Skip to main content

Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato e settore dell’acciaio – La Corte di Giustizia respinge l’impugnazione del gruppo Duferco e ribadisce i principi sulla ripartizione dell’onere della prova

Nella causa C-148/19, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG) si è pronunciata sul ricorso della BTB Holding Investments SA e della Duferco Participations Holding SA (collettivamente, le Ricorrenti). Con il loro ricorso, le Ricorrenti hanno chiesto l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) dell’11 dicembre 2018 (la Sentenza del Tribunale), con cui quest’ultimo ha respinto in primo grado la loro richiesta di annullamento parziale della decisione della Commissione europea (Commissione) relativa agli aiuti di Stato che il Belgio aveva erogato a loro favore.

Il gruppo Duferco, di cui fanno parte le Ricorrenti, produce e vende acciaio principalmente in Belgio, dove ha la sua sede principale. Nel 2011, un quotidiano belga ha pubblicato una serie di articoli in cui si affermava che la Regione Vallonia del Belgio aveva concesso un sostegno finanziario al gruppo Duferco a partire dal 2003, senza averne informato la Commissione.

In seguito a tali articoli, la Commissione ha chiesto al Regno del Belgio di fornirle informazioni aggiuntive sulla natura del sostegno finanziario che la Regione Vallonia avrebbe fornito al gruppo Duferco tra il 2003 e il 2011 e ha avviato un procedimento per valutare tali misure economiche. All’esito della sua analisi, la Commissione ha concluso che, tra il 2003 e il 2011, la Regione Vallonia era intervenuta a più riprese a favore del gruppo Duferco, per un totale di 517 milioni di euro, ordinando il recupero degli aiuti di Stato illegali in questione (la Decisione).

A seguito della Sentenza del Tribunale che confermava la Decisione, le Ricorrenti hanno proposto impugnazione alla CdG a sostegno della quale hanno dedotto un unico motivo articolato in due parti: la prima, vertente sulla violazione delle norme relative all’onere della prova; la seconda, basata sul principio della parità delle armi e del diritto a un equo processo.

Più nello specifico, le Ricorrenti hanno sostenuto che la valutazione del Tribunale che sarebbe spettato alla Ricorrenti produrre elementi di prova sufficienti a rendere non plausibile la complessa valutazione economica dei fatti operata nella Decisione, avrebbe determinato l’inversione dell’onere della prova.

La CdG ha respinto tale argomentazione. Secondo la CdG, infatti, il Tribunale ha svolto il proprio controllo sulla Decisione nel pieno rispetto della giurisprudenza europea sui limiti del sindacato giurisdizionale nei confronti delle valutazioni economiche complesse della Commissione. Dal momento che l’esame circa l’illegalità di aiuto statale comporta una serie di valutazioni di carattere tecnico o complesso, il Tribunale ha giustamente limitato il proprio controllo alla verifica dell’assenza di manifesti errori di valutazione nel ragionamento svolto dalla Commissione. Alla luce di ciò, la CdG ha ritenuto che il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto affermando che spettava alle Ricorrenti dimostrare che la Commissione era incorsa in un “… errore manifesto nella valutazione dei fatti, tale da giustificare un annullamento della decisione impugnata …”.

Proprio in relazione a quest’ultimo punto, le Ricorrenti hanno anche lamentano che tale richiesta del Tribunale si era concretizzata in una richiesta contraria al principio della parità delle armi e del diritto ad un equo processo in quanto gli elementi richiesti per confutare la tesi della Commissione sarebbero stati di valore probatorio superiore rispetto a quelli sui quali la Commissione aveva basato la propria valutazione dei fatti.

La CdG ha, tuttavia, rigettato anche questo punto. Secondo quanto affermato dalla CdG, la richiesta del Tribunale secondo cui le Ricorrenti avrebbero dovuto dimostrare un errore manifesto nella valutazione della Commissione non può essere considerato un aggravamento dell’onere della prova imposto alle parti.

Alla luce di quanto sopra, la CdG ha rigettato in toto l’impugnazione.

La sentenza in commento, seppur breve, rappresenta un utile riferimento giurisprudenziale in cui vengono ribaditi, i limiti del sindacato del giudice sulle decisioni relative agli aiuti di Stato della Commissione e la conseguente ampiezza dell’onere delle parti nelle impugnazioni a queste ultime.

Mila Filomena Crispino
--------------------------------------------------------------------------------

Aiuti di Stato e settore dell’energia nucleare – Secondo l’avvocato generale Hogan il ricorso dell’Austria contro il finanziamento del Regno Unito per la costruzione di una centrale nucleare andrebbe respinto

Il 7 maggio scorso, l’avvocato generale Hogan (AG) si è pronunciato nell’ambito del ricorso proposto dalla Repubblica d’Austria avverso la sentenza del Tribunale dell’Unione europea (Tribunale), che aveva confermato la decisione della Commissione europea (Commissione), secondo cui il sostegno finanziario concesso dal Regno Unito per la costruzione di una centrale nucleare costituiva un aiuto di Stato compatibile con il mercato interno. La vicenda si caratterizza per una forte connotazione politica, come dimostrato dal numero elevato di Stati membri che hanno presentato le proprie osservazioni dinanzi alla Corte di Giustizia (CdG).

Le misure, notificate dal Regno Unito nell’ottobre del 2013, si sostanziano in un finanziamento di 24,5 miliardi di sterline, in favore della società energetica NNB Generation Company Limited, per la costruzione di una nuova centrale a Hinkley Point C, sulla costa sudoccidentale dell’Inghilterra. Nel 2014, la Commissione ha ritenuto che le misure notificate costituissero un aiuto di Stato compatibile con il mercato interno ai sensi dell’art. 107, paragrafo 3, lettera c), TFUE. La Repubblica d’Austria aveva proposto un ricorso contro tale decisione, il quale tuttavia era stato respinto dal Tribunale. La Repubblica d’Austria si è dunque rivolta alla CdG, nel tentativo finale di eliminare le misure adottate dal Regno Unito.

Dinanzi alla CdG, la Repubblica d’Austria ha sostenuto, inter alia, che la costruzione di una nuova centrale nucleare non costituisce un obiettivo legittimo nell’interesse dell’Unione che possa essere perseguito mediante aiuti di Stato. L’argomento austriaco è diviso in due punti principali: (i) ogni aiuto di Stato deve perseguire un “interesse comune” dell’Unione, ossia un interesse che è comune a tutti gli Stati membri; e (ii) poiché il Tribunale ha applicato l’art. 107, paragrafo 3, lettera c), TFUE a una situazione disciplinata dal tratto Euratom, esso avrebbe dovuto tenere in considerazione anche altre disposizioni del diritto dell’Unione al di fuori del trattato Euratom, e segnatamente quelle relative alla tutela dell’ambiente.

Per rispondere, l’AG ha trattato in primo luogo la questione preliminare del rapporto generale tra il trattato Euratom e il TFUE. L’AG ha affermato che i due trattati si collocano su un piano di parità, in quanto fonti di diritto primario. L’AG ha poi sostenuto che le disposizioni del trattato Euratom devono essere considerate come leges speciales rispetto alle disposizioni del TFUE, che non ostano all’applicazione di disposizioni del TFUE qualora il trattato Euratom non contenga norme specifiche in materia. In virtù dell’assenza di norme speciali in materia di aiuti di Stato nel tratto Euratom, l’AG ha dichiarato che le disposizioni di cui agli artt. 107-109 del TFUE si applicano anche agli aiuti concessi dagli Stati membri nel settore dell’energia nucleare.

Per quello che riguarda la questione se, ai fini dell’applicazione dell’art. 107, paragrafo 3, lettera c), l’aiuto deve perseguire un “interesse comune” agli Stati membri, l’AG si è espresso in senso contrario. L’AG ha sostenuto, infatti, che il testo dell’articolo di cui trattasi non contiene tale requisito (“aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività, sempre che non alterino le condizione degli scambi in misura contraria al comune interesse”). La norma, pertanto, si limiterebbe a richiedere che la misura non abbia un impatto sul mercato in una misura tale da risultare contrario al comune interesse. L’AG ha poi affermato che, anche qualora la CdG non condivida tale interpretazione, essa dovrebbe ritenere soddisfatto il requisito secondo cui l’aiuto al progetto di Hinkley Point C deve perseguire un “interesse comune”. Ciò deriva, quasi per definizione, dal fatto che tutti gli Stati membri dell’Unione hanno accettato le disposizioni del trattato Euratom e sono da esse vincolati.

L’AG ha, infine, affrontato la questione se il Tribunale avrebbe dovuto tener conto anche di altri obiettivi del TFUE nell’accertare se le misure di aiuto perseguano un interesse comune. A tal proposito, l’AG ha ricostruito il rapporto di competenze tra Stati membri e Commissione nel settore dell’energia. Richiamando l’art. 194 TFUE, l’AG ha sottolineato il diritto di ogni Stato membro di determinare la propria politica energetica, ivi compreso il diritto di scegliere “… tra varie fonti energetiche e la struttura generale del suo approvvigionamento energetico …”. In tale prospettiva, l’AG ha sostenuto che non si dovrebbe consentire alla Commissione di considerare gli obiettivi dell’Unione, al di là della protezione del mercato comune, specificamente prevista all’art.107, paragrafo 3, lettera c) TFUE, nell’ambito del suo esame di un aiuto di Stato nel settore energetico.

Alla luce di quanto sopra, l’AG ha proposto alla CdG di respingere il ricorso proposto dalla Repubblica d’Austria. Non resta dunque che attendere per vedere se la CdG, nel chiarire la corretta interpretazione dell’art. 107, paragrafo 3, lettera c), si conformerà o meno all’approccio dell’AG.

Luigi Eduardo Bisogno
-------------------------------------------------------------------------------

Impegni e settore televisivo – L’AG Pitruzzella sostiene che gli impegni assunti da Paramount limitano la libertà contrattuale di parti terze e quindi non sono proporzionati

Il 7 maggio scorso, l’Avvocato Generale Pitruzzella (AG) ha presentato le proprie conclusioni relativamente all’impugnazione della sentenza con la quale il Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) ha confermato la decisione con cui la Commissione europea (Commissione) ha reso obbligatori gli impegni presentati da Paramount Pictures International Ltd (Paramount) (la Decisione Controversa).

Paramount aveva presentato i sopracitati impegni per rimediare alle preoccupazioni della Commissione sulla potenziale esistenza di un’intesa verticale tra Paramount stessa e Sky UK Ltd e Sky plc (congiuntamente, Sky). Segnatamente, gli accordi di licenza tra Paramount e Sky prevedevano, tra le altre cose (i) la limitazione della capacità di Sky di rispondere positivamente a richieste non sollecitate di acquisto di servizi di trasmissione televisiva (c.d. “vendite passive”) da parte di consumatori residenti nello Spazio Economico Europeo (SEE) ma al di fuori di Regno Unito e Irlanda; e (ii) l’obbligo di Paramount di limitare la possibilità di emittenti residenti nel SEE ma al di fuori di Regno Unito e Irlanda cui essa licenziasse contenuti di effettuare vendite passive ai consumatori di Regno Unito o Irlanda. Paramount si è quindi impegnata a non rispettare e a non esigere il rispetto di tali clausole per evitare la prosecuzione dell’indagine avviata in tale proposito dalla Commissione, che aveva pertanto concluso il procedimento senza accertare l’esistenza dell’infrazione. L’emittente francese Groupe Canal+ (GCP), la quale aveva concluso con Paramount degli accordi di licenza che prevedevano che GCP beneficiasse dell’esclusiva in Francia, ha introdotto un ricorso diretto all’annullamento della Decisione Controversa.

GCP, sostenuta dalle parti intervenienti, tra cui la Repubblica francese, ha censurato il preteso errore di diritto del Tribunale nel dichiarare che (i) la Commissione non avesse violato il principio di proporzionalità rendendo vincolanti gli impegni proposti da Paramount in tutto il SEE mentre le preoccupazioni concorrenziali espresse dalla Commissione riguardavano solo le esclusive territoriali relative a Regno Unito e Irlanda; e (ii) la Commissione non avesse pregiudicato i diritti di terzi dal momento che questi ultimi potrebbero comunque ricevere una tutela giurisdizionale dinanzi ai giudizi nazionali relativamente all’inadempienza contrattuale delle clausole in discorso.

Sulle questioni di specie, l’AG ha indicato che le valutazioni della Commissione non possono prescindere dalla considerazione degli interessi di terzi e che, pertanto, ove per effetto della decisione di accoglimento degli impegni l’impresa non sia più tenuta a rispettare i propri obblighi contrattuali nei confronti di un soggetto terzo in un contesto in cui tali obblighi siano elementi essenziali nella determinazione dell’equilibrio economico pattuito tra le parti, un sacrificio così grave della libertà contrattuale della terza parte non sembra giustificabile alla stregua del principio di proporzionalità. Né la possibilità di GCP di ricorrere a un giudice nazionale per, eventualmente, ottenere i danni per l’inadempienza di Paramount varrebbe come rimedio di tale sacrificio, poiché il giudice nazionale – informato dal principio di leale cooperazione con le istituzioni eurounitarie – non potrebbe non tener conto della valutazione preliminare della Commissione come indizio, o addirittura principio di prova, della natura anticoncorrenziale dell’accordo, depotenziando molto la possibilità per GCP di far valere le proprie ragioni dinnanzi al giudice nazionale. In conclusione, la Commissione avrebbe dovuto, come mezzo più idoneo per curare l’interesse pubblico, respingere gli impegni presentati da Paramount e concludere il procedimento accertando (o meno) l’infrazione.

Di conseguenza, l’AG ha raccomandato l’accoglimento del motivo di appello qui descritto. Ciò, secondo l’AG valorizzerebbe un aspetto della precedente sentenza C‑441/07 P Commissione/Alrosa. Tale pronuncia aveva infatti individuato un limite del principio di proporzionalità nella verifica che (i) gli impegni rispondano alle preoccupazioni che la Commissione ha espresso alle parti; e (ii) le parti non abbiano proposto impegni meno onerosi e parimenti efficaci; tuttavia, ha anche precisato che nell’esercizio di tale verifica la Commissione debba “prendere in considerazione” gli interessi dei terzi. È proprio su questo aspetto di notevole interesse (sia pratico, sia teorico) che la CdG è ora chiamata a pronunciarsi. L’accoglimento della prospettazione dell’AG inciderebbe infatti in maniera rilevante sulla capacità delle imprese di proporre impegni che risolvano efficacemente le preoccupazioni concorrenziali sollevate dalla Commissione quando, come è spesso il caso, gli effetti di tali impegni si riverberino su rapporti commerciali tra il soggetto che presenta gli impegni e parti terze al procedimento.

Riccardo Fadiga
--------------------------------------------------------------------------

Diritto della concorrenza Italia / Procedimenti di inottemperanza e garanzie procedimentali – Il Consiglio di Stato respinge l’appello dell’AGCM e conferma l’annullamento del provvedimento di inottemperanza nei confronti del CNF

Con la sentenza pubblicata lo scorso 30 aprile (la Sentenza), il Consiglio di Stato (CdS) ha rigettato l’appello presentato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) – pubblicata in data 11 novembre 2016 (e già oggetto di commento su questa Newsletter) – tramite cui quest’ultimo ha accolto il ricorso avanzato dal Consiglio Nazionale Forense (CNF) al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento dell’AGCM del febbraio 2016 (il Provvedimento 2016, anch’esso già oggetto di commento su questa Newsletter) con cui il CNF era stato sanzionato per un ammontare complessivo di oltre 900 mila euro per inottemperanza al precedente provvedimento dell’ottobre 2014 (il Provvedimento 2014) (anch’esso già oggetto di commento su questa Newsletter), con cui l’AGCM aveva accertato l’adozione da parte del CNF di una condotta restrittiva della concorrenza.

Al fine di meglio comprendere il contenuto della Sentenza oggetto del presente commento è necessario ripercorrerne brevemente i vari passaggi non solo fattuali ma anche procedimentali. Tramite il Provvedimento 2014, l’AGCM aveva sanzionato il CNF per aver posto in essere una condotta contraria all’articolo 101 TFUE e consistente nell’adozione di due distinte circolari – la circolare n. 22-C/2006 (la Circolare 2006) in tema di tariffe minime per servizi resi, e la circolare n. 48 del 2012 (la Circolare 48/2012) relativa alle pratiche di reperimento clienti considerate come illecite – finalizzate a limitare in maniera significativa l’autonomia sul mercato dei professionisti. In particolare, tramite la Circolare 2006, il CNF ad avviso dell’AGCM aveva de facto reintrodotto l’abrogato sistema delle tariffe minime imponibili dagli avvocati per le proprie prestazioni professionali. Con la Circolare 48/2012, invece, il CNF – dietro richiesta esplicita di chiarimento da parte dell’Ordine degli Avvocati di Verbania – aveva ritenuto non conforme al dettato del Codice deontologico la pubblicità tramite web ed ha, pertanto, limitato l’utilizzo di canali promozionali ed informativi (nel caso in esame, quello offerto da una piattaforma di pagamento online denominata ‘Amica Card’) attraverso cui veicolare, tra le altre cose, la convenienza economica delle prestazioni professionali offerte, in quanto strumenti diretti al reperimento illecito di clienti in via generalizzata.

In seguito al ricorso presentato dal CNF, il TAR Lazio, con la sentenza del 17 giugno 2015 (la Sentenza 2015), aveva parzialmente annullato il suddetto Provvedimento 2014 (imponendo, pertanto, all’AGCM di rideterminare la sanzione imposta) nella parte relativa alla Circolare 2006, in quanto quest’ultima non avrebbe rappresentato la volontà del CNF di reintrodurre l’obbligatorietà delle tariffe minime; è stata, invece, confermata l’anticoncorrenzialità intrinseca alla Circolare 48/2012. La Sentenza 2015 veniva quindi riformata in appello dinnanzi al CdS con sentenza del 22 marzo 2016 (la Sentenza 2016), la quale ha accolto le doglianze avanzate dall’AGCM e ha riconosciuto il contenuto chiaramente anticoncorrenziale anche della Circolare 2006. Occorre sottolineare, però, che in pendenza del procedimento che avrebbe portato alla Sentenza 2016, l’AGCM aveva avviato nel maggio 2015 un procedimento di inottemperanza ai danni del CNF, in cui lamentava la mancata cancellazione della Circolare 48/2012. Successivamente ad un invito a controdedurre da parte dell’AGCM rimasto inevaso dal CNF, il procedimento in esame si è concluso con il Provvedimento 2016. Il CNF ha quindi presentato ricorso e – in pendenza del procedimento dinnanzi al TAR Lazio – ha comunicato in data 8 maggio 2016 di aver revocato la Circolare 48/2012, in attuazione del precedente Provvedimento 2014. Il TAR Lazio – come indicato in apertura – aveva quindi accolto tale ricorso escludendo qualsiasi ipotesi di inottemperanza da parte del CNF e accertando una lesione al diritto al contraddittorio dovuta al mancato verificarsi di un’audizione istruttoria nonché al mancato invio da parte dell’AGCM della Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (CRI), fondamentale per comprendere gli addebiti mossi.

Il CdS, con la sentenza oggetto del presente commento, ha rigettato l’appello avanzato dall’AGCM avverso la suddetta pronuncia del TAR Lazio, argomentando come segue: (i) in primis, il CdS ha notato come il provvedimento di revoca della Circolare 48/2012 da parte del CNF – adottato in occasione della prima adunanza utile del proprio Consiglio direttivo nell’aprile 2016 – non possa essere considerato come tardivo, in quanto l’obbligo ad agire in tal modo sarebbe derivato non dal Provvedimento 2014 bensì dalla Sentenza 2016, la quale – riformando la precedente Sentenza 2015 del TAR Lazio – ha posto in capo al CNF l’obbligo “certo e cogente” di ritirare la suddetta Circolare 48/2012; (ii) in secondo luogo, il CdS – adottando lo stesso approccio del TAR Lazio – ha riconosciuto la violazione delle garanzie del contraddittorio operata dall’AGCM dovuta alla mancanza della CRI e, quindi, della possibilità per il CNF di essere ascoltato nell’audizione finale dinnanzi al Collegio dell’AGCM sulla base di quanto dedotto in una “relazione istruttoria conclusiva”. Sul punto, il CdS ha considerato irrilevante il fatto che il procedimento in esame fosse relativo ad un’inottemperanza in quanto pur sempre relativo ad asserite infrazioni del diritto antitrust, le quali sono soggette – data la loro natura particolare – ad una disciplina di contraddittorio rafforzato; (iii) in ultimo, il CdS si è espresso anche relativamente alla violazione del principio del ne bis in idem. Sul punto, infatti, il CdS – richiamando la giurisprudenza della Corte Giustizia dell’Unione europea – ha riconosciuto come questo principio non osta all’imposizione da parte di un’autorità nazionale di una sanzione ‘duplice’ nel caso (ad esempio) sia ravvisata la sussistenza di una violazione della normativa nazionale e di quella europea. Tuttavia, la giurisprudenza in esame stabilisce che l’ammontare complessivo delle sanzioni considerate dev’essere proporzionato alla natura dell’infrazione. Nel presente caso, il CdS (anche in considerazione del mancato invio della CRI) non solo non ha ravvisato l’esistenza di una valutazione di proporzionalità operata dall’AGCM, ma ne ha escluso la sussistenza a priori, in quanto ha considerato che la decisione di imporre una sanzione per una presunta inottemperanza (oltretutto insussistente) per un ammontare pari a quello inflitto per la violazione ‘principale’ fosse sproporzionato.

La sentenza in esame riveste un’indubbia rilevanza al fine di meglio comprendere i cogenti oneri procedurali in capo all’AGCM, che non possono essere disattesi nemmeno in occasione di un procedimento di inottemperanza.

Luca Feltrin
------------------------------------------------------------------------------

Aumenti dei prezzi e COVID-19 - L’AGCM avvia un’indagine sull’aumento dei prezzi di generi alimentari, detergenti, disinfettanti e guanti

Il 7 maggio scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha annunciato con comunicato stampa di aver avviato un’indagine preistruttoria, per acquisire informazioni circa l’andamento dei prezzi – sia all’ingrosso che al dettaglio – di generi alimentari di prima necessità, detergenti, disinfettanti e guanti. In tale contesto, sono state inviate richieste di informazioni ad una pluralità di operatori della GDO tra cui Carrefour, Conad, Coop, MD, Lidl, Eurospin, F.lli Arena e alcuni Centri di Distribuzione aderenti a SISA, SIGMA e CRAI. Le richieste di informazioni interessano circa 3800 punti vendita, principalmente localizzati nell’Italia centrale e meridionale.

L’AGCM intende così appurare se gli aumenti di prezzo dei suddetti prodotti siano riconducibili a fenomeni di sfruttamento dell’emergenza sanitaria (di cui l’AGCM non ha per il momento individuato l’esatta qualificazione giuridica).

Più precisamente, sulla base di indagini preliminari svolte dall’AGCM sui dati ISTAT del marzo 2020, sussisterebbero aumenti di prezzo rispetto ai mesi precedenti, differenziati a livello provinciale. Secondo l’impostazione preliminare dell’AGCM, tali aumenti non sembrerebbero essere pienamente e direttamente attribuibili a ragioni strutturali che includono le maggiori vendite realizzate dagli esercizi di vicinato, la ridotta concorrenza tra punti vendita dovuta alla minore mobilità dei consumatori e le criticità legate all’offerta, dovute alle limitazioni alle attività di produzione e trasporto nonché all’incremento della domanda di alcuni prodotti.

In particolare, è stato riscontrato che i maggiori aumenti di prezzo avrebbero interessato “… aree non interessate da ‘zone rosse’ o da misure rafforzate di contenimento della mobilità …”. Per questi maggiori aumenti l’AGCM, ha precisato “… di non poter escludere che siano dovuti anche a fenomeni speculativi …”. 

L’avvio dell’indagine in esame conferma la volontà dell’AGCM di monitorare con particolare attenzione (e reprimere) alcuni comportamenti potenzialmente illeciti adottati degli operatori commerciali in relazione all’emergenza Coronavirus. Tuttavia, non può non notarsi l’incertezza riguardante le basi giuridiche poste a fondamento dell’intervento dell’AGCM. Non è chiaro, infatti, se l’AGCM ipotizzi la violazione delle norme sulla concorrenza o di quelle poste a tutela del consumatore; ovvero, nell’ambito di queste ultime, quale sia il profilo rilevante. Per il momento non resta che attendere ulteriori sviluppi.

Roberta Laghi
-----------------------------------------------------------------------------------------

Energy / Energia e impianti fotovoltaici – Il TAR Lazio statuisce che l’interesse alla tutela del paesaggio deve cedere il passo a quello economico in presenza di adeguata motivazione

Con la sentenza n. 4793 del 7 maggio 2020, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR Lazio) ha respinto il ricorso del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Mibact) contro l’autorizzazione unica regionale, rilasciata nel settembre 2019, all’impianto fotovoltaico da 17,28 MW nel comune di Tuscania, in provincia di Viterbo.

Per contestualizzare la sentenza in commento è bene ricordare che per l’autorizzazione di un progetto di questo tipo, ai sensi dell’articolo 27 bis del D.Lgs. 152/2006, è prevista la convocazione di una conferenza di servizi alla quale partecipano il proponente del progetto e tutte le amministrazioni competenti o comunque potenzialmente interessate nella sua realizzazione. In casi del genere, la determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale, comprensivo anche del provvedimento di valutazione di impatto ambientale e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto.

Nel caso di specie, a seguito della presentazione del progetto di impianto fotovoltaico e della preliminare fase di consultazione del pubblico, si è tenuta la necessaria conferenza di servizi, in modalità sincrona, con l’acquisizione dei pareri delle amministrazioni interessate: la Regione Lazio, il Comune di Tuscania, il Mibact e la Sovraintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per la provincia di Viterbo (la Sovraintendenza). Tutte le pubbliche amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi hanno espresso parere favorevole, ad eccezione della Sovraintendenza che ha espresso parere contrario.

Con una delle censure, il Mibact ha dedotto un vizio nella determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi (e quindi dell’autorizzazione) in quanto (i) non era stato adeguato riscontro alle valutazioni espresse dalla Sovraintendenza; e (ii) si era data ingiusta prevalenza all’interesse economico rispetto a quello paesaggistico.

Il TAR Lazio ha ritenuto tale censura infondata. In relazione al primo punto, ha sottolineato che l’assenza, infatti, di vincoli archeologici e paesaggistici sull’area interessata dal progetto rende “… intrinsecamente non vincolante il parere contrario [della Sovraintendenza], non esistendo impedimenti legali legati alla realizzazione del progetto …”. Pertanto, il TAR Lazio ha confermato che l’amministrazione procedente ha correttamente adottato la determinazione motivata di conclusione della conferenza sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni tramite i rispettivi rappresentanti.

In relazione al secondo punto, il TAR Lazio ha ritenuto legittima la valutazione di prevalenza dell’interesse pubblico alla realizzazione del progetto in quanto sorretta da un’adeguata motivazione: nel provvedimento autorizzatorio, infatti, era stato richiamato il c.d. Decreto ‘Burden Sharing’, adottato dal Ministero per lo Sviluppo economico, che ha indicato, per il Lazio, l’obiettivo vincolante della copertura del fabbisogno energetico, entro il 2020, con una percentuale pari all’11,9% di energia derivante da fonti rinnovabili.

I due punti soprariportati, come anche sottolineato nella sentenza in commento, sono poi stati ritenuti in linea con la giurisprudenza per cui l’autonomia del potere provvedimentale dell’autorità in questione non è soggetta al sindacato del giudice amministrativo, purché sorretta da un’adeguata motivazione.

Alla luce di ciò, il TAR Lazio ha concluso che il provvedimento autorizzatorio deve ritenersi legittimo non solo in quanto è stato dato adeguato riscontro al parere contrario della Sovraintendenza ma anche perché la valutazione dell’interesse pubblico prevalente alla realizzazione del progetto è stata assistita da una motivazione congrua e immune da vizi di legittimità.

Mila Filomena Crispino
---------------------------------------------------------------------