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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza/Concentrazioni e settore dei software per le compagnie aeree e agenzie di viaggio – L’autorità nazionale per la concorrenza britannica vieta l’acquisizione di Farelogix da parte di Sabre

Nel 2019 la Competition and Markets Authority (CMA), autorità britannica per la tutela della concorrenza, aveva valutato l’operazione (del valore di oltre $350 milioni) nel settore dei software per le compagnie aeree e le agenzie di viaggio, in virtù della quale Sabre Corporation (Sabre) avrebbe acquisito Farelogix Inc. (Farelogix) (Operazione). Ad esito della c.d. Fase I aveva concluso in via preliminare che l’Operazione avrebbe potuto comportare una significativa riduzione del grado di concorrenza. Ciò, con riguardo (i) alla fornitura su scala globale di soluzioni di merchandising; e (ii) alla fornitura, anch’essa su scala globale, di soluzioni di distribuzione. Per tale ragione la CMA aveva disposto l’avvio di una c.d. Fase 2, volta ad approfondire le criticità concorrenziali inizialmente riscontrate. Nel Final Report della CMA (Decisione), pubblicato il 9 aprile 2020, dette criticità sono state confermate e, valutata l’inidoneità di ogni rimedio a superarle, è stato disposto il divieto di procedere con l’Operazione.

Con riguardo alla prima delle due criticità evidenziate concernenti le soluzioni IT di merchandising, la CMA ha rilevato che Sabre fornisce alle compagnie aeree servizi di c.d. Passenger Service Systems (PSS), ossia soluzioni IT per prenotazioni, inventario e controllo delle partenze (c.d. PSS core) e oltre che servizi accessori e di gestione delle operazioni (c.d. PSS non-core). La sovrapposizione con Farelogix, peraltro, era limitata a quest’ultima area, invece, in quanto Farelogix è attiva solo nella fornitura di soluzioni IT c.d. PSS non-core.

Le soluzioni di merchandising (offerte da entrambi gli operatori) costituiscono un “modulo” delle PSS non-core mediante cui le compagnie aeree possono creare delle offerte che consentano ai propri clienti di acquistare servizi accessori come bagagli extra, parcheggi in aeroporto etc. Tuttavia, affinché le compagnie aeree possano vendere biglietti e servizi accessori, è necessario che le soluzioni PSS core e le PSS non-core siano integrate tra loro. Ciò è possibile per le soluzioni PSS non-core offerte da Farelogix, che possono essere integrate con quelle core di altri operatori ma non è possibile per quelle di Sabre, che possono essere integrate con le sole soluzioni IT PSS core della medesima società.

Nella Decisione, la CMA ha riscontrato che Farelogix è uno degli operatori in grado di esercitare la maggior pressione concorrenziale, mentre Sabre occupa un ruolo di secondo piano nel mercato delle soluzioni di merchandising. Ciononostante, svolgendo un’analisi controfattuale, considerando l’evoluzione del settore in assenza dell’Operazione, la CMA ha ritenuto che Sabre, spinta dalla concorrenza di Farelogix, avrebbe potuto – stando ai documenti interni della società – sviluppare nel medio termine soluzioni proprie, in grado di consentire ai propri “moduli” di merchandising di essere integrati con quelli di altri operatori, modifica e che le avrebbero permesso di rafforzare la propria posizione sul mercato, spingendo anche altri operatori concorrenti ad innovare.

Pertanto, il diminuito grado di concorrenza risultante dall’Operazione causerebbe, secondo la CMA, oltre ad un aumento dei prezzi, anche l’immediato abbandono dei progetti di innovazione da parte di Sabre, e ciò avrebbe, in una sorta di effetto a catena, conseguenze anche sull’impegno in termini di innovazione da parte degli altri operatori concorrenti. Da questo conseguirebbe una riduzione complessiva dell’innovazione nel settore delle soluzioni di merchandising in termini di minor scelta per i clienti, minori funzioni disponibili e di rilascio meno tempestivo di upgrade.

Con riguardo alla seconda area in relazione alla quale la CMA aveva espresso preoccupazioni, ossia le soluzioni di distribuzione, Sabre dispone di uno dei tre principali GDS al mondo (Global Distribution System), piattaforme a doppio versante che essenzialmente consentono la vendita di biglietti aerei ad agenti di viaggio e agenzie di viaggio online (cosiddetti OTA). Farelogix, invece, non fornisce i propri servizi agli agenti di viaggio ma solo alle compagnie aeree. Tra questi servizi, ne spicca uno in grado di connettere direttamente le compagnie aeree agli agenti di viaggio, sia direttamente, sia tramite un GDS, attraverso un nuovo standard chiamato “New Distribution Capability” (NCD).

Con riguardo al mercato delle soluzioni di distribuzione, la CMA ha svolto nella Decisione considerazioni analoghe e quelle riguardanti il mercato delle soluzioni di merchandising, ritenendo che l’Operazione causerebbe una riduzione dell’innovazione. Inoltre, dall’Operazione deriverebbe anche un incremento dei prezzi dovuto alla riduzione dei volumi che le compagnie aeree sarebbero in grado di dirottare su canali diversi da quello dei GDS (come quelli della tipologia fornita attualmente da Farelogix). Veicolare maggiori volumi sui canali dei GDS, infatti, comporta un incremento dei costi distributivi per le compagnie aeree.

Sulla base di quanto sopra, unitamente alle considerazioni svolte in termini di barriere all’ingresso (ritenute elevate), potere contrattuale delle compagnie aeree (giudicate insufficiente) e efficienze, la CMA ha confermato che l’Operazione avrebbe determinato una sostanziale riduzione del grado di concorrenza nei mercati interessati.

Sono stati pertanto esaminati i rimedi – di natura esclusivamente comportamentale – proposti dalle parti. Questi, tuttavia, sono stati ritenuti insufficienti per superare le preoccupazioni concorrenziali riscontrate. La CMA ha comunque valutato, e quindi escluso, che rimedi di natura strutturale, che la stessa CMA nella Decisione dichiara espressamente di preferire, sarebbero stati considerati idonei a superare le menzionate criticità concorrenziali. Alla luce di ciò, la CMA ha quindi deciso di proibire l’Operazione, ritenendo il divieto misura idonea e proporzionata alla tutela della concorrenza nei mercati rilevanti.

La Decisione in commento è di particolare interesse per innumerevoli ragioni.

Anzitutto, alcune riserve sono state espresse con riguardo ad un possibile difetto di giurisdizione della CMA che, in assenza di fatturati che superassero le soglie idonee a far ‘scattare’ il suo controllo, si sarebbe servita, a tal fine, di una interpretazione davvero estensiva del c.d. supply test. In secondo luogo, il divieto dell’Operazione deciso dalla CMA confligge con la decisione di segno opposto adottata sulla medesima operazione solo pochi giorni prima da un giudice del Delaware, pronunciatosi a favore delle parti e contro il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti; tale conflitto appare tanto più significativo alla luce della medesima valutazione circa la dimensione globale del mercato adottata sia dalla CMS, sia dal giudice statunitense. In terzo luogo, la decisione della CMA e quella statunitense confliggono con riguardo alla definizione del mercato, in particolare in merito alla possibilità di ritenere concorrenti tra loro soggetti che operano su piattaforme a due versanti (Sabre, in veste di GDS) e provider di servizi NDC (Farelogistix) che sono attivi su un mercato ad un solo versante, fornendo le sole compagnie aeree. Infine, è interessante notare che la Decisione contiene anche un riferimento all’attuale emergenza dovuta al Coronavirus: la CMA, infatti, precisa che l’effetto dirompente della pandemia sul settore dei viaggi non è in grado di mutare la sua valutazione concorrenziale.

Non resta che da vedere, adesso, quali saranno i prossimi passi dei soggetti coinvolti nell’Operazione, da un lato e dall’altro dell’Atlantico.

Roberta Laghi
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Acquisizione di partecipazioni di minoranza e settore del food delivery - La CMA approva provvisoriamente l’acquisizione di una partecipazione di minoranza di Amazon in Deliveroo in conseguenza degli effetti del coronavirus

Lo scorso 17 aprile la Competition and Markets Authority (CMA) ha pubblicato la propria decisione  (Decisione) con cui ha approvato provvisoriamente l’acquisizione di una partecipazione di minoranza di Amazon.com NV Investment Holdings LLC (Amazon) in Roofoods Ltd (Deliveroo), alla luce del deterioramento della posizione finanziaria di Deliveroo, dovuta alla situazione emergenziale in atto, i cui effetti si sono ripercossi negativamente a seguito della chiusura di molti ristoranti associati a Deliveroo, con conseguente riduzione dei ricavi per la stessa piattaforma.

Tale operazione (Operazione) era stata notificata alla CMA in quanto alcuni dei diritti connessi all’investimento consentirebbero ad Amazon di esercitare una “influenza significativa” sugli altri azionisti e membri del consiglio di amministrazione di Deliveroo, (anche alla luce dell’esperienza di Amazon nella gestione di piattaforme per il commercio online, di reti di logistica e di servizi online disponibili previa iscrizione), tale per cui l’Operazione risultava, dunque, notificabile ai sensi del diritto inglese.

Con la Decisione, la CMA ha provvisoriamente stabilito che, date le peculiari e straordinarie circostanze, l’uscita (forzata) di Deliveroo dal mercato sarebbe inevitabile senza il tempestivo intervento a supporto finanziario da parte di Amazon (l’unico soggetto in grado di realizzare ciò, facendo sì che Deliveroo possa preservare la propria attività commerciale). L’uscita dal mercato di Deliveroo (e la conseguente riduzione della pressione competitiva sui concorrenti di quest’ultimo), infatti, potrebbe significare prezzi più alti o riduzione della qualità del servizio e della scelta per i consumatori; al riguardo, la CMA ha valutato che l’uscita di Deliveroo dal mercato determinerebbe complessivamente un effetto maggiormente dannoso sulla concorrenza rispetto a quello che deriverebbe dall’approvazione dell’Operazione.

Tale Decisione è indubbiamente interessante, anche tenuto conto del fatto che, in occasione dell’avvio della c.d. Fase 2 dell’istruttoria relativa all’Operazione (dello scorso 27 dicembre e già oggetto di precedente commento), la CMA aveva preliminarmente considerato che la stessa Operazione avrebbe probabilmente danneggiato la concorrenza, in quanto essa avrebbe sostanzialmente scoraggiato Amazon dal ri-avviare direttamente il proprio business nel settore della ristorazione e vendita di cibo online (peraltro già abbandonato nel 2018).

La CMA, dunque, ha provveduto a riformulare le proprie valutazioni, proprio per tenere conto degli impatti del coronavirus sulle attività commerciali portate avanti dalle società (a beneficio, in ultima istanza, dei consumatori).
Tuttavia, occorre considerare che tali conclusioni sono da ritenersi ancora provvisorie e che i soggetti interessati avranno la possibilità di trasmettere alla CMA le proprie osservazioni entro l’11 maggio 2020 (il termine finale della chiusura del procedimento è fissato per l’11 giugno 2020).

Filippo Alberti
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Tutela del consumatore/Pratiche commerciali scorrette e settore della biglietteria online – Il CdS conferma l’annullamento del provvedimento sanzionatorio ai danni di TicketOne concernente il bagarinaggio online

Con la sentenza dello scorso 14 aprile, il Consiglio di Stato (CdS) ha respinto nella sua interezza l’appello presentato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) avverso la precedente pronuncia del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR) (già oggetto di commento in questa Newsletter), che aveva parzialmente accolto i motivi di doglianza avanzati dalla società TicketOne S.p.A. (TicketOne) volti ad ottenere l’annullamento del provvedimento (Provvedimento) – emanato dall’AGCM in data 5 aprile 2017 – conclusivo del procedimento PS8035 ‘TicketOne-Biglietti non disponibili’.

Con tale Provvedimento, l’AGCM aveva sanzionato TicketOne per un ammontare complessivo di €1 milione per aver posto in essere una condotta lesiva dei diritti dei consumatori e consistente nell’aver omesso di adottare: i) misure atte a contrastare l’acquisto massivo di biglietti tramite procedure e sistemi automatizzati (i cc.dd. ‘ticketbots’) volti a falsare il numero di biglietti realmente disponibili sul mercato primario e comportando, così, una vendita degli stessi a prezzi maggiorati sul mercato secondario; e ii) procedure di controllo ex post volte a garantire la verifica dell’identità dei soggetti acquirenti.

Come detto, il TAR aveva accolto parzialmente il ricorso presentato da TicketOne, nella misura in cui quest’ultima lamentava l’illegittimità del Provvedimento per gravi ed incolmabili lacune istruttorie; nonché l’eccessiva onerosità della sanzione inflittale. Il TAR aveva, invece, dichiarato inammissibile la doglianza secondo cui il Provvedimento de quo sarebbe stato illegittimo in quanto ha sanzionato una pratica commerciale scorretta senza previamente qualificarla né come aggressiva né come ingannevole.

L’AGCM ha presentato appello avverso tale sentenza basandolo su tre motivi. In particolare, ad avviso dell’AGCM, il TAR avrebbe errato nella ricostruzione non solo fattuale della vicenda in oggetto ma anche dei presupposti per l’applicazione della disciplina relativa alle pratiche commerciali scorrette. Il TAR avrebbe, infatti, adottato un’interpretazione errata della normativa rilevante, stabilendo che il Provvedimento avrebbe dovuto necessariamente dimostrare l’esistenza di un reale vantaggio per il professionista nonché di un pregiudizio ai danni del consumatore, individuando così parametri, secondo l’AGCM, diversi ed ulteriori rispetto a quelli indicati all’articolo 20 del Codice del Consumo.

Il CdS, confermando la sentenza del TAR, ha respinto nel merito tutti i suddetti motivi di ricorso in quanto caratterizzato da gravi lacune istruttorie. In particolare, secondo il CdS, l’AGCM avrebbe inter alia mancato di soddisfare l’onus probandi su questa gravante circa la correlazione tra l’attività di vendita di biglietti operata da TicketOne e l’impatto sui consumatori che lamentano una lesione dei loro diritti. In aggiunta, l’AGCM non avrebbe adeguatamente considerato gli elementi prodotti da TicketOne, i quali contraddicono in radice le contestazioni mosse nei suoi confronti.

Di rilevante interesse risulta essere, peraltro, il rigetto da parte del CdS del motivo incidentale d’appello avanzato da TicketOne, la quale ha riproposto la doglianza circa la mancata qualifica della pratica commerciale scorretta come aggressiva o ingannevole. Sul punto, il CdS ha riconosciuto la bontà del ragionamento del TAR e lo ha adottato in sede decisoria. Infatti, il CdS ha indicato come la categoria delle pratiche commerciali scorrette costituisca un “genus unitario di illecito”, che vede i propri elementi costitutivi indicati all’articolo 20 del Codice del Consumo. In particolare, il CdS ha sottolineato come la mancata caratterizzazione dell’illecito in termini di ingannevolezza e aggressività possa comunque comportare l’applicazione della fattispecie normativa qualora venga comunque accertata una violazione della diligenza professionale che “ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti”.

Il CdS, infine, ha inteso ulteriormente specificare che – secondo una corretta interpretazione delle espressioni concernenti la “diligenza professionale” e la “decisione di natura commerciale” – l’assenza di un effettivo contatto ‘negoziale’ tra TicketOne ed un consumatore che ha risentito di un dato pregiudizio non osta alla configurabilità di un illecito. Infatti, ad avviso del CdS, all’interno del concetto di ‘diligenza professionale’ rientrano anche gli adempimenti organizzativi richiesti al fine di contrastare fenomeni lesivi quali l’acquisto massivo di biglietti. Inoltre, la nozione di ‘decisione di natura commerciale’ permette l’inclusione, tra le pratiche idonee “ad indurre un consumatore ad assumere una decisione che non avrebbe altrimenti preso”, non solo della condotta atta a convincere il consumatore a concludere un contratto, ma anche di quella del rivenditore il quale abbia posto il consumatore nell’impossibilità di finalizzare l’acquisto del biglietto sulla propria piattaforma e l’abbia spinto, così, a proseguire la transazione su canali meno favorevoli.

La sentenza oggetto del presente commento risulta, pertanto, di particolare rilievo non tanto per la conferma del necessario rispetto degli oneri probatori posti in capo all’AGCM ma, piuttosto, nell’interpretazione estensiva circa la fattispecie di condotta commerciale scorretta, in particolare nella parte in cui riconosce la possibilità di una sua applicazione anche in assenza di una effettiva stretta connessione negoziale tra la condotta dell’impresa ed i consumatori. Non resta che attendere decisioni e sentenze future per constatare se tale approccio sarà confermato.

Luca Feltrin
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Pratiche commerciali scorrette e integratori alimentari – Il Consiglio di Stato esclude l’ingannevolezza della campagna pubblicitaria di Named

Lo scorso 10 aprile, il Consiglio di Stato (CdS) ha confermato la sentenza con cui il TAR Lazio (TAR) aveva accolto il ricorso proposto dalla società Named S.p.A. (Named) avverso il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), con il quale era stata accertata una pratica commerciale ingannevole posta in essere dalla società.

Più nel dettaglio, l’oggetto del contenzioso ha riguardato la campagna pubblicitaria di Named per la promozione di un integratore alimentare denominato “Immun’Age”, derivante dalla papaya e appartenente alla categoria dei c.d. botanicals. Named, tramite diversi canali (sito internet, TV, stampa), aveva diffuso messaggi pubblicitari che esaltavano specifiche proprietà del prodotto, e in particolare, la sua efficacia come coadiuvante per il trattamento di gravi patologie, come il Parkinson, l’Alzheimer, l’AIDS e tumori.

Nel settembre 2014, l’AGCM era intervenuta qualificando la predetta condotta come una pratica commerciale ingannevole, in quanto idonea ad indurre nei consumatori il convincimento che il prodotto fosse in grado di evitare l’insorgenza di malattie, nonché di creare una situazione di allarme e pericolo nei destinatari dei messaggi. In particolare, l’AGCM aveva richiamato il Regolamento CE n. 2006/1924, il quale attribuisce alla Commissione europea (Commissione), avvalendosi della collaborazione scientifica dell’EFSA (European Food Safety Authority), il compito di autorizzare l’uso delle indicazioni nutrizionali e sulla salute ammesse per i prodotti alimentari. L’AGCM aveva poi individuato nel decreto del 9 luglio 2012 del Ministero della Salute, recante la “Disciplina dell'impiego negli integratori alimentari di sostanze e preparati vegetali”, una lista provvisoria di claim autorizzati in Italia nel settore dei prodotti vegetali. Dal momento che le qualità salutistiche del prodotto “Immun’Age” non erano stati oggetto di valutazione scientifica secondo l'iter comunitario previsto, né rientravano tra le claim incluse nell’elenco del decreto, l’AGCM aveva ritenuto che dovessero considerarsi mendaci. Secondo l’AGCM, infine, non era necessario procedere ad una autonoma valutazione dell’efficacia del prodotto, valutando la veridicità dei claim anche sulla base delle evidenze scientifiche prodotte dalla società nel corso del procedimento.

Tale ricostruzione è stata rigettata dal TAR, il quale aveva accolto il ricorso di Named, annullando il provvedimento dell’AGCM. Con la sentenza in esame, il CdS ha sostanzialmente avvallato le conclusioni del TAR, dando definitivamente ragione alla società Named.

In particolare, il CdS ha evidenziato che l’utilizzo di claim non rientranti tra quelli autorizzati dalla Commissione di un prodotto riconducibile alla categoria dei c.d. botanicals non potesse costituire il presupposto principale per sostenere l’antigiuridicità del comportamento di Named. Il CdS, infatti, ha richiamato i considerando 10 e 11 del Regolamento UE n. 2012/432, secondo cui la valutazione scientifica delle sostanze “botaniche” non era stata ancora completata dalla Commissione e pertanto si consentiva l’utilizzo provvisorio di indicazioni sulla salute per tali prodotti. Il CdS ha poi negato la rilevanza del decreto del Ministero della salute del 9 luglio 2012, in quanto esso non farebbe in nessuna parte riferimento ai claim pubblicitari. Il CdS ha così chiarito l’assenza di un divieto di utilizzo di claim con riferimento al prodotto in questione, per mancanza di una norma che disponga in tal senso. Il CdS, infine, ha aggiunto un’ulteriore considerazione in relazione alla capacità ingannevole del messaggio pubblicitario, in virtù dell’effetto allarmistico e di pericolo denunciato dall’AGCM. Il CdS ha ritenuto che tale capacità ingannevole non poteva rinvenirsi dall’analisi delle espressioni utilizzate da Named, sottolineando che esse facevano frequentemente riferimento al ruolo di “coadiuvante”, di “rafforzamento” e di “aiuto” alle fisiologiche difese immunitarie dell’organismo che poteva avere il prodotto.

In conclusione, il CdS ha constatato un decisivo errore di interpretazione della disciplina di settore da parte dell’AGCM, che, in assenza di una completa valutazione del merito, ha determinato il crollo dell’intera architettura accusatoria.

Luigi Eduardo Bisogno
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Legal news/Consiglio di Stato ed energivori – Il Consiglio di Stato sancisce la legittimità della normativa nazionale sugli energivori che riconosce sgravi sugli oneri generali di sistema unicamente al sistema manifatturiero.

Con la sentenza n. 2437 del 16 aprile 2020, il Consiglio di Stato (CdS) ha confermato la decisione con cui nel 2014 il TAR Lombardia aveva respinto i ricorsi di Federdistribuzione e di una serie di società del settore della grande distribuzione organizzata (Ricorrenti). I Ricorrenti avevano lamentato la violazione del diritto europeo da parte della normativa nazionale che limitava alle sole imprese attive nel settore manifatturiero le agevolazioni relative agli oneri generali di sistema per le imprese “a forte consumo di energia” (c.d. imprese energivore).

Più nello specifico, escludendo le imprese della grande distribuzione dai benefici fiscali e dalla rideterminazione degli oneri generali del sistema elettrico, secondo le Ricorrenti, la normativa nazionale contenuta nel Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e nelle successive delibere dell’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA, già AEEG e, poi, AEEGSI) avrebbe violato la Direttiva 2003/96/CE relativa al quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità (Direttiva).

In tale contesto, nell’ambito di separato giudizio, il CdS ha sollevato questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) per vagliare la compatibilità della disciplina nazionale con la Direttiva. Nella causa C-189/15, con sentenza del 18 gennaio 2017, la CGUE ha precisato che la Direttiva, laddove definisce la nozione di impresa energivora, prevede che gli Stati membri possano applicare concetti più restrittivi, compresi il valore del fatturato e le “definizioni di processo e di settore”. Per questo motivo, gli Stati membri sono liberi di limitare il beneficio degli sgravi fiscali a favore di imprese a forte consumo di energia a quelle attive in uno o di più settori industriali nel rispetto dei principi generali di ragionevolezza, proporzionalità e par condicio.

Sulla base di tale statuizione, il CdS ha ritenuto legittima la normativa nazionale nella parte in cui stabilisce che gli incentivi non spettano a tutte le imprese energivore ma solo a quelle operanti nel settore manifatturiero, sottolineando che ciò trova giustificazione, secondo un principio di ragionevolezza, nel tipo di attività che esse svolgono. Tali attività, infatti, sono connotate dalla circostanza che l’energia costituisce un costo non comprimibile, nel senso che imprese del settore manifatturiero trovano particolari difficoltà a ridurre i propri consumi di energia in rapporto al valore produttivo. Ciò, diversamente dalle imprese operanti nel settore della prestazione di servizi (quali le imprese operanti nel settore della grande distribuzione), le quali, in linea generale, secondo il CdS si troverebbero nella condizione di poter più facilmente ridurre i propri consumi energetici, tendenzialmente fino al punto di non essere più imprese energivore ai sensi della Direttiva e della normativa nazionale che l’ha trasposta.

La sentenza in commento risulta di particolare importanza in quanto chiarisce in via definitiva quali imprese possano beneficiare di agevolazioni sugli oneri generali di sistema, i quali rappresentano ormai una quota crescente e sempre più significativa della spesa totale annua di energia elettrica degli utenti finali.

Mila Filomena Crispino
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Consiglio di Stato e misure di self-cleaning – Il Consiglio di Stato sancisce l’irretroattività degli effetti delle misure di self-cleaning sull’affidabilità dell’operatore economico

Lo scorso 6 aprile è stata pubblicata la sentenza con cui il Consiglio di Stato (CdS) si è pronunciato relativamente all’esclusione di due operatori economici – la cui identità è stata mantenuta confidenziale – (Ricorrenti) da due procedure di gara (Gare Sanità e Caserme) indette da Consip S.p.A. (Consip). L’esclusione era stata giustificata da Consip sulla base dell’accertamento, operato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), la quale aveva constato che i Ricorrenti avevano coordinato i propri comportamenti, colludendo, in relazione ad una precedente e diversa gara (Gara Scuole) sempre indetta da Consip compromettendo la propria affidabilità agli occhi della stazione appaltante. I Ricorrenti, adottate le misure di c.d. self-cleaning previste dall’articolo 80, comma 7, del Codice degli Appalti, avevano ottenuto dal giudice amministrativo, in sede cautelare, la riammissione alla procedura di gara. Tuttavia, chiamata a rinnovare la propria valutazione sull’affidabilità dei Ricorrenti alla luce di tali misure, Consip li aveva però nuovamente e definitivamente esclusi.

Con la sentenza in esame, il CdS ha confermato la legittimità della decisione di Consip di escludere i Ricorrenti dalle Gare Sanità e Caserme sulla base dell’infrazione accertata dall’AGCM nell’ambito della Gara Scuole. Pur confermando la tesi dei Ricorrenti secondo cui l’esclusione dalle gare non possa essere una conseguenza automatica dell’accertamento di un illecito da parte dell’AGCM, il CdS ha escluso che Consip abbia deliberato l’esclusione secondo un simile automatismo, riconoscendo invece alla stessa Consip di avere maturato legittimamente un giudizio di inaffidabilità nei confronti dei Ricorrenti alla luce del “grave errore” professionale commesso da tali operatori nell’adottare la condotta illecita. La sentenza chiarisce inoltre che il giudizio della stazione appaltante non è riferito alla futura esecuzione del singolo contratto in via di affidamento, ma, più in generale, all’effettiva attendibilità del rispetto delle regole di correttezza nei rapporti professionali da parte degli operatori al momento della partecipazione alla gara de quo.

Inoltre, il CdS ha confermato che la seconda deliberazione di esclusione di Consip correttamente non abbia tenuto conto delle misure di self-cleaning adottate medio tempore tra la presentazione dell’offerta e il momento della valutazione. L’effetto di tali misure non è di sanare retroattivamente l’illiceità scoperta ma di dare la possibilità all’operatore di continuare ad operare sul mercato partecipando a gare. Ciò in quanto in assenza di tali misure di self-cleaning ogni stazione appaltante potrebbe presumere tale impresa inaffidabile. Ne consegue che il momento rilevante per valutare l’esclusione da un procedimento di gara è quello della situazione dell’impresa all’atto di partecipare alla gara. Successive misure correttive, non presenti in tali momento, non possono ex post sanare tale valutazione di inaffidabilità.
Nel caso di specie, il CdS ha parzialmente riformato la sentenza impugnata.

In conclusione, la sentenza in discorso associa la valutazione della stazione appaltante sull’affidabilità dell’operatore economico al momento in cui quest’ultimo formula l’offerta nella gara, escludendo la possibilità che tale valutazione debba essere modificata in ragione di eventi successivi rispetto alla formulazione dell’offerta stessa.

Riccardo Fadiga
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