondo quanto riportato, PSA e FCA hanno deciso di non presentare alcun impegno fino ad ora (i.e. durante la cd. Fase I di valutazione della concentrazione).
In particolare, la Commissione teme che l’operazione possa comportare una riduzione significativa della concorrenza per alcune tipologie di veicoli commerciali leggeri in Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Lituania, Lussemburgo, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Regno Unito. In molti di questi paesi, PSA e FCA si sarebbero storicamente contese il mercato dei veicoli commerciali leggeri, offrendo i van a prezzi simili. La fusione tra le due case automobilistiche comporterebbe quindi – ad avviso della Commissione – la scomparsa di un diretto concorrente, riunendo in un unico soggetto elevate quote di mercato (secondo dati pubblici, in alcuni casi pari o al di sopra del 35%), insieme ad un’ampia gamma di marchi e modelli di diverse dimensioni. La Commissione ha sottolineato, inoltre, che attualmente i concorrenti sono significativamente più piccoli dell'entità risultante dall’operazione e che l’ingresso futuro di nuovi operatori di dimensioni significative appare improbabile, alla luce di notevoli barriere all’ingresso e all’espansione (ad es. la necessità di disporre di un service network).
L'obiettivo, confermato di recente dalle due case automobilistiche, sarebbe quello di perfezionare l’operazione entro il primo trimestre del 2021 ma è evidente che tutto dipenderà dalla posizione della Commissione e dagli impegni che PSA e FCA saranno eventualmente disponibili a proporre ai fini del via libera alla concentrazione. Sarà altresì interessante osservare l’impatto della recente, fondamentale sentenza del Tribunale che ha annullato il precedente divieto della Commissione alla operazione H3G UK/Telefónica UK sull’analisi di Bruxelles in questa operazione, in particolare con riguardo alle valutazioni sul fatto che le parti siano o meno (ed in che misura) “closest competitors”.
Luigi Eduardo Bisogno
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Antitrust e servizi di app per smartphone – La Commissione europea ha avviato due indagini nei confronti di Apple concernenti Apple Pay e le regole interne al suo App Store
Con due distinti press release dello scorso 16 giugno, la Commissione europea (Commissione) ha comunicato l’avvio di due indagini nei confronti di Apple Inc. (Apple), volte a determinare la sussistenza di altrettante condotte potenzialmente lesive del diritto della concorrenza europeo da questa poste in essere e riguardanti: (i) il sistema di pagamento denominato Apple Pay; e (ii) le regole che governano la distribuzione agli utenti di app attraverso il portale App Store.
Apple Pay è il sistema di proprietà di Apple volto a permettere il pagamento tramite dispositivi mobili (iPhone e iPad) e la tecnologia contactless sulle app, sui siti web e nei negozi fisici. Tali sistemi di pagamento – ha sottolineato la Commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager – stanno acquisendo una sempre crescente importanza nella società, grazie anche al maggior apprezzamento da parte dei consumatori. Da tutto ciò sembra essere derivato l’interessamento da parte della Commissione, non solo nei confronti di Apple Pay in sé ma anche e soprattutto sui rapporti posti in essere da Apple con i professionisti terzi che vogliono usufruire di tale tecnologia. Sul punto, la Commissione ha espresso le proprie preoccupazioni relativamente: a) alle misure, nonché ai termini e condizioni, imposte da Apple ai professionisti affinché tale sistema di pagamento possa essere integrato sulle app di loro proprietà, sui siti web, nonché sui dispositivi (i quali devono necessariamente avere i sistemi operativi iOS e iPadOS di Apple) usati per il pagamento contactless; e b) al fatto che Apple Pay sia – al momento – l’unico sistema di pagamento che possa accedere alla tecnologia Apple Near Field Communication (NFC) denominata “tap & go” integrata negli iPhone e iPad per i pagamenti nei negozi.
Con la propria indagine la Commissione vuole accertare se le misure imposte da Apple sono idonee a falsare le normali dinamiche concorrenziali nel mercato e, così, ridurre l’innovazione e le possibilità di scelta a beneficio del consumatore, anche mediante la presunta esistenza di restrizioni di accesso ad Apple Pay da parte di prodotti concorrenti su dispositivi mobili integrati con sistemi operativi iOS e iPadOS. La Commissione, in altre parole, intende accertare se le misure imposte da Apple impediscano al consumatore di avere a propria disposizione una molteplicità di tecnologie di pagamento tra loro differenti, potendo così usufruire di una maggiore possibilità di scelta ed in ultima analisi di una maggiore qualità.
App Store, a sua volta, è l’unico software per i sistemi iOS e iPadOS che permette agli utenti di acquistare e scaricare app disponibili in iTunes sui propri dispositivi Apple. In altre parole, tale ‘store’ rivestirebbe un ruolo di assoluta rilevanza all’interno dei suddetti dispositivi, data l’impossibilità di supportare qualsiasi altro sistema di ‘app distribution’ al loro interno. La Commissione ha quindi reputato opportuno analizzare più da vicino alcune modalità di utilizzo e di accesso a tale piattaforma fissate nei rapporti fra Apple e gli sviluppatori di app che vogliono distribuire i propri prodotti su iPhone e iPad e che devono, pertanto, passare attraverso questo hub di raccolta.
Sul punto, la Commissione – in seguito a due segnalazioni da parte della nota società di streaming musicale ‘Spotify’ e di un anonimo distributore di e-book e audiolibri – vuole meglio comprendere se due clausole imposte da Apple nei propri contratti di utilizzo di App Store hanno una natura restrittiva contraria al diritto antitrust. In particolare, se:
a) l’utilizzo obbligatorio imposto da Apple del proprio sistema di acquisto ‘in-app’ (IAP) per la distribuzione di contenuti digitali a pagamento (ivi inclusa in particolare la commissione del 30% addebitata su tutti gli abbonamenti sottoscritti alle app effettuati tramite IAP); e
b) nonostante Apple consenta agli utenti di consumare contenuti come musica, e-book e audiolibri acquistati altrove (ad es. sul sito web dello sviluppatore dell'app) anche all'interno dei propri servizi in-app installati sui propri dispositivi (ad esempio, è possibile leggere un ebook acquistato su Amazon tramite il supporto in-app Apple denominato ‘Apple Books’), questa, tuttavia – nella ricostruzione preliminare operata dalla Commissione – impedisce agli sviluppatori di informare i propri utenti circa la possibilità di acquisto alternative dell’app interessata (il più delle volte, economicamente vantaggiose) rispetto ad App Store.
Non è la prima volta che la Commissione rivolge il proprio sguardo ad Apple al fine di analizzarne i comportamenti alla luce dei principi del diritto antitrust. Data anche la complessità tecnica della materia oggetto d’esame, si presume che le due indagini richiederanno molto tempo prima di poter addivenire ad una decisione da parte della Commissione, in mercati peraltro esposti a grande e continua innovazione grazie proprio a Apple.
Luca Feltrin
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Apple Pay è il sistema di proprietà di Apple volto a permettere il pagamento tramite dispositivi mobili (iPhone e iPad) e la tecnologia contactless sulle app, sui siti web e nei negozi fisici. Tali sistemi di pagamento – ha sottolineato la Commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager – stanno acquisendo una sempre crescente importanza nella società, grazie anche al maggior apprezzamento da parte dei consumatori. Da tutto ciò sembra essere derivato l’interessamento da parte della Commissione, non solo nei confronti di Apple Pay in sé ma anche e soprattutto sui rapporti posti in essere da Apple con i professionisti terzi che vogliono usufruire di tale tecnologia. Sul punto, la Commissione ha espresso le proprie preoccupazioni relativamente: a) alle misure, nonché ai termini e condizioni, imposte da Apple ai professionisti affinché tale sistema di pagamento possa essere integrato sulle app di loro proprietà, sui siti web, nonché sui dispositivi (i quali devono necessariamente avere i sistemi operativi iOS e iPadOS di Apple) usati per il pagamento contactless; e b) al fatto che Apple Pay sia – al momento – l’unico sistema di pagamento che possa accedere alla tecnologia Apple Near Field Communication (NFC) denominata “tap & go” integrata negli iPhone e iPad per i pagamenti nei negozi.
Con la propria indagine la Commissione vuole accertare se le misure imposte da Apple sono idonee a falsare le normali dinamiche concorrenziali nel mercato e, così, ridurre l’innovazione e le possibilità di scelta a beneficio del consumatore, anche mediante la presunta esistenza di restrizioni di accesso ad Apple Pay da parte di prodotti concorrenti su dispositivi mobili integrati con sistemi operativi iOS e iPadOS. La Commissione, in altre parole, intende accertare se le misure imposte da Apple impediscano al consumatore di avere a propria disposizione una molteplicità di tecnologie di pagamento tra loro differenti, potendo così usufruire di una maggiore possibilità di scelta ed in ultima analisi di una maggiore qualità.
App Store, a sua volta, è l’unico software per i sistemi iOS e iPadOS che permette agli utenti di acquistare e scaricare app disponibili in iTunes sui propri dispositivi Apple. In altre parole, tale ‘store’ rivestirebbe un ruolo di assoluta rilevanza all’interno dei suddetti dispositivi, data l’impossibilità di supportare qualsiasi altro sistema di ‘app distribution’ al loro interno. La Commissione ha quindi reputato opportuno analizzare più da vicino alcune modalità di utilizzo e di accesso a tale piattaforma fissate nei rapporti fra Apple e gli sviluppatori di app che vogliono distribuire i propri prodotti su iPhone e iPad e che devono, pertanto, passare attraverso questo hub di raccolta.
Sul punto, la Commissione – in seguito a due segnalazioni da parte della nota società di streaming musicale ‘Spotify’ e di un anonimo distributore di e-book e audiolibri – vuole meglio comprendere se due clausole imposte da Apple nei propri contratti di utilizzo di App Store hanno una natura restrittiva contraria al diritto antitrust. In particolare, se:
a) l’utilizzo obbligatorio imposto da Apple del proprio sistema di acquisto ‘in-app’ (IAP) per la distribuzione di contenuti digitali a pagamento (ivi inclusa in particolare la commissione del 30% addebitata su tutti gli abbonamenti sottoscritti alle app effettuati tramite IAP); e
b) nonostante Apple consenta agli utenti di consumare contenuti come musica, e-book e audiolibri acquistati altrove (ad es. sul sito web dello sviluppatore dell'app) anche all'interno dei propri servizi in-app installati sui propri dispositivi (ad esempio, è possibile leggere un ebook acquistato su Amazon tramite il supporto in-app Apple denominato ‘Apple Books’), questa, tuttavia – nella ricostruzione preliminare operata dalla Commissione – impedisce agli sviluppatori di informare i propri utenti circa la possibilità di acquisto alternative dell’app interessata (il più delle volte, economicamente vantaggiose) rispetto ad App Store.
Non è la prima volta che la Commissione rivolge il proprio sguardo ad Apple al fine di analizzarne i comportamenti alla luce dei principi del diritto antitrust. Data anche la complessità tecnica della materia oggetto d’esame, si presume che le due indagini richiederanno molto tempo prima di poter addivenire ad una decisione da parte della Commissione, in mercati peraltro esposti a grande e continua innovazione grazie proprio a Apple.
Luca Feltrin
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Diritto della concorrenza e sovvenzioni estere – La Commissione europea adotta un white paper con proposte per affrontare gli effetti distorsivi della concorrenza generati da sovvenzioni di Stati extra-UE
La Commissione europea (Commissione) ha adottato il 17 giugno un white paper che delinea alcune possibili iniziative per affrontare le distorsioni della concorrenza generate dalla concessione di sussidi pubblici da parte di Stati extra-europei (White Paper). Il punto di partenza di questa iniziativa è che se, da un lato, le regole eurounitarie sono deputate ad assicurare condizioni eque alle imprese che operano all’interno dell’UE; tuttavia, restano alcuni gap normativi che permettono agli Stati extra-europei di distorcere i meccanismi concorrenziali del mercato unico, e che il White Paper mira a identificare.
In particolare, la Commissione rileva che, mentre gli Stati membri sono assoggettati alle regole sugli aiuti di Stato per impedire che risorse pubbliche vengano usate per favorire alcune imprese a discapito di altre, tali norme non si applicano agli Stati extra-europei, che sono dunque liberi di attribuire le proprie risorse ad alcune imprese anche ove queste operino nel mercato europeo, con effetti potenzialmente distorsivi della concorrenza. Il regime di controllo sulle importazioni, tramite la politica dei dazi, permette di neutralizzare queste distorsioni laddove i prodotti extra-europei importati nell’Unione da una impresa che ha ricevuto sussidi pubblico sono offerti a un prezzo minore rispetto ai beni europei. Tuttavia, questo sistema non cattura le distorsioni causate dall’offerta di servizi (in luogo di prodotti) resi dall’estero da fornitori che beneficiano di risorse pubbliche, né quelle derivanti da flussi finanziari che facilitano l’acquisizione di imprese UE da parte di imprese estere, né tantomeno le distorsioni derivanti da sussidi diretti da parte di Stati extra-UE a imprese stabilite nel territorio dell’Unione.
Il White Paper illustra alcune possibili soluzioni elaborate dalla Commissione per affrontare queste potenziali distorsioni (i) nel mercato unico in generale; (ii) nell’ambito dell’acquisizione di imprese europee; (iii) nell’ambito delle procedure di appalto pubblico in europa; e, da ultimo, (iv) nella capacità di aggiudicarsi fondi europei.
Rispetto alle distorsioni causate (i) nel mercato unico in generale, la Commissione delinea la possibilità di introdurre un meccanismo secondo cui una autorità all’uopo deputata potrebbe agire in base a qualsiasi indicazione o informazione che indichi che una società nell'UE beneficia di un sussidio estero, imponendo misure rimediali nel caso sia poi accertata l’esistenza di tali sovvenzioni. A gestire tale meccanismo potrebbero essere le Autorità della concorrenza nazionali ovvero la Commissione stessa, secondo diversi possibili gradi di integrazione e coordinamento per assicurare, da un lato, che gli Stati membri mantengano un certo grado di autonomia nell’applicazione del meccanismo in discorso, e, dall’altro, l’efficacia dell’applicazione delle sue regole sull’intero territorio dell’Unione. Per quanto riguarda le misure che potrebbero essere disposte nel caso fosse accertata l’esistenza di un sussidio distorsivo della concorrenza, la Commissione prospetta diverse possibilità: imporre misure comportamentali o financo strutturali, relative alla dismissione di determinati rami d’azienda o di asset; proibire specifici investimenti; imporre la concessione ad altri operatori su base FRAND (fair, reasonable, and non-discriminatory) dell’accesso a risorse acquisite dall’impresa beneficiaria del sussidio; o addirittura pagamenti riparatori all’Unione o agli Stati membri.
Per quanto riguarda (ii) l’acquisizione di imprese europee, va ricordato che il regime antitrust di controllo delle concentrazioni attualmente in vigore non tiene conto della possibilità che l’impresa acquirente abbia o meno beneficiato di sussidi pubblici. La soluzione proposta dalla Commissione peraltro non si inserisce all’interno di tale regime, ma piuttosto sarebbe quella di richiedere alle acquirenti che ricevono supporto finanziario – in termini generali o anche con il fine precipuo di facilitare l’acquisizione – una separata notifica preventiva (ma non sospensiva) dell’operazione. Anche in questo caso l’autorità deputata alla gestione del nuovo meccanismo (che la Commissione identifica, per quanto riguarda questo ambito, in sé stessa) avrebbe facoltà di indagare sull’effetto che l’eventuale sussidio ha avuto sull’acquisizione, facilitando l’acquirente rispetto ad altre imprese tramite supporto finanziario, eventualmente imponendo dei rimedi o vietando l’operazione.
Il terzo ramo della proposta è orientato (iii) a ridurre la capacità di sussidi esteri di favorire una società nell’aggiudicarsi un contratto pubblico nell’ambito di una gara di appalto, per esempio permettendo all’impresa in questione di offrire i propri servizi a un prezzo minore. Secondo la proposta della Commissione, l’offerente dovrebbe informare l’autorità contraente dei contributi finanziari ricevuti da Stati extra-europei, e sarebbe l’autorità contraente, autonomamente o con l’aiuto di una autorità a ciò preposta, a valutare se il sussidio abbia conferito un indebito vantaggio all’offerente, che sarebbe in tal caso escluso dalla procedura.
Da ultimo, (iv) il White Paper esamina la capacità di sussidi esteri di mettere alcune imprese in una migliore condizione per l’ottenimento di fondi pubblici europei, proponendo anche in questo ambito un meccanismo di valutazione delle reali conseguenze che tali eventuali sussidi abbiano avuto a questo riguardo.
La Commissione ha contestualmente avviato una consultazione, aperta sino al 23 settembre 2020, per raccogliere le opinioni degli stakeholder che intende tenere in considerazione per l’eventuale formulazione di proposte legislative in merito.
Il White Paper riflette – e risponde a – un contesto politico che sempre in maggior misura mette in discussione, politicizzando, fini e confini del controllo delle concentrazioni. Il recente divieto della concentrazione Siemens/Alstom e il dibattito che ha circondato tale decisione hanno evidenziato la crescente insistenza di diversi Stati membri per attuare una politica della concorrenza che tenga conto del fatto che il level playing field assicurato alle imprese europee non vada a discapito degli operatori UE e della possibilità stessa che possano formarsi dei “campioni europei” più competitivi su mercati sempre più globali. La proposta, sostanzialmente, di istituire un regime separato per affrontare il problema dei sussidi extra-UE potrebbe essere un modo per disinnescare le istanze della politica di appropriazione del regime antitrust di merger control, conservando l’impostazione della Commissione di gestire quest’ultimo secondo criteri tecnici e non politici. Il successo di simili iniziative dipenderà dall’abilità della Commissione di formulare, e quindi attuare, tali politiche contenendo i costi amministrativi e di transazione che imporrà alle imprese e alle istituzioni: una sfida che appare in prima battuta davvero complessa, considerando ad es. le difficoltà che potrebbero sorgere nell’acquisizione di informazioni circa le modalità dirette o indirette con cui le imprese straniere possono aver ricevuto sussidi o altri benefici dalle proprie nazioni, o su come tali aiuti incidano o meno anche sulle attività svolte dalle stesse imprese in settori completamente distinti da quelli in cui siano sussidiate.
Riccardo Fadiga
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In particolare, la Commissione rileva che, mentre gli Stati membri sono assoggettati alle regole sugli aiuti di Stato per impedire che risorse pubbliche vengano usate per favorire alcune imprese a discapito di altre, tali norme non si applicano agli Stati extra-europei, che sono dunque liberi di attribuire le proprie risorse ad alcune imprese anche ove queste operino nel mercato europeo, con effetti potenzialmente distorsivi della concorrenza. Il regime di controllo sulle importazioni, tramite la politica dei dazi, permette di neutralizzare queste distorsioni laddove i prodotti extra-europei importati nell’Unione da una impresa che ha ricevuto sussidi pubblico sono offerti a un prezzo minore rispetto ai beni europei. Tuttavia, questo sistema non cattura le distorsioni causate dall’offerta di servizi (in luogo di prodotti) resi dall’estero da fornitori che beneficiano di risorse pubbliche, né quelle derivanti da flussi finanziari che facilitano l’acquisizione di imprese UE da parte di imprese estere, né tantomeno le distorsioni derivanti da sussidi diretti da parte di Stati extra-UE a imprese stabilite nel territorio dell’Unione.
Il White Paper illustra alcune possibili soluzioni elaborate dalla Commissione per affrontare queste potenziali distorsioni (i) nel mercato unico in generale; (ii) nell’ambito dell’acquisizione di imprese europee; (iii) nell’ambito delle procedure di appalto pubblico in europa; e, da ultimo, (iv) nella capacità di aggiudicarsi fondi europei.
Rispetto alle distorsioni causate (i) nel mercato unico in generale, la Commissione delinea la possibilità di introdurre un meccanismo secondo cui una autorità all’uopo deputata potrebbe agire in base a qualsiasi indicazione o informazione che indichi che una società nell'UE beneficia di un sussidio estero, imponendo misure rimediali nel caso sia poi accertata l’esistenza di tali sovvenzioni. A gestire tale meccanismo potrebbero essere le Autorità della concorrenza nazionali ovvero la Commissione stessa, secondo diversi possibili gradi di integrazione e coordinamento per assicurare, da un lato, che gli Stati membri mantengano un certo grado di autonomia nell’applicazione del meccanismo in discorso, e, dall’altro, l’efficacia dell’applicazione delle sue regole sull’intero territorio dell’Unione. Per quanto riguarda le misure che potrebbero essere disposte nel caso fosse accertata l’esistenza di un sussidio distorsivo della concorrenza, la Commissione prospetta diverse possibilità: imporre misure comportamentali o financo strutturali, relative alla dismissione di determinati rami d’azienda o di asset; proibire specifici investimenti; imporre la concessione ad altri operatori su base FRAND (fair, reasonable, and non-discriminatory) dell’accesso a risorse acquisite dall’impresa beneficiaria del sussidio; o addirittura pagamenti riparatori all’Unione o agli Stati membri.
Per quanto riguarda (ii) l’acquisizione di imprese europee, va ricordato che il regime antitrust di controllo delle concentrazioni attualmente in vigore non tiene conto della possibilità che l’impresa acquirente abbia o meno beneficiato di sussidi pubblici. La soluzione proposta dalla Commissione peraltro non si inserisce all’interno di tale regime, ma piuttosto sarebbe quella di richiedere alle acquirenti che ricevono supporto finanziario – in termini generali o anche con il fine precipuo di facilitare l’acquisizione – una separata notifica preventiva (ma non sospensiva) dell’operazione. Anche in questo caso l’autorità deputata alla gestione del nuovo meccanismo (che la Commissione identifica, per quanto riguarda questo ambito, in sé stessa) avrebbe facoltà di indagare sull’effetto che l’eventuale sussidio ha avuto sull’acquisizione, facilitando l’acquirente rispetto ad altre imprese tramite supporto finanziario, eventualmente imponendo dei rimedi o vietando l’operazione.
Il terzo ramo della proposta è orientato (iii) a ridurre la capacità di sussidi esteri di favorire una società nell’aggiudicarsi un contratto pubblico nell’ambito di una gara di appalto, per esempio permettendo all’impresa in questione di offrire i propri servizi a un prezzo minore. Secondo la proposta della Commissione, l’offerente dovrebbe informare l’autorità contraente dei contributi finanziari ricevuti da Stati extra-europei, e sarebbe l’autorità contraente, autonomamente o con l’aiuto di una autorità a ciò preposta, a valutare se il sussidio abbia conferito un indebito vantaggio all’offerente, che sarebbe in tal caso escluso dalla procedura.
Da ultimo, (iv) il White Paper esamina la capacità di sussidi esteri di mettere alcune imprese in una migliore condizione per l’ottenimento di fondi pubblici europei, proponendo anche in questo ambito un meccanismo di valutazione delle reali conseguenze che tali eventuali sussidi abbiano avuto a questo riguardo.
La Commissione ha contestualmente avviato una consultazione, aperta sino al 23 settembre 2020, per raccogliere le opinioni degli stakeholder che intende tenere in considerazione per l’eventuale formulazione di proposte legislative in merito.
Il White Paper riflette – e risponde a – un contesto politico che sempre in maggior misura mette in discussione, politicizzando, fini e confini del controllo delle concentrazioni. Il recente divieto della concentrazione Siemens/Alstom e il dibattito che ha circondato tale decisione hanno evidenziato la crescente insistenza di diversi Stati membri per attuare una politica della concorrenza che tenga conto del fatto che il level playing field assicurato alle imprese europee non vada a discapito degli operatori UE e della possibilità stessa che possano formarsi dei “campioni europei” più competitivi su mercati sempre più globali. La proposta, sostanzialmente, di istituire un regime separato per affrontare il problema dei sussidi extra-UE potrebbe essere un modo per disinnescare le istanze della politica di appropriazione del regime antitrust di merger control, conservando l’impostazione della Commissione di gestire quest’ultimo secondo criteri tecnici e non politici. Il successo di simili iniziative dipenderà dall’abilità della Commissione di formulare, e quindi attuare, tali politiche contenendo i costi amministrativi e di transazione che imporrà alle imprese e alle istituzioni: una sfida che appare in prima battuta davvero complessa, considerando ad es. le difficoltà che potrebbero sorgere nell’acquisizione di informazioni circa le modalità dirette o indirette con cui le imprese straniere possono aver ricevuto sussidi o altri benefici dalle proprie nazioni, o su come tali aiuti incidano o meno anche sulle attività svolte dalle stesse imprese in settori completamente distinti da quelli in cui siano sussidiate.
Riccardo Fadiga
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