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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto UE / OCSE e antitrust – L’OCSE pubblica uno studio sui potenziali effetti delle concentrazioni conglomerali nei mercati digitali

Il 30 aprile scorso, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha pubblicato uno studio sugli effetti delle concentrazioni conglomerali sulla concorrenza nei mercati digitali (lo Studio). Lo Studio si inserisce all’interno del rinnovato dibattito sulle concentrazioni conglomerali, alimentato dalla proliferazione di tali operazioni in particolare nel settore digitale  al riguardo, basti pensare che dal 2010 le imprese conosciute come “GAFAM” (ossia, Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft) hanno posto in essere circa 500 concentrazioni  nonché dalla ristrutturazione di interi settori che potrebbe derivare dalla crisi economica legata alla pandemia per il COVID-19.

È utile premettere che, dal punto di vista classificatorio le concentrazioni conglomerali sono quelle tra imprese la cui offerta non è né a carattere orizzontale (concorrenti nello stesso mercato rilevante), né a carattere verticale (fornitori o clienti). I prodotti realizzati dalle imprese partecipanti ad concentrazione qualificabile come “conglomerale” possono pertanto essere: (i) complementari, ossia prodotti che possono – e in alcuni casi devono – essere utilizzati insieme (ad es. spazzolino e dentifricio); (ii) contigui (c.d. weak substitutes), ossia prodotti che hanno caratteristiche simili, ma non vengono considerati come appartenenti allo stesso mercato rilevante ai fini antitrust; ovvero (iii) semplicemente non correlati anche se, naturalmente, in linea di principio tali prodotti potrebbero, tuttavia, condividere gli stessi input o essere venduti come elementi di un unico “pacchetto”.

Lo Studio riconosce che di norma le concentrazioni conglomerali non sono rischiose in quanto producono significativi miglioramenti dell’efficienza delle imprese e favoriscono la concorrenza. L'integrazione di attività o prodotti può realizzare economie di scala e di diversificazione, consentendo alle imprese di condividere reti di distribuzione, input, processi produttivi e know-how. Tuttavia, in alcuni casi specifici, le concentrazioni conglomerali potrebbero determinare un danno per la concorrenza. In particolare, le concentrazioni conglomerali possono contribuire in maniera rilevante ad ostacolare la concorrenza effettiva mediante sia effetti non coordinati, sia effetti coordinati. I primi si realizzano quando la l’impresa risultante dalla concentrazione ha la capacità e l'incentivo di far “leva” su una forte posizione in un mercato per estenderla ad un altro mercato, mediante vendite abbinate o aggregate (i cosiddetti tying o bundling). Il tying e bundling potrebbe causare la preclusione delle imprese concorrenti nel secondo mercato (i.e. quello del prodotto legato o aggregato), ovvero creare barriere all’ingresso ai mercati che nel lungo termine posso danneggiare la concorrenza. Sotto il profilo di possibili effetti coordinati, invece, le concentrazioni conglomerali possono agevolare un coordinamento anticoncorrenziale tra imprese, anche in assenza di un accordo o di una pratica concordata.

Secondo lo Studio, gli effetti (sia positivi, sia negativi) derivanti dalle concentrazioni conglomerali si potrebbero manifestare con maggiore frequenza ed incisività nel settore digitale. Ciò sarebbe dovuto al fatto che tali mercati sono caratterizzati da: (i) economie di scale significative e costi marginali bassi, per cui le imprese sarebbero incentivate ad attuare vendite aggregate ed abbinate per espandere la loro base utenti; (ii) economie di diversificazione, derivanti dalla condivisione di asset come software e dati sui consumatori; (iii) effetti di rete, i quali potrebbero amplificare i possibili effetti escludenti ; (iv) la possibilità di realizzare vendite abbinate c.d. tecniche, che limitano l’interoperabilità tra prodotti (sia attraverso l’architettura stessa del prodotto, sia attraverso la non condivisione di informazioni necessarie per garantire la compatibilità tra prodotti); (v) la presenza di effetti autoperpetuanti (c.d. feedback loops) che amplificano i vantaggi competitivi (ad es. un’ampia base utenti consente di realizzare proventi pubblicitari elevati che possono essere reinvestiti per attirare altri utenti, contribuendo a generare nuove entrate pubblicitarie); e, infine, da (iv) la presenza di input necessari, come i dati sui consumatori e le nuove tecnologie.

Lo Studio evidenzia quattro modi principali in cui le concentrazioni conglomerali potrebbero generare un danno per la concorrenza nei mercati digitali. In primo luogo, una piattaforma che detiene una posizione dominante in un mercato potrebbe entrare in un altro mercato attraverso condotte di bundling o di tying dei due prodotti delle imprese coinvolte nell’operazione. In virtù degli effetti di rete e delle economie di diversificazione (dovute alla condivisione di tecnologia e dati), le piattaforme concorrenti nel mercato del prodotto legato o aggregato a quello a cui è associato il potere di mercato potrebbero non essere più in grado di competere. In secondo luogo, le imprese digitali potrebbero legare o aggregare prodotti con caratteristiche tecniche diverse allo stesso brand, sfruttando la notorietà del marchio e la fiducia riposta in esso dei consumatori. Ciò potrebbe aumentare la qualità percepita dei prodotti, creando nuove barriere all’ingresso. In terzo luogo, le concentrazioni conglomerali potrebbero impedire a concorrenti nascenti di raggiungere un mercato in cui l’impresa acquirente ha una posizione dominante (c.d. killer acquisitions): questo è un rischio che è attualmente all’attenzione di varie autorità antitrust. Infine, tali concentrazioni potrebbero facilitare il coordinamento tra imprese attive in diversi mercati verticalmente collegati, agevolando l’applicazione di clausole come ad esempio quelle relative all’imposizione di prezzi di rivendita.

Lo Studio riconosce le difficoltà in cui possono incorrere le autorità della concorrenza nell’identificare e prevenire concentrazioni conglomerali che potrebbero avere effetti negativi per la concorrenza. Ciò deriva dal fatto che, a differenza delle concentrazioni orizzontali o verticali, la relazione tra i prodotti in questione potrebbe non essere evidente e finanche le notifiche redatte dalle imprese potrebbero non contenere le informazioni necessarie per identificare i fattori di rischio. Inoltre, sebbene ai sensi del diritto UE, lo standard di prova rimane lo stesso per qualsiasi concentrazione, le autorità della concorrenza potrebbero avere difficoltà a fornire prove fattuali accurate, affidabili e convincenti per dimostrare la plausibilità dei rischi futuri per lo sviluppo della concorrenza associati a una concentrazione conglomerale. Per facilitare il compito delle autorità di concorrenza, lo Studio identifica alcuni indicatori chiave del potenziale di danno che potrebbe derivare dalle concentrazioni conglomerali. Per esempio, si dovrà valutare, inter alia, la relazione tra i prodotti (ad es. se sono complementari e vi posso essere usi alternativi o acquisti ripetuti di uno dei prodotti), la fattibilità di vendite abbinate o aggregate su base tecnica o contrattuale nonché la probabilità che imprese attive in mercati diversi possano diventare concorrenti in futuro.

Lo Studio affronta, infine, la questione degli strumenti di cui sono dotate le autorità per mitigare le possibili conseguenze negative delle concentrazioni conglomerali. In particolare, diversamente da quanto accade per le concentrazioni nei settori della c.d. “old economy”, lo studio suggerisce di concedere maggior spazio ai rimedi comportamentali nel contesto del merger control poiché consentirebbero, da un lato, di eliminare i rischi della concorrenza, e dall’altro, di preservare le efficienze generate dalla concentrazione. Tali rimedi potrebbero includere il divieto di vendite abbinate e aggregate pure (ma, in thesi, consentendo quelle miste, che offrono sconti ai consumatori ma consentono anche acquisti separati), il mantenimento dell'interoperabilità tra i prodotti e la portabilità dei dati dei consumatori. Anche se questi rimedi potrebbero presentare degli svantaggi, tra cui la necessità di un monitoraggio, lo Studio cita numerosi esempi della loro applicazione (ad esempio nella decisione della Commissione Intel/McAfee).

In sintesi, lo Studio dell’OCSE rappresenta un importante riferimento per l’analisi degli effetti delle concentrazioni conglomerali nel settore digitale anche se, come è naturale, ciascuna operazione dovrà essere valutata sulle specificità che la caratterizzano.

Luigi Eduardo Bisogno
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Obblighi di informazione e diritti di recesso dei consumatori – La Corte di Giustizia si pronuncia sull’obbligo di fornire un numero telefonico per consentire il recesso da un contratto concluso a distanza

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CdG) si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale posto dalla Corte federale di giustizia della Germania (Bundesgerichtshof, o BGH) relativo all’interpretazione dell’obbligo di mettere a disposizione del consumatore un numero telefonico tramite cui esercitare il diritto di recesso che spetta in caso di contratti conclusi a distanza o al di fuori dei locali commerciali del professionista.

La vicenda in esame ha visto EIS GmbH (EIS), società attiva nelle vendite online, adire le corti tedesche dopo essere stata diffidata (curiosamente) da un concorrente a cessare la sua pratica commerciale consistente nel non indicare un numero di telefono sul proprio sito internet tra le informazioni relative al diritto di recesso del consumatore. EIS ha fatto riferimento alle istruzioni-tipo sul recesso contenute nell’allegato I, parte A, della direttiva 2011/83/UE del 25 ottobre 2011 sui diritti dei consumatori (la Direttiva), che impone inter alia l’indicazione del recapito telefonico se disponibile; nel caso in esame, il professionista, pur disponendo di una linea telefonica a proprio nome, non aveva comunicato questa informazione nell’ambito delle informazioni necessarie per l’esercizio del diritto di recesso sostenendo di non esservi tenuto in quanto non aveva un modello di business per il quale i contratti venivano conclusi per telefono bensì solo online.

La CdG ha al riguardo disposto, da un lato, che se il recapito telefonico è fornito altrove sul medesimo sito internet, anche se non è comunicato al consumatore nell’ambito delle informazioni sull’esercizio del diritto di recesso, in modo tale che un consumatore normalmente informato e avveduto possa dedurre che il professionista utilizzi tale numero di telefono per i suoi contatti con i consumatori, detto numero di telefono deve essere considerato “disponibile” ai sensi della Direttiva. In aggiunta, la CdG ha affermato che la disposizione della Direttiva non implica necessariamente un obbligo per il professionista di attivare una linea telefonica per consentire ai consumatori di contattarlo e impone di comunicare tale numero soltanto nel caso in cui detto professionista già disponga di tale mezzo di comunicazione. Ribadendo un principio già evidenziato nel precedente caso Amazon EU, la CdG ha dunque riaffermato che un obbligo incondizionato – più oneroso – di mettere a disposizione del consumatore un numero di telefono sarebbe sproporzionato e, qualora imposto dalla legge nazionale, tale obbligo incompatibile con la disciplina europea.

Quest’ultima parte della sentenza rinforza il carattere di armonizzazione c.d. massima delle norme sulla tutela del consumatore, indicando nel principio di proporzionalità un limite concreto a previsioni più onerose che le disposizioni nazionali possono in questo campo in capo al professionista.

Riccardo Fadiga
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Diritto della concorrenza Italia / Intese e servizi con elicottero – Il TAR Lazio si pronuncia sui ricorsi presentati avverso l’accertamento da parte dell’AGCM di due intese restrittive

Con sette sentenze distinte – ma molto simili sotto un punto di vista contenutistico e di ragionamento giuridico – pubblicate lo scorso 18 maggio, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) ha respinto i ricorsi presentati dalle società AirgreenS.r.l. (Airgreen), Star Work Sky (Star Work), Elitellina S.r.l. (Elitellina), Elifriulia S.r.l. (Elifriulia), Babcock Mission Critical Services International Sau (Babcock), Helinest S.r.l. (Helinest), Eliossola S.r.l. (Eliossola) e dall’Associazione Elicotteristica Italiana (AEI) (congiuntamente, le Ricorrenti) avverso il provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), adottato in data 13 febbraio 2019 a conclusione del procedimento I806 – ‘Affidamento appalti per attività antincendio boschivo’ – già oggetto di commento su questa Newsletter. Tramite tale decisione l’AGCM aveva sanzionato le Ricorrenti per un ammontare complessivo di oltre €62 milioni per aver posto in essere due diverse strategie concertative contrarie all’articolo 101 TFUE (il Provvedimento). La duplice strategia collusiva avrebbe trovato una propria espressione (i) nella limitazione del confronto concorrenziale tra le Ricorrenti, in modo da condizionare un numero elevato di procedure di gara per l’affidamento dei servizi di antincendio boschivo (AIB); e (ii) nella fissazione ex ante, nell’ambito dell’AEI, dei valori costituenti il prezziario relativo ai cc.dd. ‘servizi con elicottero’ (ossia, ‘lavoro aereo’ e ‘trasporto personale’) (il Prezziario). Con ulteriore separata sentenza, il TAR Lazio ha invece accolto il ricorso presentato dalla società Air Corporate S.r.l. (Air Corporate), annullando così il succitato Provvedimento nei confronti di quest’ultima, nonché la sanzione di oltre €5 milioni impostale.

Le Ricorrenti hanno incardinato i propri ricorsi su motivi di doglianza molto simili. In particolare, contestando la bontà della ricostruzione istruttoria operata dall’AGCM sotto diversi profili, (i) in primis, queste hanno sostenuto che il Prezziario non fosse finalizzato a influenzare le amministrazioni pubbliche circa il costo minimo dei suddetti servizi e che i prezzi indicati non fossero ‘sovrastimati’ rispetto a quelli di mercato. Sul punto, il TAR Lazio ha sottolineato come le evidenze prodotte dall’AGCM dimostrino chiaramente che tramite questo strumento le Ricorrenti sono state in grado di “controllare e orientare il prezzo di aggiudicazione” delle gare pubbliche e che sono state le stesse Ricorrenti ad ammettere che tali prezzi erano più elevati rispetto ai valori di mercato; (ii) le Ricorrenti hanno anche denunciato la contraddittorietà insita nel Provvedimento nella misura in cui questo non ha ravvisato la sussistenza di un’intesa di bid rigging nel settore dei servizi di soccorso con elicottero (HEMS), ma – al contempo – ha stabilito che l’intesa relativa al prezziario abbia avuto effetti anche su tali servizi. Ad avviso del TAR Lazio, l’AGCM sul punto – nonostante non abbia ritenuto sufficienti gli elementi probatori atti a dimostrare l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale volta a turbare le gare nel settore HEMS – ha dettagliatamente provato che il Prezziario ha avuto effetti distorsivi anche in tale settore; (iii) in ultimo, alcune Ricorrenti hanno contestato non solo le evidenze su cui l’AGCM ha basato la ricostruzione dell’intesa nel settore AIB ma anche la definizione del mercato geografico rilevante. Per quanto concerne l’aspetto probatorio, il TAR ha riconosciuto che l’AGCM abbia prodotto numerosi elementi di prova atti a supportare l’esistenza di anomalie nello svolgimento di numerose gare pubbliche per i servizi AIB derivanti dall’intesa sul Prezziario. Relativamente all’individuazione del mercato geografico, il TAR Lazio – riconoscendo i limiti del proprio sindacato sul tema a profili di mera (ir)ragionevolezza – ha sottolineato come l’AGCM, date le caratteristiche della domanda per i servizi AIB e HEMS, rappresentata da soggetti pubblici dislocati su tutto il territorio nazionale, abbia correttamente individuato la dimensione del mercato come nazionale.

Infine, merita un’analisi separata l’unico motivo di ricorso ‘vincente’, presentato da Air Corporate. Quest’ultima, ribadendo le argomentazioni esposte dinnanzi all’AGCM in sede istruttoria, ha sottolineato come essa svolgesse essenzialmente servizi di trasporto passeggeri con committenza privata (cc.dd. ‘servizi corporate’) (per il 95% del proprio fatturato) e di come non abbia mai partecipato, in generale, a gare pubbliche per la prestazione di servizi elicotteristici. In altre parole, Air Corporate, facendo leva anche sulla apparente confusione dell’AGCM per cui le categorie di servizi di ‘trasporto personale’ e ‘trasporto passeggeri’ sono impropriamente utilizzate come sinonimi e sul fatto che l’AGCM abbia ampiamento dimostrato la sussistenza di effetti anticoncorrenziali solo per la prima delle suddette categorie, ha lamentato come la propria attività sia del tutto estranea rispetto a quelle che hanno formato oggetto della duplice strategia collusiva sopradescritta. Il TAR Lazio ha accolto le doglianze in esame e ha sottolineato come l’AGCM abbia mancato di operare i necessari approfondimenti istruttori al fine di verificare non solo se il Prezziario riguardava anche l’unica attività svolta da Air Corporate, ossia quella di trasporto ‘corporate’, ma anche la reale sussistenza di un rapporto di concorrenza tra quest’ultima e gli altri componenti dell’AEI. In altre parole, il TAR Lazio ha disposto non solo l’estraneità dell’attività di trasporto passeggeri ‘corporate’ rispetto al disegno concertativo delle Ricorrenti ma anche il mancato rapporto concorrenziale tra Air Corporate e le altre società in sede all’AEI.

L’ultima delle sentenze qui brevemente considerate risulta quindi particolarmente rilevante, in quanto il TAR Lazio sembra suggerire che la partecipazione di una società alle attività di un’associazione a sua volta parte di un’intesa anticoncorrenziale non è rilevante, sotto un punto di vista antitrust, se tale società non è attiva nei mercati oggetto della pratica concertativa.

Luca Feltrin
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Energy / Energy e gasdotti - Il Tribunale dell'Unione europea dichiara inammissibili i ricorsi proposti dalle società Nord Stream AG e Nord Stream 2 AG

In data 20 maggio 2020, il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha statuito l’inammissibilità dei ricorsi presentati da Nord Stream AG e Nord Stream 2AG per l’annullamento della Direttiva (UE) 2019/692 sul mercato interno del gas.

Nord Stream AG è la società svedese (controllata dal gruppo russo Gazprom) che possiede e gestisce il gasdotto internazionale noto come “Nord Stream 1” che assicura il flusso del gas dalla Russa alla Germania. Nord Stream 2 AG, anche essa società svedese parte del gruppo Gazprom, è responsabile della pianificazione, costruzione e funzionamento del gasdotto internazionale conosciuto come Nord Stream 2, che corre parallelamente al gasdotto Nord Stream 1. Quest’ultimo, tuttavia, è ancora in via di realizzazione e, stando agli ultimi aggiornamenti, dovrebbe essere ultimato entro l’aprile del 2021.

Nord Stream AG e Nord Stream 2 AG hanno chiesto al giudice europeo rispettivamente l’annullamento parziale e totale della Direttiva (UE) 2019/692 sul mercato interno del gas (la Direttiva), che ha modificato la precedente Direttiva (UE) 2009/73 estendendo le norme comunitarie sull’unbundling, sull’accesso dei terzi e sulle tariffe anche ai gasdotti di trasporto da o verso i Paesi extra-UE, lasciando la possibilità per gli Stati Membri di concedere eventuali deroghe al rispetto di alcune norme della Direttiva (UE) 2009/73.

Più nello specifico, Nord Stream AG ha chiesto l’annullamento della disposizione della Direttiva che impone alle autorità nazionali di regolamentazione di decidere sulle richieste di deroga. Per Nord Stream 2 AG, invece, il motivo del ricorso per l’annullamento totale della Direttiva fa riferimento al fatto che, per adempiere ai nuovi obblighi, essa dovrebbe vendere l’intero gasdotto Nord Stream 2 o, comunque, alterarne completamente la sua struttura, con conseguenze negative anche per società europee come da Shell, Engie, Uniper, Omv e Wintershall-Dea che hanno finanziato gran parte del progetto.

Il Tribunale ha dichiarato irricevibili i due ricorsi, sostenendo che i Nord Stream AG e Nord Stream 2 AG, al contrario di quanto richiesto dall’articolo 263, para. 4, TFUE per questo tipo di azioni, non sono direttamente interessati da tale normativa comunitaria, che invece è indirizzata agli Stati membri i quali devono recepirla (avendo, come noto, peraltro una certa discrezionalità al riguardo. Di conseguenza, secondo il Tribunale, sarà al più il giudice nazionale quello competente su eventuali reclami presentati in relazione alla normativa nazionale di trasposizione (o nel contesto di contenzioso concernente l’applicazione di quest’ultima).

In relazione al ricorso presentato da Nord Stream 2 AG, inoltre, il Tribunale ha deciso che quattro dei documenti prodotti debbano essere rimossi dal file relativo all’azione in questione in quanto allegati senza autorizzazione dell’istituzione comunitaria autrice/destinataria. Tra tali documenti figurano alcune raccomandazioni formulate dalla Commissione europea e indirizzate al Consiglio per l’adozione di una decisione relativa ai negoziati internazionali con paesi terzi.

Posto quanto sopra, si evidenzia che pochi giorni fa la Germania ha concesso la deroga dalle regole della suddetta direttiva a Nord Stream AG mentre l’ha negato a Nord Stream 2 AG. In base alla legge tedesca che ha recepito la Direttiva, infatti, possono essere esentati dalle norme solo i gasdotti completati prima del 23 maggio 2019. Per questi motivi, Nord Stream 2 AG ha già annunciato pubblicamente che impugnerà l’ordinanza del Tribunale sulla base del fatto che il giudice europeo non ha preso in considerazione nel merito la sua richiesta.

Se anche dalla Corte di Giustizia, a seguito del probabile appello delle due società del gruppo Gazprom, dovesse arrivare la conferma che la questione deve essere trattata direttamente con il paese coinvolto nella vicenda, ossia la Germania, spetterebbe quindi al tribunale tedesco competente prendere una decisione definitiva sulla deroga, ritardando i tempi di costruzione del gasdotto.

Mila Filomena Crispino
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Energy e decreto FER 1 - Pubblicati i contratto-tipo del GSE per l’erogazione degli incentivi alle rinnovabili

Il Gestore Servizi Energetici (GSE) ha pubblicato tre schemi di contratti-tipo per l’assegnazione degli incentivi previsti dal decreto interministeriale 4 luglio 2019, noto anche come decreto FER 1, approvati dall’Autorità di Regolazione per Reti Energia e Ambiente con la Delibera del 5 maggio 2020, n. 155.

I tre schemi contrattuali relativi ai meccanismi incentivanti sono i seguenti:

(i) schema di contratto-tipo per gli impianti incentivati che accedono al ritiro a tariffa omnicomprensiva;
(ii) schema di contratto-tipo per gli impianti incentivati che non accedono al ritiro a tariffa omnicomprensiva;
(iii) schema di contratto-tipo relativo al ritiro dell’energia elettrica immessa in rete per il periodo intercorrente tra la data di entrata in esercizio degli impianti e la data di ammissione agli incentivi.

Con particolare riferimento, allo schema di contratti-tipo per gli impianti incentivati che non accedono al ritiro a tariffa omnicomprensiva (sub (ii) supra), il GSE ha introdotto lo strumento del mandato irrevocabile all’incasso (in sostituzione della cessione e retrocessione dei crediti) e ha previsto che il produttore possa costituire una cauzione definitiva a garanzia dell’eventuale debito nei confronti del GSE, in misura pari al 3% del costo di investimento previsto per la realizzazione dell’impianto.

È utile ricordare che gli impianti non ammessi a tariffa onnicomprensiva stipulano un contratto “a due vie”, ossia con possibili casistiche in cui è il produttore a dover corrispondere degli importi al GSE, ogni qualvolta la differenza oraria tra la tariffa spettante e il prezzo zonale orario è negativa.

Mila Filomena Crispino
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