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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Concentrazioni e mercato delle apparecchiature mediche – La Commissione europea sanziona Canon per €28 milioni per aver violato gli obblighi di notifica e di ‘standstill’

Lo scorso 27 giugno è stata resa nota la decisione della Commissione europea (la Commissione) di sanzionare la società Canon Inc. (Canon o l’Acquirente) per un ammontare complessivo di €28 milioni per avere, nell’ambito dell’acquisizione della società Toshiba Medical Systems Corporation (TMSC) (l’Operazione), violato il Regolamento CE n. 139 del 20 gennaio 2004 sul controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese (il Regolamento).

Al fine di meglio comprendere le motivazioni che hanno spinto la Commissione a comminare la suddetta sanzione, occorre tenere a mente che il Regolamento stabilisce un obbligo in capo alla società acquirente di notificare alla Commissione una concentrazione che superi determinate soglie di fatturato all’interno dell’Unione europea prima della sua realizzazione (obbligo di notifica). Prevede altresì che una concentrazione – previamente notificata – “non può essere realizzata […] prima di essere stata dichiarata compatibile con il mercato comune” (obbligo di ‘standstill’).

Per quanto concerne la vicenda in esame, si riporta di seguito l’iter fattuale e procedimentale su cui la Commissione ha basato la propria decisione sanzionatoria. In data 12 agosto 2016, Canon ha notificato la propria volontà di acquisire TMSC. L’operazione è stata strutturata attraverso un meccanismo di c.d. ‘warehousing’, modulato in due fasi, avvalendosi anche dell’intermediazione di un acquirente provvisorio di natura fiduciaria:

-     nella prima fase il suddetto intermediario fiduciario ha acquistato – a fronte del versamento di un corrispettivo simbolico di €800 – il 95% del capitale sociale di TMSC. Canon ha acquistato il rimanente 5%, nonché diritti d’opzione per l’acquisto della partecipazione di maggioranza acquistata dall’acquirente provvisorio, per €5,28 miliardi;

-     la seconda fase prevedeva che successivamente all’approvazione formale dell’operazione da parte della Commissione (avvenuta con decisione del 19 settembre 2016), Canon avrebbe esercitato il proprio diritto d’opzione, così finalizzando l’acquisizione della totalità del capitale sociale di TMSC.

A sostegno della propria decisione di sanzionare Canon, la Commissione ha ritenuto che le due fasi sopra descritte fossero indissolubilmente correlate e rappresentassero in sostanza un’unica concentrazione notificabile. In particolare, la prima fase sarebbe stata legata all’acquisizione del controllo finale su TMSC da parte di Canon, rappresentandone una parziale attuazione, violando pertanto sia l’obbligo di notifica, sia l’obbligo di standstill sopra ricordati.

Nel determinare l’importo della sanzione finale, la Commissione ha tenuto in considerazione il fatto che: i) le violazioni della normativa europea sulle concentrazioni perpetrate da Canon sarebbero state particolarmente rilevanti in quanto idonee a minare sensibilmente l’efficacia della normativa europea in tema di concentrazioni; ii) Canon era consapevole dei propri obblighi di notifica e di ‘standstill’; e iii), a titolo di circostanza attenuante, il fatto che l’operazione non era problematica dal punto di vista antitrust e pertanto era stata autorizzata senza l’imposizione di alcuna condizione.

Peraltro, è interessante notare come l’Operazione non sia  stata sanzionata unicamente dalla Commissione ma anche dalla Federal Trade Commission americana e dal Ministero del Commercio cinese, sebbene per importi significativamente meno elevati e pari, rispettivamente, a €2,2 milioni e €38.372.

In conclusione, la Commissione ha confermato un approccio severo e restrittivo nei confronti delle violazioni procedurali del sistema di controllo delle concentrazioni, anche in occasione di un’operazione non problematica dal punto di vista sostanziale. In particolare, la decisione in parola ha reso assolutamente chiaro come un’operazione che preveda il ricorso a una società fiduciaria ad interim (nota anche come warehousing structure) come quella messa in piedi in questo caso non possa valere a differire l’obbligo di notifica – e questo approccio è stato condiviso dalle autorità statunitensi e cinesi. Rimane tuttavia la sensazione che non sia stata detta l’ultima parola circa la percorribilità di strutture di warehousing.

Luca Feltrin
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Diritto della concorrenza Italia / Intese e settore delle barriere stradali – Il CdS fornisce utili chiarimenti in merito alle modalità di calcolo delle sanzioni antitrust

La sentenza in commento è solo l’ultimo atto di una intricata vicenda che ha inizio con la decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o Autorità) che aveva accertato e sanzionato una intesa posta in essere da alcune imprese sul mercato delle barriere stradali, diffidandole dalla prosecuzione delle condotte accertate (la Decisione).

Tra le imprese coinvolte, la società Metalmeccanica Fracasso S.p.a. (Mefra o Ricorrente), alla quale era stata irrogata una sanzione pari a €11 milioni, aveva impugnato la Decisione di fronte al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR Lazio) il quale aveva accolto parzialmente il ricorso limitatamente ai profili riguardanti la quantificazione della sanzione. La sentenza del TAR Lazio era quindi stata impugnata dall’AGCM di fronte al Consiglio di Stato (CdS) che, annullandola parzialmente aveva disposto che l’AGCM provvedesse alla rideterminazione della stessa, considerando “…l’effettività dei ricavi conseguiti […] nonché l’entità del suo apporto all’intesa stessa, con un’adeguata motivazione…” (la Sentenza del 2015).

L’AGCM ha dunque provveduto a ricalcolare l’importo della sanzione originariamente adottata, quantificandola in €7,6 milioni (la Decisione di Rideterminazione). Mefra, non soddisfatta del risultato, ha proceduto a impugnare anche la Decisione di Rideterminazione di fronte al CdS, in sede di giudizio di ottemperanza, ritenendo che l’Autorità, nel ricalcolare la sanzione non avesse rispettato i criteri enucleati dal CdS nella Sentenza del 2015. Il CdS aveva tuttavia rigettato il ricorso proposto da Mefra, pur riconoscendo che il vincolo conformativo della sentenza “…non risultava però tanto preciso e dettagliato da far ritenere che il contenuto del (nuovo) provvedimento che l’amministrazione era tenuta ad emanare era desumibile in via integrale, nei suoi elementi essenziali, dalla sentenza”. Parallelamente, Mefra aveva comunque presentato ricorso per annullamento della Decisione di Rideterminazione di fronte al TAR Lazio, che lo aveva questa volta integralmente rigettato. Mefra, evidentemente non soddisfatta del corso della giustizia fino a quel punto, ha quindi appellato la sentenza del TAR Lazio di fronte al CdS articolando cinque motivi di ricorso.

Con i primi tre motivi la Ricorrente lamentava la violazione della normativa nazionale ed europea in ragione dell’errata base di calcolo adottata dall’AGCM ai fini della quantificazione dell’importo base e dell’applicazione del successivo limite, pari al 10% del fatturato, come tetto massimo per l’importo della sanzione. Mefra argomentava, infatti, che l’AGCM avrebbe dovuto tener conto del fatturato realizzato dall’impresa nell’anno precedente all’adozione del provvedimento che irroga la sanzione, inteso come l’anno precedente all’adozione della Decisione di Rideterminazione, ossia il 2014, anziché utilizzare per il calcolo della sanzione il fatturato conseguito nel 2011, anno precedente all’adozione della Diffida. Inoltre, lamentava l’abnormità della sanzione così come quantificata dalla Decisione di Rideterminazione nella misura in cui non aveva tenuto conto del fatturato esistente – Mefra era intanto entrata in crisi ed era stata posta in liquidazione – al momento dell’adozione della Decisione di Rideterminazione.

Il CdS ha rigettato tali motivi di impugnazione, ritenendo che il fatturato da prendere in considerazione ai fini del calcolo della sanzione risultasse coperto dalla definitività della Sentenza del 2015 (che sul punto aveva confermato la correttezza dell’operato dell’AGCM) e che, salve ipotesi eccezionali e del tutto limitate, la contrarietà di una decisione divenuta definitiva con la normativa europea di riferimento non è sufficiente a determinare la disapplicazione delle norme procedurali interne sulla formazione del giudicato. Il CdS ha in ogni caso chiarito che l’AGCM aveva agito correttamente nel caso di specie, in quanto, alla luce delle norme applicabili, nazionali ed europee, occorre considerare come rilevante il fatturato realizzato nell’anno precedente all’adozione della decisione che contiene l’accertamento dell’infrazione (nel caso in esame, il 2011).

Il CdS, invece, ha accolto gli altri due motivi di ricorso con cui la ricorrente lamentava che l’AGCM non aveva considerato la ‘mancanza di capacità contributiva’ di Mefra, irrogando di conseguenza una sanzione in violazione del principio di proporzionalità. Il CdS, infatti, ha ritenuto sussistenti quelle circostanze eccezionali (fatturato di €2,6 milioni a fronte di una sanzione pari a €7,7 milioni) idonee a giustificare una riduzione della sanzione e ha annullato la sentenza del TAR Lazio, disponendo che l’AGCM provveda ad una nuova rideterminazione della sanzione, valutando anche la possibilità di concedere un’eventuale rateazione per il pagamento della sanzione.

Con la sentenza in commento il CdS ha fornito utili chiarimenti con riferimento alle modalità di calcolo delle sanzioni per violazioni antitrust, sia con riferimento all’anno di riferimento, sia all’applicazione in concreto del principio di proporzionalità. Con riguardo, invece, alla situazione che ha coinvolto Mefra, resta ora da vedere se sarà l’AGCM, con l’adozione di un nuovo provvedimento di rideterminazione della sanzione, a mettere finalmente la parola fine ad una intricata vicenda.

Roberta Laghi
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette – L’AGCM ha irrogato una sanzione pari a due milioni di euro a Costa Crociere per non avere informato tempestivamente i passeggeri dell’elevato rischio di soppressione delle tappe in Madagascar

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha pubblicato il 28 giugno scorso un provvedimento con cui ha stabilito che diverse condotte messe in atto da Costa Crociere S.p.A. (Costa Crociere) costituissero una pratica commerciale scorretta. Ciò in particolare con riferimento a due crociere con partenza rispettivamente il 28 ottobre 2017 (“NeoRiviera”) e il 23 dicembre 2017 (“Paradisi sul mare”) che comprendevano inizialmente diverse tappe in Madagascar.

Invero, tale regione dal mese di agosto 2017 era stata colpita da una situazione di emergenza sanitaria causata dal diffondersi di un’epidemia di peste bubbonica, la quale era stato segnalata dal Ministero della Salute il 29 settembre 2017, il quale aveva riportato raccomandazioni relative alla potenziale grave pericolosità di tale malattia per la persona. Nonostante tale situazione, l’AGCM ha evidenziato che Costa Crociere avesse continuato a vendere i propri pacchetti viaggio comprendenti la crociera “NeoRivera” ai consumatori senza fornire alcuna informazione relativamente all’emergenza sanitaria, ed informando i consumatori solo a crociera iniziata della soppressione delle tappe in Madagascar, limitandosi ad offrire un bonus di 150 euro da spendere a bordo come compensazione per tale modifica dell’itinerario. L’AGCM ha altresì sottolineato che Costa Crociere aveva continuato la promozione della crociera “Paradisi sul mare” anche dopo gli eventi appena descritti, senza divulgare alcuna informazione in merito all’emergenza sanitaria. Questo fino alla comunicazione attraverso le agenzie di viaggio della cancellazione delle tappe in Madagascar il 13 dicembre 2017.

Va ricordato che è pacifica la facoltà dell’organizzatore di modificare unilateralmente la composizione di simili pacchetti viaggio, né l’AGCM ha contestato la scorrettezza della modifica in sé. Tuttavia, ha sottolineato l’AGCM, tali modifiche unilaterali devono essere accompagnate da una tempestiva comunicazione al consumatore, ai sensi del Codice del Turismo e della disciplina europea su viaggi, vacanze, e circuiti “tutto compreso”, contenuta nella Direttiva 90/314/CEE. Tale tempestiva comunicazione è strumentale per consentire al consumatore di scegliere se, in seguito alla modifica (a) esercitare il proprio diritto di recesso gratuito; ovvero (b) accettare la modifica del pacchetto viaggio accompagnata da una congrua riduzione del prezzo.

Da parte di Costa Crociere, infatti, l’intempestività della comunicazione delle circostanze che comportavano un concreto e prevedibile rischio di dover sopprimere le tappe in Madagascar delle citate crociere ha, nel caso della crociera “NeoRivera”, impedito completamente ai passeggeri di esercitare autonomamente la scelta tra recesso e riduzione del prezzo, in quanto la comunicazione è stata effettuata dopo l’inizio del viaggio; e, nel caso della crociera “Paradisi sul mare”, in ragione del forte ritardo tra il momento di conoscenza dell’emergenza sanitaria e quello della sua comunicazione, fortemente limitato tali diritti per i futuri passeggeri.

A nulla è valsa la difesa di Costa Crociere costituita dal richiamo alle previsioni contrattuali che obbligano il consumatore a informarsi autonomamente sulla situazione sanitaria e di sicurezza dei luoghi di sbarco. Nonostante il Codice del Consumo ponga questo onere in capo al professionista, l’AGCM non ha ritenuto questa clausola non rilevate:  al contrario, l’AGCM ha valorizzato questa previsione, distinguendo però tra l’onere, che può essere posto in capo al consumatore, di informarsi sulla situazione esistente nei luoghi di sbarco, da un lato, e la situazione in cui le condizioni sanitarie del luogo sono tali da rendere altamente probabile l’alterazione dell’itinerario, ove ricade sul professionista il dovere di informare i consumatori. Né tantomeno è stato considerato sufficiente a costituire una congrua riduzione del prezzo il bonus di 150 euro attribuito ai passeggeri della “NeoRivera”: ad avviso dell’AGCM, infatti, un bonus spendibile a bordo non svolge la stessa funzione, né ha la stessa natura, di un rimborso.

In conseguenza di tali rilievi, l’AGCM ha irrogato una sanzione amministrativa pari a ben due milioni di euro, sanzione certamente significativa a fronte della stima del margine operativo ricavato complessivamente dalle due crociere, pari a circa 1,2 milioni. La pronuncia in questione è in linea con un approccio sanzionatorio sempre più severo dell’AGCM, che non ha mancato di rilevare che gli obblighi di piena, effettiva e tempestiva informazione gravanti in capo al professionista vadano presi molto sul serio. Resta da vedere se questa impostazione sarà confermata dai giudici amministrativi nel corso della possibile impugnazione del provvedimento.

Riccardo Fadiga