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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato e settore delle assicurazioni sanitarie – La Corte di Giustizia sancisce che gli organismi di assicurazione sanitaria dello Stato slovacco non sono soggetti alle norme UE in materia di aiuti di Stato

Lo scorso 11 giugno, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG) si è pronunciata nell’ambito dell’impugnazione proposta dalla Commissione europea (Commissione) e la Slovacchia avverso la sentenza del Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) che aveva annullato la decisione con cui la Commissione aveva escluso che alcune misure concesse dalla Slovacchia ai due organismi di assicurazione sanitaria Spoločná zdravotná poisťovňa, a.s. (SZP) e Všeobecná zdravotná poisťovňa, a.s. (VšZP) costituissero aiuti di Stato, dal momento che l’attività da esse svolta non poteva essere considerata di “natura economica”.

A seguito di una segnalazione presentata nel 2007 dalla compagnia assicurativa Dôvera, la Commissione aveva avviato un’indagine in merito a possibili aiuti di Stato concessi dalla Slovacchia a SZP e VšZP. La Commissione, tuttavia, aveva successivamente concluso che SZP e VšZP non fossero imprese, ai sensi dell’art. 107, paragrafo 1, TFUE, in quanto l’attività da esse svolta non era di natura economica e, pertanto, le misure in parola non costituivano aiuti di Stato. In particolare, la Commissione evidenziava che il regime di assicurazione sanitaria obbligatorio slovacco era caratterizzato da rilevanti elementi sociali, solidali e normativi.

Il ricorso presentato da Dôvera avverso tale decisione era tuttavia stato accolto da Tribunale, il quale aveva ritenuto che la Commissione non avesse applicato correttamente le nozioni di “impresa”, ai sensi dell’art. 107, paragrafo 1, TFUE, e di “attività economica” a SZP e VšZP. Il Tribunale, sebbene considerasse fondata la valutazione della Commissione secondo cui il regime di assicurazione sanitaria slovacco presentava rilevanti elementi sociali, solidali e normativi, aveva rilevato che l’attività degli organismi assicurativi potesse essere considerata di “natura economica”, in virtù (i) della loro facoltà di realizzare, utilizzare e distribuire utili e (ii) dell’esistenza di una certa concorrenza sulla qualità e sull’entità dell’offerta, quale la possibilità per gli organismi assicurativi di offrire agli assicurati prestazioni complementari a titolo gratuito.

In secondo grado, la CdG, annullando la sentenza del Tribunale, ha invece ribadito, in linea con la precedente giurisprudenza, che al fine di valutare se un’attività svolta nell’ambito di un regime di previdenza sociale sia priva di carattere economico, è necessario effettuare una valutazione globale che prenda in considerazione se e in quale misura si possa considerare che il regime di cui trattasi attui il principio di solidarietà e se l’attività degli organismi assicurativi che gestiscono un tale regime sia soggetta al controllo dello Stato. In particolare il carattere di solidarietà emergeva da: (i) l’obbligatorietà dell’iscrizione all’assicurazione per tutti i residenti; (ii) contributi fissati dalla legge in proporzione al reddito degli assicurati e non al rischio che rappresentano, a causa della loro età o stato di salute; (iii) le prestazioni obbligatorie fissate dalla legge sono identiche per tutti gli assicurati, indipendentemente dall’importo dei contributi versati da ciascuno di essi; e (iv) un meccanismo di perequazione dei costi e dei rischi.

Con specifico riguardo alla valutazione del Tribunale, la CdG ha osservato che la possibilità di cercare di realizzare utili fosse regolamentata dalla legge e non potesse essere considerata un elemento atto ad inficiare il carattere sociale e solidale che discende dalla natura stessa delle attività di cui trattasi. Inoltre, l’introduzione di un elemento di concorrenza che mirava a incentivare gli operatori ad esercitare la loro attività secondo i principi di buona gestione non modificava la natura sociale e solidale di tale regime. La CdG ha, pertanto, stabilito che la Commissione avesse avuto ragione a ritenere che l’attività della VšZP e della SZP non fosse di natura economica e che, conseguentemente, siffatti organismi non potessero essere qualificati come imprese ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

La sentenza in esame, ripercorrendo la giurisprudenza sul punto e applicandola al caso di specie, fornisce indicazioni utili per l’individuazione della natura economica o meno di attività con un preponderante obiettivo sociale e solidale, costituendo quindi un importante punto di riferimento giurisprudenziale.

Luigi Eduardo Bisogno
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Diritto della concorrenza Italia / Revisione degli impegni e infrastrutture passive di telecomunicazione – L’AGCM avvia un procedimento per la revisione degli impegni disposti nell’operazione Elettronica Industriale/DMT

Con il provvedimento n. 28242/2020, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato un procedimento (il Procedimento) per verificare l’opportunità di mantenere, modificare o revocare le misure (gli Impegni) che erano state imposte nel procedimento C11205, concluso a dicembre 2011, all’esito del quale Elettronica Industriale (all’epoca, parte del gruppo Mediaset) aveva acquisito Digital Multimedia Technologies (DMT), il principale degli operatori indipendenti (non captive) presenti nel mercato dell’ospitalità di infrastrutture passive televisive.

In sostanza, gli Impegni erano volti a garantire a tutti gli operatori televisivi nazionali operanti su frequenze terrestri digitali l’accesso alle infrastrutture di DMT a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie (con la pubblicazione del listino dei prezzi per l’accesso e l’indicazione dettagliata delle singole voci di costo; nonché un sistema di tracciabilità e conservazione delle richieste di accesso) per evitare ogni possibile effetto di foreclosure (sia sotto il profilo orizzontale, sia sotto quello verticale).

Il contesto di mercato in relazione al quale il Procedimento si propone di intercettare eventuali sviluppi ed evoluzioni è stato successivamente interessato da alcune operazioni di concentrazione che si sono concluse negli ultimi anni, che non solo non hanno intaccato il potere di mercato di EI Towers S.p.A. (EIT) - ora controllata da F2i S.G.R. S.p.A. (f2i), ma storicamente parte del gruppo Mediaset, che continua a detenere una partecipazione di minoranza del 40%, oltre che avere in Mediaset di gran lunga il suo principale cliente - sul mercato delle infrastrutture per la radiodiffusione televisiva nazionale, ma, potenzialmente, l’hanno aumentato; da un lato, appunto, l’acquisizione, da parte di f2i del controllo esclusivo di EI Towers S.p.A. (sebbene, come detto, con un ruolo al limite del controllo congiunto di Mediaset); dall’altro, l’acquisizione da parte della stessa f2i di Persidera S.p.A., società attiva sia nel mercato a monte dell’offerta della capacità di broadcasting, sia, a valle, nel mercato delle infrastrutture passive.

Sino ad oggi, in tutte le operazioni sopra menzionate, l’AGCM ha ritenuto opportuno mantenere gli Impegni, riconoscendo che se un’evoluzione del mercato c’è stata, non si è avuta una riduzione del potere di mercato di EIT. Le parti istanti ed i soggetti terzi hanno tempo per proporre le proprie argomentazioni nel corso del Procedimento, che dovrà concludersi entro il 30 settembre 2020.

Filippo Alberti
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Attività consultiva e diritti d’uso delle frequenze di telecomunicazione – L’AGCM suggerisce l’adozione di una normativa volta a garantire la concorrenza nella prassi di proroga dei diritti d’uso delle frequenze di telecomunicazioni

Con la comunicazione del 27 maggio scorso (la Comunicazione) – pubblicata in data 8 giugno 2020 – l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha inteso riportare al Ministero dello Sviluppo Economico (il Ministero) e all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom) le proprie osservazioni relativamente agli importanti effetti concorrenziali che la prassi della proroga dei diritti d’uso delle frequenze di telecomunicazioni – prevista dal dettato normativo dell’articolo 25, comma 6, del decreto legislativo n. 259 del 1 agosto 2003 (Codice delle Comunicazioni Elettroniche) – è in grado di generare all’interno del mercato delle comunicazioni mobili.

La Comunicazione non rappresenta una novità. L’AGCM, infatti, ha espresso il proprio parere al riguardo già in altre occasioni, sottolineando come il meccanismo di allocazione di frequenze di telecomunicazioni (le Frequenze) debba essere improntato ai principi di concorrenza, trasparenza e non discriminazione. In particolare, con due distinte comunicazioni inviate in merito agli esiti dell’asta di assegnazione delle frequenze 5G (AS1493 del 22 marzo 2018; e AS1544 del 15 novembre 2018) e con il parere emesso in relazione al trasferimento di alcune Frequenze dalla società Aria S.p.A. a Fastweb S.p.A. (parere S3407 del 2 novembre 2018), l’AGCM ha enfatizzato l’importanza di un adeguato bilanciamento tra il ricorso a proroghe dei diritti d’uso delle Frequenze (le quali devono essere motivate e presentare adeguate limitazioni) e l’assegnazione delle stesse. Con le comunicazioni in esame, in particolare, l’AGCM ha proposto l’istituzione di ‘speciali riserve’ per gli operatori cc.dd. new entrant nel mercato nell’assegnazione di nuove Frequenze (soprattutto nelle bande inferiori a 1 Ghz, essenziali nella creazione di una rete frequenziale con un’adeguata copertura). Inoltre, l’AGCM ha anche indicato come le proroghe debbano essere non solo motivate e definite con certezza ma anche accompagnate da limitazioni (come, ad esempio, obblighi di copertura o divieti di cessione del diritto d’uso per un determinato periodo iniziale).

Con la Comunicazione oggetto del presente commento, l’AGCM ha sottolineato come la gestione di tali Frequenze – qualificabili come ‘risorsa scarsa’ – rappresenti un elemento focale per qualsiasi politica pubblica volta all’innovazione delle infrastrutture di telecomunicazioni in Italia. Nonostante la Comunicazione riporti che il quadro normativo esistente (ricomprendente non solo il succitato articolo 25, comma 6, del Codice delle Comunicazioni Elettroniche ma anche la Direttiva n. 1972 del 2018) sia attualmente volto a promuovere una situazione di certezza al fine di promuovere gli investimenti (tramite la definizione di una tempistica certa sui diritti d’uso e con l’indicazione di una loro possibile proroga, secondo principi di trasparenza, efficienza e non discriminazione), l’AGCM preme nel garantire che i principi indicati assicurino un reale bilanciamento tra la durata dell’assegnazione di tali diritti (la quale deve ricoprire un periodo di tempo congruo a garantire un ritorno degli investimenti che l’operatore si è impegnato ad effettuare, i.e. 20 anni, più possibilità di proroga di 15 anni) e la necessità di evitare la creazione di barriere all’entrata nel mercato rilevante.

A tal riguardo, infatti, nella Comunicazione si indica, con particolare enfasi, la necessità che le autorità (governative e non) preposte al controllo e allo sviluppo di suddetto mercato si applichino al fine di configurare e, quindi, adottare una normativa nazionale volta a permettere un’allocazione delle suddette Frequenze – in particolare, a banda larga e ultra-larga (pertanto da 900 e 1200 Mhz) – caratterizzata dal rispetto del gioco concorrenziale e improntata a garantire il raggiungimento di obbiettivi di efficienza ed innovazione, a beneficio – in ultimo – dei consumatori. In altre parole, l’AGCM auspica che l’Italia adotti – nel prossimo futuro – un progetto di revisione normativa volto a favorire, in primis, la competizione tra gli operatori esistenti e possibili nuovi entranti; e, in secondo luogo, gli investimenti privati da parte degli operatori mobili.

A sostegno di ciò, infatti, l’AGCM riporta come gli operatori storici abbiano fruito, negli anni passati, di svariate proroghe dei suddetti diritti d’uso, così impedendo una reale pressione concorrenziale da parte di soggetti terzi. Un contesto di mercato improntato ad una dinamica concorrenziale attiva e corretta, unito alla presenza di principi di efficienza, efficacia e trasparenza nell’assegnazione delle Frequenze in esame, pertanto, è – ad avviso dell’AGCM – la ricetta da seguire non solo per evitare l’allocazione discriminatoria di una risorsa fondamentale ma anche per attirare investimenti privati e, così, garantire un (necessario) processo di ammodernamento delle suddette infrastrutture, soprattutto in un momento cruciale come quello rappresentato dal contesto odierno.

Le riportate osservazioni devono essere intese, senz’altro, come un apprezzabile ed utile esercizio della propria attività consultiva da parte dell’AGCM, nonché della natura proattiva che caratterizza tali iniziative, ma anche come un condivisibile appello alla garanzia del corretto gioco concorrenziale all’interno di un mercato che – nel mondo del XXI secolo – riveste un proprio ruolo fondamentale. Non resta che attendere per vedere se il Ministero e l’AGCom accoglieranno (e in che misura) le indicazioni dell’AGCM.

Luca Feltrin
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Accordi di cooperazione e COVID-19 – L’AGCM non ravvisa criticità in una cooperazione orizzontale per la distribuzione mascherine e nello schema di moratoria di Assofin e allo stesso tempo agisce per la tutela delle micro-imprese

Con un comunicato stampa dello scorso 1° giugno, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha reso noto di aver applicato per la prima volta le linee guida ed i principi di cui alla sua Comunicazione del 24 aprile 2020, volta tra l’altro a garantire la possibilità per le imprese di instaurare, nel rispetto dei dettami del diritto antitrust, forme di cooperazione orizzontale al fine di fronteggiare le conseguenze della grave crisi economico-sanitaria in corso.

In particolare, l’AGCM (dopo essersi consultata con la Commissione europea) ha reso noto di aver ritenuto che due fattispecie di cooperazione orizzontale sottoposte alla sua attenzione non meritassero un approfondimento istruttorio, quindi – sostanzialmente – autorizzandole.

Si tratta, in primis, del progetto di cooperazione per la distribuzione di mascherine chirurgiche tra l’Associazione Distributori del Farmaco e Federfarma, approvato in quanto di durata limitata e strettamente legato all’emergenza in corso, dal momento che è finalizzato a garantire un “… approvvigionamento efficace ed omogeneo …” del prodotto e permettere così alla collettività di rifornirsi agevolmente di tali dispositivi essenziali.

In secondo luogo, l’AGCM ha esaminato l’intesa raggiunta a livello associativo da Assofin (associazione che raggruppa al suo interno i principali operatori bancari e finanziari del credito al consumo) volta all’adozione di uno schema comune di moratoria – conforme alle Raccomandazioni della Banca d’Italia – per il credito al consumo da parte dei propri associati, in modo così da venire in aiuto anche a quei soggetti non sono risultati tra i destinatari dalle misure di sostegno adottate dal Governo durante l’emergenza. In relazione a tale intesa associativa, l’AGCM ha tuttavia sottolineato la necessità che la moratoria in esame non comporti lo scambio – diretto o indiretto – di informazioni sensibili tra le imprese ed ha, pertanto, invitato Assofin a tener traccia di tutti gli scambi di informazioni necessari per il conseguimento delle finalità dell’accordo, affinché possano in futuro essere resi disponibili su richiesta dell’AGCM stessa.

Si riporta, in ultimo, che l’AGCM – con un ulteriore comunicato stampa dello scorso 11 giugno – ha avviato i) quattro istruttorie e ii) dodici moral suasion nei confronti dei principali attori nel mercato bancario e finanziario (rispettivamente: i) Unicredit, IntesaSanPaolo, Banca Sella e Findomestic; e ii) BNL, Banco BPM, UBI Banca, Crédit Agricole, Credem, MPS, Banco Popolare di Sondrio, Creval, BCC Pisa, Agos Ducato, Compass e Fiditalia). L’avvio di una tale massiccia attività istruttoria e moratoria è stata dettata, secondo quanto reso noto dall’AGCM: i) dall’assenza di informazioni circa la tempistica per avere accesso alle misure di sostegno riconosciute dal Governo a favore di micro e piccole imprese nel c.d. ‘Decreto Liquidità’; ii) dalla mancanza di indicazioni chiare sugli oneri derivanti dalla sospensione del rimborso dei finanziamenti (in termini di interessi complessivi) concessi alle imprese; e iii) dall’adozione di condizioni indebite all’accesso a tali misure. La presenza di tali elementi avrebbe, pertanto, permesso all’AGCM di riscontrare l’esistenza di importanti ostacoli all’accesso – da parte dei soggetti interessati –al credito nonché all’ottenimento del dilazionamento delle esposizioni debitorie.

Da quanto sopra esposto, emerge chiaramente il “doppio binario” su cui si sta muovendo l’AGCM nell’assicurare una risposta tempestiva alle sfide inedite sollevate dall’emergenza sanitaria ed economica in corso. Da un lato, infatti, l’AGCM non ha esitato a fornire un rapido riscontro che ha di fatto reso più facili e meno rischiose alcune forme di collaborazione tra concorrenti (pur nel rispetto di stringenti limitazioni oggettive e temporali); dall’altro non ha esitato a utilizzare ad ampio spettro gli strumenti a tutela del consumatore e delle microimprese (un’operazione giuridicamente possibile dal 2012) per risolvere in maniera tempestiva le difficoltà lamentate da tali soggetti nell’accesso al credito.

Luca Feltrin
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Intese e servizi di radiotaxi - Il Consiglio di Stato ha accolto gli appelli presentati dall’AGCM avverso le sentenze del TAR Lazio che avevano accolto i ricorsi dei radiotaxi di Milano

In data 4 giugno 2020, il Consiglio di Stato (CdS), con tre sentenze sostanzialmente analoghe, ha riformato quanto statuito dal TAR Lazio il 29 aprile 2019 a seguito dei ricorsi proposti da Taxiblu - Consorzio Radiotaxi satellitare Società CooperativaYellow Taxi Multiservice S.r.l. e Autoradiotassì Società Cooperativa (le Cooperative), di fatto confermando – nella misura in cui si riferiva alle ricorrenti in primo grado – il provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva imposto loro imposto l’adozione di misure idonee ad eliminare le intese restrittive della concorrenza da queste poste in essere (il Provvedimento).

Con il Provvedimento, l’AGCM aveva deliberato che le clausole di esclusiva contenute negli atti che disciplinavano i rapporti tra i principali operatori di radiotaxi e i tassisti aderenti costituissero reti di intese verticali restrittive della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE). In particolare, l’AGCM aveva ritenuto che tali clausole – vincolando ciascun tassista a destinare tutta la propria capacità operativa a una singola cooperativa – comportassero un consistente e duraturo effetto di chiusura del mercato della raccolta e dello smistamento della domanda del servizio taxi nel Comune di Milano, ostacolando di fatto l’ingresso di nuovi operatori come il segnalante, MyTaxi (ora Free Now).

In primo grado, il TAR Lazio aveva accolto i ricorsi delle Cooperative, annullando per l’effetto il Provvedimento. In particolare, aveva basato il suo giudizio su una generale carenza di istruttoria e sulla presenza di affermazioni apparentemente apodittiche in relazione a punti nevralgici della motivazione che, secondo il TAR Lazio, avevano confermato l’assunto per cui l’AGCM non era riuscita né a ricostruire in maniera coerente l’intera fattispecie né era stata in grado di contrastare le spiegazioni alternative al riguardo avanzate dalle Cooperative.

Come accennato, il CdS ha ribaltato il verdetto del TAR Lazio, confermando quanto stabilito originariamente dall’AGCM. In relazione al motivo di appello relativo al difetto di istruttoria, il CdS ha confermato la completezza dell’istruttoria svolta dall’AGCM, avendo quest’ultima posto alla base del Provvedimento non solo i dati forniti dalle parti del procedimento ma anche altre evidenze (tra cui inter alia un parere dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti e elementi forniti dal Comune di Milano).

In relazione al secondo motivo di appello relativo alla configurazione delle intese verticali rilevanti ai sensi dell’articolo 101 TFUE, il CdS ha ritenuto non condivisibile quanto ricostruito dal TAR Lazio, secondo cui “… l’esistenza di un pregiudizio concorrenziale in danno degli stessi (i tassisti), […] sarebbe stata coerente con una ricostruzione della fattispecie in termini di abuso di posizione dominante” e non con la contestazione di intese restrittive. Il CdS, infatti, ha evidenziato che, sebbene da un alto la presenza di clausole di non concorrenza limiti la capacità produttiva del tassista (tenuto conto che in loro assenza il tassista potrebbe beneficiare di una pluralità di fonti di approvvigionamento), dall’altro il negozio di adesione al radiotaxi produce comunque, all’esito di una valutazione complessiva, benefici in capo ai tassisti, potendo gli stessi sfruttare a loro favore la possibilità di accedere alla domanda fidelizzata al radiotaxi di appartenenza. Da ciò, deriverebbe che la clausola di non concorrenza non sarebbe recata in un rapporto unilaterale a beneficio della sola cooperativa (che al più potrebbe giustificare la qualificazione della fattispecie come ‘abuso di posizione dominante’) bensì sarebbe contenuta in un negozio giuridico accettato dalle parti e nell’interesse anche dei tassisti, rivelando una comune volontà di agire secondo date modalità sul mercato, elemento che costituisce il proprium dell’intesa ai sensi del diritto antitrust.

Un altro dei punti essenziali delle tre sentenze in commento è l’argomentazione delle ricorrenti in primo grado ai sensi del quale ile clausole di non concorrenza in questione avrebbero costituito attuazione di una disposizione codicistica inderogabile (l’articolo 2527, comma 2, per l’appunto) che – al fine di garantire lo scopo mutualistico delle società cooperative – precluderebbe lo svolgimento, da parte dei soci, di un’attività lavorativa / di impresa in concorrenza con quella della cooperativa di appartenenza. Ne sarebbe derivata, nella ricostruzione operata dalle Cooperative, l’illegittimità del Provvedimento, avendo l’AGCM sanzionato una condotta che di fatto non era altro che l’attuazione di una previsione imposta dall’ordinamento interno. Secondo il CdS, con un ragionamento che non sembra connotato da immediata persuasione, anche questo motivo è infondato dal momento che la violazione del divieto de quo non è rinvenibile quando il socio (nel caso di specie, il tassista) acquista servizi forniti da operatori economici esercenti attività in concorrenza con quella della cooperativa di adesione. In siffatte ipotesi, infatti, il rapporto di concorrenza si instaura tra la cooperativa e il fornitore terzo, ma non tra la cooperativa e il socio, che agisce nello svolgimento di un’attività differente.

Bisogna ora solo aspettare e vedere se – come probabile – il CdS confermerà la legittimità delle ragioni dell’AGCM e di MyTaxi anche nell’altro giudizio ancora pendente sulle condotte equivalenti poste in essere da alcuni radiotaxi romani.

Mila Filomena Crispino
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Legal news / Affidamento diretto e diagnostica COVID-19 – Il TAR Lombardia annulla la convenzione conclusa tra la Fondazione Policlinico San Matteo e Diasorin per lo sviluppo di un test diagnostico

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (TAR) ha accolto l’8 giugno scorso il ricorso di Technogenetics S.r.l. (Technogenetics) e annullato la decisione della Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo (la Fondazione) di concludere un accordo di collaborazione con Diasorin S.p.A. (Diasorin) per la valutazione dell’efficacia di nuovi test diagnostici per l’infezione da SARS-Cov-2, che causa il COVID-19 (la Convenzione). Nel ricorso, Technogenetics, anch’essa come Diasorin un produttore di reagenti e tecnologie biomediche in campo diagnostico e terapeutico, afferma che la Fondazione, concludendo la Convenzione senza un procedimento a evidenza pubblica, avrebbe violato gli interessi legittimi di Technogenetics.

Infatti, tramite la Convenzione, la Fondazione e Diasorin hanno concordato che quest’ultima avrebbe prodotto e fornito alla prima un prototipo di reagente per la diagnosi di infezione da SARS-Cov-2, mentre la Fondazione tramite i propri laboratori e personale, avrebbe condotto una valutazione analitica e clinica delle prestazioni del prototipo sui campioni residui dei tamponi effettuati nella normale attività diagnostica. Qualora tale valutazione fosse risultata positiva, la Fondazione avrebbe condotto lo studio clinico necessario per ottenere le necessarie autorizzazioni amministrative per il commercio di un kit diagnostico sviluppato da Diasorin. A fronte di tale accordo, Diasorin avrebbe pagato alla Fondazione un prezzo una tantum pari a 50.000 euro, e, qualora la commercializzazione del kit diagnostico avesse avuto successo, l’1% dei ricavi della vendita di ciascun kit per dieci anni. Correlativamente, Diasorin avrebbe beneficiato delle risorse e delle competenze della Fondazione per lo sviluppo del prodotto in parola.

Il TAR, valorizzando la natura sostanzialmente pubblica della Fondazione ha accolto la tesi secondo cui la Convenzione non può considerarsi un accordo di collaborazione scientifica. Tale qualifica ricondurrebbe l’attività che essa prevede nel novero di quelle esercitabili legittimamente dalla Fondazione. Piuttosto, poiché la Convenzione prevede come obiettivo lo sviluppo di un prodotto nuovo, i cui diritti di sfruttamento perterrebbero a un privato a cui vengono indirettamente messe a disposizione risorse, personale e competenze pubbliche, essa deve qualificarsi come una concessione.

Di conseguenza, l’assenza di una procedura ad evidenza pubblica per l’attribuzione del beneficio derivante dalla Convenzione risulta secondo il TAR in violazione delle norme sui contratti pubblici (nonché della relativa disciplina eurounitaria), generando peraltro un indebito vantaggio competitivo a favore di Diasorin, con conseguente alterazione della concorrenza nel mercato dove operano tanto la ricorrente quanto la controinteressata.

Di conseguenza, il TAR ha non solo annullato la Convenzione stessa, condannando la Fondazione e Diasorin a pagare le spese quantificate in 10.000 euro ma ha anche disposto la trasmissione degli atti del procedimento alla Procura presso la Corte dei Conti di Milano per la valutazione di eventuali profili di responsabilità erariale.

L’intero provvedimento deriva le proprie conseguenze di ampia portata essenzialmente dall’esclusione della possibilità di qualificare la Convenzione come un accordo di collaborazione scientifica. Nell’ambito della probabile impugnazione, il Consiglio di Stato dovrà certamente vagliare con attenzione tale considerazione, che risulta l’anello fondamentale (e potenzialmente più vulnerabile) della catena logica che ha condotto il TAR alla sentenza in discorso.

Riccardo Fadiga
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