Skip to main content

Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza in Italia / Intese e diritto di accesso agli atti – Il TAR Lazio chiarisce il confine tra diritto di difesa e accesso alle dichiarazioni rese nell’ambito dei programmi di clemenza

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR) si è pronunciato sul ricorso proposto dalla società MP Silva in Liquidazione S.r.l. (MPS) avverso il provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva rigettato l’istanza di accesso agli atti relativi al procedimento nell’ambito del quale aveva sanzionato, inter alia, MPS.

La vicenda ha origine quando l’AGCM, nell’ambito di un’istruttoria (n. I814) volta ad accertare l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza atta alla spartizione dello sfruttamento commerciale dei diritti audiovisivi internazionali per la trasmissione dei campionati di calcio organizzati dalla Lega Nazionale Professionisti Serie A (LNPA), rigettava le reiterate istanze di accesso ad alcuni dei documenti contenuti nel fascicolo istruttorio, e in particolare ad alcuni documenti a detta di MPS essenziali per la difesa nonché ad alcune dichiarazioni orali confessorie rese nell’ambito del programma di clemenza dal leniency applicant. L’AGCM giustificava tale diniego adducendo la ragione della irrilevanza dei documenti richiesti ai fini del procedimento.

Opponendosi ai motivi di ricorso, l’AGCM ne eccepiva l’inammissibilità trattandosi di una richiesta concernente documenti rispetto ai quali l’accesso era già stato negato con provvedimenti che MPS non aveva impugnato. Si era inoltre costituita anche la LNPA eccependo il sopravvenuto difetto di interesse della ricorrente alla luce dell’intervenuta conclusione del provvedimento attraverso l’adozione del provvedimento sanzionatorio dell’AGCM ma quest’ultima eccezione è stata rigettata, in quanto il TAR ha ribadito l’ovvia considerazione che l’accesso agli atti risulta utile ai fini difensivi anche astrattamente, all’esterno del procedimento, per esempio per l’impugnazione della decisione dell’AGCM, e confermando dunque che all’intervenuto provvedimento sanzionatorio e alla conclusione del procedimento non consegue la cessazione dell’interesse all’accesso ai documenti.

Il TAR ha invece rilevato la fondatezza dell’eccezione sollevata dall’AGCM: avendo la ricorrente già chiesto l’ostensione dei medesimi documenti senza successo, peraltro reiterando la medesima istanza senza nuove giustificazioni o qualificazioni, ossia mantenendo la medesima motivazione, e avendo d’altro canto l’AGCM analogamente reiterato le precedenti risposte negative per le identiche ragioni, il TAR non ha potuto rilevare alcuna giustificazione per la mancata impugnazione del diniego già ricevuto in precedenza, respingendo il ricorso di MPS.

In chiusura della sentenza il TAR si è soffermato inoltre sul tema del necessario bilanciamento tra l’esigenza di garantire i diritti di difesa e quella di evitare che risulti compromessa la riservatezza delle informazioni fornite nell’ambito dei programmi di clemenza al fine di non minare il sistema di incentivi allo stesso sotteso e inficiare l’utilità di tali programmi. Al riguardo, il TAR pare assumere una posizione piuttosto decisa nel senso che l’accesso a documentazione rispetto alla quale l’AGCM affermi l’estraneità al procedimento istruttorio si giustificherebbe solo sul presupposto che l’AGCM commetta “un improbabile mendacio o un grossolano errore” nell’affermare l’irrilevanza e inutilizzabilità della documentazione.

Dalla vicenda in discorso emerge dunque un interessante profilo relativo al bilanciamento del diritto di accesso con quello di riservatezza, anche se sembra farsi un passo indietro circa le modalità per garantire il pieno esercizio del diritto di difesa delle parti in un sistema dove, nell’ambito del procedimento amministrativo, chi contesta una infrazione e chi decide sulla fondatezza della contestazione sono lo stesso soggetto.

Riccardo Fadiga
------------------------------------------------------------------------------

Tutela del consumatore / Tutela del consumatore e contratti di mutuo – La Corte di Giustizia dell’UE fornisce un utile chiarimento in relazione ad alcune clausole abusive/vessatorie

Con la sentenza del 19 settembre 2019 la Corte di Giustizia (CdG o Corte), nel contesto del rinvio pregiudiziale proposto da una corte ungherese su una controversia riguardante un contratto di mutuo, ha chiarito l’interpretazione di alcune disposizioni della direttiva 93/13/CE (la Direttiva) che disciplina le clausole abusive/vessatorie nei contratti con i consumatori (trasposta nel nostro ordinamento negli artt. 33 ss. del Codice del Consumo, ed in precedenza negli artt. 1469-bis ss. del Codice Civile).

In primo luogo, oggetto della questione posta dal giudice del rinvio è l’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva, il quale dispone che “…[u]na clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto…”. Il successivo paragrafo 3 del medesimo articolo rinvia all’allegato che contiene un “…elenco indicativo e non esauriente di clausole che [in ragione del loro oggetto o effetto] possono essere dichiarate abusive…”. Sul punto la CdG ha confermato che tale elenco concerne clausole che non necessariamente devono considerarsi abusive, in quanto spetta al giudice nazionale stabilire se una determinata previsione, contravvenendo al requisito della buona fede, determini uno squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti del contratto tale da renderla qualificabile come abusiva. Pertanto, ha stabilito la Corte, una clausola che non è stata oggetto di negoziato individuale, sebbene abbia per oggetto o per effetto di invertire l’onere della prova a svantaggio del consumatore, non può essere definita abusiva in modo generale e senza un ulteriore esame.

Ciò posto, ricorda la CdG, gli Stati membri restano comunque liberi di garantire un più elevato grado di tutela del consumatore attraverso disposizioni di diritto nazionale che dichiarino comunque abusive la tipologia di clausole in parola, senza che a tal fine sia necessario un ulteriore esame.

La seconda questione oggetto del rinvio pregiudiziale riguardava il combinato disposto tra l’articolo 3, paragrafo 1, e la disposizione contenuta in uno degli allegati della Direttiva stessa concernente le clausole che hanno per oggetto o per effetto di sopprimere o limitare l’esercizio di azioni in giudizio o vie di ricorso da parte del consumatore. In merito, la Corte ha stabilito che tale combinato disposto non è applicabile ad una clausola che abbia per oggetto o effetto di lasciar legittimamente supporre al consumatore che questi è tenuto ad adempiere a tutte le sue obbligazioni contrattuali, pur ove questi ritenga che alcune prestazioni non siano dovute. Al contempo, tuttavia, il medesimo combinato disposto deve essere interpretato nel senso che esso trova applicazione ad una clausola in virtù della quale l’esperimento di azioni in giudizio o vie di ricorso da parte del consumatore sia limitato attraverso la determinazione dell’importo residuo di un credito per mezzo di un atto notarile che, provvisto di efficacia probatoria, consenta al creditore di porre fine alla controversia unilateralmente ed in modo definitivo.

La terza questione pregiudiziale concerneva, invece, l’interpretazione dell’articolo 5 della Direttiva che dispone che “…[n]el caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile…”. In particolare, la questione posta dal giudice del rinvio era tesa a verificare se da tale disposizione derivasse un obbligo in capo al professionista di fornire informazioni complementari relative ad una clausola redatta in maniera chiara ma i cui effetti giuridici possono essere stabiliti solo alla luce di un’interpretazione di norme di diritto nazionale che non sono oggetto di una giurisprudenza uniforme. La Corte ha risolto la questione in senso negativo, ritenendo che porre l’obbligo, in capo al professionista, di informare il consumatore dell’esistenza di disposizioni procedurali di diritto nazionale e di carattere generale nonché della relativa giurisprudenza, eccederebbe quanto sarebbe ragionevole attendersi per finalità di trasparenza.

Infine, l’ultima questione pregiudiziale posta alla Corte concerne il combinato disposto tra l’articolo 3 e la norma contenuta nell’allegato della Direttiva che individua come (potenzialmente) abusive le clausole che abbiano per oggetto o per effetto di “…permettere al professionista di stabilire se il bene venduto o il servizio prestato è conforme a quanto stipulato nel contratto o conferirgli il diritto esclusivo di interpretare una clausola qualsiasi del contratto…”. In merito, la Corte ha stabilito che detto combinato disposto non è applicabile ad una clausola contrattuale che autorizza il creditore a valutare unilateralmente se la controprestazione del debitore sia stata eseguita conformemente al contratto. Ciò in quanto il combinato disposto in parola deve intendersi come non riguardante le obbligazioni del consumatore ma solo quelle del professionista: esso, in atti, è relativo alle ipotesi in cui, in caso di contestazioni da parte del consumatore, il professionista possa determinare unilateralmente la conformità al contratto della propria prestazione.

Con la sentenza in esame, pertanto, la Corte fornisce un ulteriore strumento per l’interpretazione del corpus normativo relativo alla tutela del consumatore, che di certo si rivelerà di primaria importanza non solo per gli ‘addetti ai lavori’, ma anche per i consumatori stessi.

Roberta Laghi
-----------------------------------------------------------------------

Legal news / Attività consultiva e servizi di accesso alla rete fissa – L’AGCM, ha presentato le proprie osservazioni nel contesto della consultazione pubblica avviata dall’AGCom concernente l’analisi coordinata dei mercati dei servizi di accesso alla rete fissa

Lo scorso 16 settembre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o Autorità) ha pubblicato il parere richiesto dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom) nell’ambito della consultazione pubblica concernente l’analisi coordinata dei mercati di servizi di acceso alla rete fissa (n. 613/18/CONS). La consultazione scaturisce dalla proposta di separazione volontaria della rete fissa di accesso di TIM, notificata all’AGCom in data 28 marzo 2018.

L’AGCM ha condiviso la definizione dei mercati rilevanti proposta dall’AGCom, individuati nei (i) servizi di accesso locale e (ii) servizi di accesso centrale, sia a livello nazionale, sia in ambito sub-nazionale nel Comune di Milano, data la specificità del suo contesto concorrenziale. L’Autorità ha, inoltre, condiviso la conclusione dell’AGCom che ha riconosciuto in capo a TIM un significativo potere di mercato in quanto unico detentore delle risorse di rete necessarie al soddisfacimento della domanda di mercato.

In merito agli obblighi comportamentali di TIM, l’AGCM ha condiviso la necessità di differenziarli nelle aree sub-nazionali dell’Italia in cui si hanno condizioni concorrenziali differenti, in virtù della diversa presenza di concorrenti wholesale di TIM. A tal riguardo, l’AGCM ritiene che la valutazione della pressione concorrenziale debba tener conto di tutti gli operatori dotati di rete fissa, verificando che tali operatori presentino offerte wholesale immediatamente disponibili ai soggetti richiedenti. L’Autorità, inoltre, ha rimarcato l’importanza di valutare i costi sostenuti per il cambio di fornitore (switching costs). L’AGCM ha quindi concluso che, in aree sub-nazionali con equilibri di mercato tendenzialmente competitivi, sarà possibile ridurre gli obblighi di controllo dei prezzi a carico dell’operatore, mantenendo fermo il rispetto di quelli di non discriminazione c.d. ‘interno-esterno’.

Sugli obblighi di controllo dei prezzi in tutte le aree del Paese, l’AGCM osserva che i servizi di accesso alla rete fissa di TIM sono tuttora regolati con cadenza annuale sulla base del procedimento di approvazione delle offerte di riferimento ex post. L’Autorità al riguardo auspica l’introduzione di una regolamentazione pluriennale, ex ante. In aggiunta, si è espressa in senso contrario all’introduzione di test di prezzo dei servizi wholesale, finalizzati a verificare la pratica di prezzi replicabili, ovvero sotto costo.

Infine, l’AGCM si è espressa sulla chiusura delle centrali locali di TIM (il c.d. decomissioning), rilevando la necessità di garantire la disponibilità di servizi di rete fissa in sostituzione del 100% delle linee nell’area interessata dalla chiusura, nonché tempi di comunicazione e di chiusura proporzionati rispetto al numero di linee servite da ogni centrale.

In sintesi, l’AGCM ha condiviso le valutazioni dell’AGCom, osservando che il progetto di TIM non modifica l’individuazione dei mercati rilevanti e il livello significativo di potere di mercato detenuto dalla medesima. Ha ritenuto, perciò, che non sussistano i presupposti per ipotizzare la revoca delle misure regolamentari, in particolare con riferimento agli obblighi di controllo dei prezzi e non discriminazione.

Luigi Bisogno
---------------------------------------------------------------------------

Attività di consultazione e big data – Il Segretario Generale dell’AGCM interviene alla Camera per esporre le conclusioni dell’Autorità in merito all’indagine conoscitiva concernente la tecnologia 5G e la gestione dei big data 

Lo scorso 18 settembre, il Segretario Generale dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o l’Autorità), Filippo Arena (il Segretario Generale), è intervenuto in audizione dinnanzi alla Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni della Camera dei Deputati (Camera) al fine di esporre le conclusioni dell’Autorità in merito all’indagine conoscitiva concernente le nuove tecnologie in ambito di telecomunicazioni e, in particolare, alla transizione verso il sistema ‘5G’ e alla gestione dei cc.dd. big data (Indagine conoscitiva).

Il suddetto intervento è motivato dall’esigenza di chiarire la posizione dell’AGCM in merito alla tecnologia 5G, sulla quale si baserà il futuro sviluppo delle reti mobili nazionali, e alla digitalizzazione.

L’interesse dell’Autorità per la tecnologia in questione è noto: l’AGCM ha spesso sostenuto la necessità di un’efficace transizione al 5G, in quanto – come dichiarato dal Segretario Generale – non solo comporterà la trasmissione di dati con una velocità 14 volte superiore rispetto alla precedente tecnologia 4G e una copertura capillare del territorio ma permetterà anche l’effettivo sviluppo dei concetti di ‘smart city’, di mobilità connessa e Internet of Things (IoT), nonché un’effettiva promozione del gioco concorrenziale all’interno del mercato delle comunicazioni elettroniche.

Non sorprende, quindi, che il Segretario Generale abbia accolto positivamente – premurandosi tuttavia di sottolinearne i potenziali rischi anticoncorrenziali – la conclusione di accordi strategici da parte dei quattro maggiori operatori di telefonia in Italia (Vodafone, Tim, Wind e Fastweb) volti a permettere un effettivo e celere sviluppo delle rete 5G. Tali accordi, atti a generare sinergie ed efficienze soprattutto in termini di investimento, presentano profili di rischio sia in relazione alla concorrenza c.d. ‘statica’, sia a quella ‘dinamica’ caratterizzante il settore in esame e, per tal motivo, meritano l’attenzione da parte dell’AGCM.

Tra le tematiche trattate dal Segretario Generale nell’audizione in oggetto, particolare rilevanza rivestono soprattutto quelle relative a (i) la neutralità della rete (la c.d. net neutrality) e (ii) la sicurezza delle reti (la c.d. cyber-security):

(i) il concetto di net neutrality, tutelato dall’art. 3 del Regolamento n. 2120 del 25 novembre 2015, prevede il principio secondo cui il traffico di dati dev’essere sottoposto ad una disciplina unitaria volta a impedire l’applicazione di discriminazioni, interferenze o restrizioni al traffico di dati, eccezion fatta ovviamente per quelle richieste da apposite norme di legge o dal verificarsi di situazioni di force majeure. In particolare – come sottolineato dal Segretario Generale – la rilevanza del concetto risiede nella sua natura intrinseca di strumento volto a garantire un ecosistema virtuale dinamico e aperto agli investimenti ma anche sicuro, in modo così da garantire l’effettivo esercizio della fondamentale libertà di espressione sia da parte degli utenti che dei fornitori di contenuti e servizi online;

(ii) l’idea di cyber-security indicata dall’Autorità in audizione si lega inevitabilmente al c.d. Decreto Golden Power dello scorso 25 marzo, il quale individua i servizi di comunicazione basati sulla tecnologia 5G come attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, oltre che al recentissimo Decreto legge (n. 105/2019) commentato infra in questa Newsletter. Il Segretario Generale ha ricordato che non spetta all’Autorità il compito di individuare e determinare le soluzioni tecniche più idonee ad assicurare un alto livello di sicurezza delle reti. Quest’ultima, infatti, si limita ad auspicare che la normativa all’uopo emanata sarà in grado di costituire un quadro di riferimento trasparente e certo, in modo così da assicurare un approccio conciliativo tra il perseguimento di un elevato livello di sicurezza e le esigenze di investimento collegate ad una continua innovazione tecnologica. L’Autorità ha anche voluto sottolineare dinnanzi alla Camera gli sforzi da questa effettuati al fine di accrescere la consapevolezza dei cittadini, nonché delle organizzazioni e delle imprese, circa l’idea di sicurezza cibernetica, indispensabile per lo sviluppo di un’economia digitale sana e pro-competitiva.

In relazione a ciò, infatti, il Segretario Generale ha voluto sottolineare gli interventi effettuati dall’Autorità a tutela dei consumatori – soprattutto nei confronti di Facebook e WhatsApp (già oggetto di commento sulla presente Newsletter) – in materia di acquisizione di dati personali, in quanto essi non solo hanno costituito uno strumento di tutela diretta dei consumatori stessi ma hanno anche posto gli utenti nella posizione di poter esercitare le proprie scelte di consumo in modo maggiormente consapevole e attivo. L’AGCM, infatti, ha voluto sottolineare l’estrema importanza non solo dei big data, vera ‘benzina’ per l’economia del XXI secolo, e, soprattutto, per l’espansione e sviluppo del sopra-citato IoT, ma anche dei rischi per la sicurezza collegati alla possibile natura aperta delle piattaforme online o dei sistemi di trasferimento dei dati.

In ultimo, il Segretario Generale ha voluto portare all’attenzione della Camera un ulteriore profilo in cui gli aspetti legati alla sicurezza ed al rispetto del gioco concorrenziale potrebbero trovare elementi di commistione, ossia lo scambio di informazioni tra imprese concorrenti, i quali si pongono in contrasto con la normativa antitrust laddove comportino una riduzione della concorrenza. L’AGCM – dopo aver ammesso che è improbabile che uno scambio di informazioni tecniche in materia di cyber-security possa comportare una restrizione delle dinamiche concorrenziali – ha tuttavia fatto espressa menzione di possibili accordi (o pratiche concordate) conclusi tra imprese concorrenti e aventi ad oggetto (o per effetto) una riduzione dei livelli di sicurezza cibernetica dei prodotti e servizi offerti. Tali accordi, infatti, rientrerebbero a pieno titolo nell’ambito delle intese restrittive della concorrenza.

L’audizione si è conclusa, infine, con l’auspicio espresso dall’Autorità per l’adozione da parte del legislatore, in tempi brevi, di una cornice normativa e regolamentare volta ad assicurare uno sviluppo delle reti 5G e dell’IoT in generale secondo i più elevati livelli di sicurezza e che permetta di usufruire dei benefici derivanti da un pieno confronto concorrenziale. Occorre attendere di vedere se il legislatore italiano si impegnerà effettivamente a non deludere le speranze dell’AGCM. In tale contesto, può intanto segnalarsi il Decreto legge (n. 105/2019) adottato giusto pochi giorni dopo che ha identificato e regolato il perimetro di sicurezza nazionale cibernetica (su cui v. la news che segue).

Luca Feltrin
-------------------------------------------------------------------------------

Sicurezza cibernetica e golden power – Un nuovo decreto legge adottato dal Governo

Il Consiglio dei Ministri, nella riunione del 19 settembre, ha approvato il Decreto legge n. 105/2019 (pubblicato in G.U. il 21 settembre – il Decreto), che introduce disposizioni urgenti in materia di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica, oltre ad apportare alcune modifiche alla normativa in materia di c.d. Golden Power.

Il Decreto mira ad assicurare un livello elevato di sicurezza delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici delle amministrazioni pubbliche, nonché degli enti e degli operatori nazionali, sia pubblici sia privati, mediante inter alia:

- l’istituzione di un perimetro di sicurezza nazionale cibernetica, definendo le modalità di individuazione dei soggetti che ne fanno parte, nonché delle rispettive reti, sistemi informativi e servizi informatici rilevanti per le finalità di sicurezza nazionale cibernetica;

- la previsione di misure idonee a garantire i necessari standard di sicurezza rivolti a minimizzare i rischi;

- la previsione di un meccanismo teso ad assicurare un’attività di procurement più sicura per i soggetti inclusi nel perimetro che procedano all’affidamento di forniture di beni e servizi di information and communication technology (ICT) destinati a essere impiegati sulle reti, sui sistemi e per i servizi rilevanti.

Inoltre, il testo integra il quadro normativo in materia di esercizio dei poteri speciali da parte del Governo, con riguardo a quanto previsto dal Decreto legge n. 21 del 15 marzo 2012 (legislazione in materia di Golden Power), in particolare per:

- coordinare l’attuazione del Regolamento (UE) 2019/452, che ha recentemente introdotto un quadro comunitario sul controllo nazionale degli investimenti esteri;

- prevedere che l’esercizio dei poteri speciali in relazione alle reti, ai sistemi informativi e ai servizi strategici di comunicazione a banda larga basati sulla tecnologia 5G sia effettuato valutando gli elementi indicanti la presenza di fattori di vulnerabilità da parte dei centri di valutazione individuati dalla nuova normativa sopra richiamata;

- con riferimento alle autorizzazioni già rilasciate ai sensi del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, la possibilità di integrare o modificare le misure prescrittive già previste alla luce dei nuovi standard; nonché

- stabilire o chiarire che una notifica ai sensi della disciplina Golden Power sia dovuta in relazione all’acquisizione di controllo da parte di soggetti extra-UE di infrastrutture o tecnologie critiche, ad oggi menzionate nel Decreto legge n. 21 del 15 marzo 2012 ma per le quali il regolamento di attuazione, atteso per definirne nel dettaglio l’ambito di applicazione, non è stato ancora adottato.

Pare il caso di sottolineare che fra queste infrastrutture critiche siano comprese, ai sensi del citato Decreto legge n. 21/2012, quelle “finanziarie”. Ed invero, secondo l’interpretazione offerta da vari commentatori, il Decreto è stato adottato, a questo specifico riguardo, per garantire di assoggettare al regime dei Golden Power (ovvero per evitare dubbi al riguardo) le infrastrutture dei mercati finanziari italiani, di recente indirettamente coinvolti in vicende connesse ad una offerta di acquisizione del London Stock Exchange da parte della borsa di Hong Kong.

Il Decreto entrerà in vigore il 6 ottobre 2019.

Filippo Alberti
--------------------------------------------------------------------------