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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato e giurisdizione – Annullata dal Tribunale dell’UE una decisione della Commissione Europea in ragione dell’inapplicabilità del diritto europeo ad una situazione precedente all’adesione della Romania all’Unione europea

Il Tribunale dell’UE (Tribunale UE) ha annullato una decisione della Commissione Europea (Commissione) ritenendo quest’ultima carente di giurisdizione a fronte dell’inapplicabilità del diritto UE a misure adottate precedentemente all’adesione della Romania all’Unione europea (UE).

La sentenza del Tribunale UE si innesta su una complessa vicenda che trae origine nel 1998 dall’adozione di un’ordinanza governativa d’emergenza (EGO) da parte delle autorità rumene. La EGO garantiva incentivi – attraverso l’esenzione da alcune imposte e dazi nonché il rimborso dei dazi sulle materie prime – a vantaggio di coloro che avessero investito in alcune aree svantaggiate della Romania e che avessero ottenuto una certificazione di investitore permanente. La durata degli incentivi, individuata in misura variabile per ciascuna area svantaggiata, era pari a dieci anni per la regione di Stei-Nucet. Tuttavia, qualche tempo dopo la Romania avviò i negoziati per l’ingresso nell’UE e, al fine di rispettare i criteri previsti dalle norme comunitarie in materia di aiuti di Stato, abrogò, con efficacia dal 22 febbraio 2005, la quasi totalità degli incentivi previsti dall’EGO. Il 1° gennaio 2007 la Romania entrò a far parte dell’UE.

In questo contesto i fratelli Micula, cittadini svedesi residenti in Romania, avevano effettuato investimenti nella regione di Stei-Nucet e, in forza del certificato di investitori permanenti ottenuto, beneficiavano degli incentivi previsti dall’EGO. I fratelli Micula, pertanto, nel luglio del 2005 fecero ricorso ad un tribunale arbitrale internazionale (Tribunale arbitrale) costituito sotto l'egida dell’ICSID al fine di ottenere dalla Romania il risarcimento dei danni subiti a fronte dell’abrogazione degli incentivi nel 2005, che aveva impedito loro di beneficiare degli stessi per i dieci anni inizialmente previsti. Il Tribunale arbitrale, ritenendo che la Romania avesse violato il legittimo affidamento dei fratelli Micula e avesse agito in maniera non trasparente omettendo di comunicare tempestivamente che il regime sarebbe cessato prima della naturale data di scadenza, nel 2013 ha emesso un lodo in forza del quale riconosceva ai ricorrenti un risarcimento. In presenza di una complessa vicenda giudiziale che aveva condotto all’esecuzione (ancorché parziale) del lodo e in esito ad un separato procedimento, la Commissione ha adottato una decisione in cui qualificava il risarcimento previsto dal lodo come un aiuto di Stato illegale e impediva alla Romania di darvi esecuzione. I fratelli Micula hanno dunque impugnato la decisione e il Tribunale UE ha accolto il loro ricorso.

Il Tribunale, infatti, ha ricordato che “…gli aiuti di Stato devono essere considerati concessi nel momento in cui il diritto di riceverli è conferito al beneficiario ai sensi della normativa nazionale applicabile, tenuto conto dell’insieme dei requisiti stabiliti dal diritto nazionale per l’ottenimento dello stesso”. Nel caso di specie tutti i fatti connessi all’EGO (l’adozione stessa dell’EGO, l’ottenimento dei certificati di investitori permanenti, i trasferimenti di risorse da parte della Romania e il ricorso al tribunale arbitrale) erano avvenuti tutti prima dell’ingresso della Romania dell’UE, ossia l’evento dirimente ai fini dell’applicabilità del diritto comunitario. Inoltre, come riscontrato dal Tribunale arbitrale, il fatto generatore del danno per cui è stato concesso il risarcimento era stata l’abrogazione degli incentivi nel 2005, dunque prima dell’ingresso della Romania nell’UE. Secondo il Tribunale UE nel 2013, invece, il lodo si limitò a quantificare l’entità del danno subito. Il diritto dei ricorrenti al risarcimento, pertanto, non è stato attribuito loro dal lodo, bensì è sorto nel 2005 in ragione dell’abrogazione degli incentivi.

Ciò posto, il lodo non può che considerarsi un tutt’uno con gli incentivi dell’EGO e “non può essere qualificato come aiuto nuovo e fondare la competenza della Commissione e l’applicabilità del diritto dell’Unione per tutti gli eventi sopravvenuti in passato, vale a dire i fatti all’origine delle controversie che sono anteriori all’adesione della Romania all’Unione”. Pertanto, a fronte dell’inapplicabilità del diritto dell’UE a misure attuate prima dell’ingresso della Romania nell’UE, e della derivante incompetenza della Commissione in relazione ai medesimi fatti, il Tribunale ha annullato la decisione della Commissione.

La sentenza in commento valorizza la certezza del diritto attuando rigorosamente i principi collegati all’applicabilità del diritto dell’UE ratione temporis e contribuisce a chiarire meglio i relativi criteri di valutazione. Resta ora da vedere se, in presenza di un eventuale appello da parte della Commissione, la sentenza in parola sarà confermata dalla Corte di Giustizia.

Roberta Laghi

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Aiuti di Stato e settore dell’energia – La Commissione Europea approva due misure volte a incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili e la riduzione delle emissioni di CO2

La Commissione Europea (Commissione) ha approvato, sulla base delle norme in materia di aiuti di Stato, due misure notificate dall’Italia la quale vi aveva correttamente proceduto prima della loro attuazione.

Queste due misure recano disposizioni volte a incentivare la produzione di energia attraverso tecnologie sostenibili, l’una incentivando la produzione di energia da fonti rinnovabili attraverso uno schema di sussidi; l’altra imponendo stringenti limiti alle emissioni di CO2 agli impianti produttivi partecipanti al meccanismo di assegnazione della capacità di produzione di energia.

In particolare, la prima delle due misure approvate dalla Commissione consiste in uno schema di aiuti che attribuirà agli impianti produttivi di energia rinnovabile un sussidio aggiuntivo rispetto al prezzo di mercato dell’energia prodotta. Tale sussidio sarà non superiore rispetto alla differenza tra il costo medio di produzione di energia attraverso ciascuna fonte rinnovabile e il prezzo di mercato dell’energia stessa. Di conseguenza, tale premium risulterà, al più, pari al minimo contributo necessario per coprire i maggiori costi di produzione determinati dall’impiego di fonti rinnovabili per la produzione di energia; lo schema include, inoltre, un meccanismo di clawback attraverso cui, nel caso in cui il prezzo di mercato dell’energia dovesse in futuro risultare maggiore dei costi medi di produzione, lo Stato recupererà gli aiuti erogati attraverso l’appropriazione della differenza tra il primo ed il secondo valore. La combinazione di tali due meccanismi assicura che l’ammontare di aiuto erogato sia limitato al minimo necessario per raggiungere gli obiettivi della misura. Lo schema ha un budget stimato pari a €5,4 miliardi e rimarrà applicabile fino al 2021.

La seconda delle misure approvate prevede invece una modifica al meccanismo di assegnazione della capacità di produzione di energia elettrica, introducendo l’esclusione dalla partecipazione alla procedura di asta relativa a tale meccanismo degli impianti produttivi le cui emissioni di CO2 non rispettino stringenti limiti. Tale norma risulterà nell’esclusione di impianti produttivi ad alte emissioni – quali, per esempio, centrali elettriche a carbone – dalla partecipazione al meccanismo di assegnazione della capacità.

La Commissione ha ritenuto che entrambe le misure in discorso risultino prive di effetti distorsivi sulla concorrenza, contribuendo l’una al raggiungimento da parte dello Stato italiano degli obiettivi relativi alla proporzione di energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili, e l’altra a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e un aumento del grado di protezione ambientale.

La decisione della Commissione può essere considerata, nel contesto dell’applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato, come un segnale positivo di attenzione alle tematiche di sostenibilità ambientale nelle attività produttive, e permetterà allo Stato italiano di attuare le due misure in commento.

Riccardo Fadiga

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Diritto delle telecomunicazioni / Servizi di posta elettronica e settore delle telecomunicazioni – Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione europea il servizio di posta elettronica Gmail non costituisce un servizio di comunicazione elettronica ai sensi della Direttiva CE 21/2002

Con la sentenza emanata lo scorso 13 giugno, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG) si è espressa in risposta ad una domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata dal Tribunale Amministrativo Superiore del Land Renania settentrionale-Vestfalia (il Tribunale) concernente la corretta interpretazione del disposto dell’articolo 2 della Direttiva CE n. 21 del 7 marzo 2002 (Direttiva 21/2002), la quale istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica.

La questione pregiudiziale è scaturita nell’ambito di una controversia tra la società Google LLC (Google) e la Repubblica federale di Germania. L’oggetto del contendere è rappresentato da una decisione del 2 luglio 2012 dell’Agenzia federale tedesca di regolamentazione delle reti per l’elettricità, il gas, le telecomunicazioni, la posta e le ferrovie (BNetzA o l’Autorità), la quale ha identificato il servizio di posta elettronica offerto da Google (Gmail) come un servizio di telecomunicazioni (ossia un “servizio a pagamento consistente esclusivamente o prevalentemente nella trasmissione di segnale su reti di comunicazioni elettroniche”) e ha, di conseguenza, imposto a Google stessa di uniformarsi all’obbligo di notifica – pena l’imposizione di una sanzione pecuniaria – stabilito dall’articolo 6 della legge tedesca sulle telecomunicazioni.

Per meglio comprendere le ragioni che hanno indotto il Tribunale a richiedere l’intervento interpretativo della CdG, occorre riportare brevemente alcuni dati tecnici del servizio offerto nonché gli aspetti salienti dell’iter che ha interessato la controversia in questione.

Per quanto concerne l’ambito tecnico, Gmail fornisce ai propri utenti un servizio c.d. “over-the-top” – il quale non necessita di intermediazione da parte di un operatore terzo di comunicazioni ‘tradizionale’ – e quindi la possibilità di inviare o ricevere messaggi di posta su internet. Nella fase di invio, il contenuto di siffatti messaggi non viene ‘editato’ bensì ‘frazionato’ in distinti pacchetti di dati di dimensioni ridotte, i quali vengono quindi trasmessi – dai cc.dd. Internet Access Provider (IAP) tramite determinati protocolli di trasmissione – al destinatario voluto.

In relazione alle tappe in cui si articola la controversia in esame, nel gennaio del 2015, Google ha presentato ricorso avverso la summenzionata decisione della BNetzA dinnanzi al Tribunale Amministrativo di Colonia. Il giudice adito ha accolto in toto il ragionamento precedentemente espresso dall’Autorità, precisando che il mero fatto che i dati in questione siano effettivamente trasmessi da IAP terzi è irrilevante ai fini della classificazione di Gmail tra i servizi di telecomunicazione, in quanto tale attività di trasmissione sarebbe imputabile a Google poiché quest’ultima si approprierebbe de facto di tale prestazione per i propri fini. Google ha quindi presentato appello. Come detto in precedenza, il giudice di secondo grado ha sospeso il giudizio per richiedere alla CdG se, in linea con un’interpretazione corretta dell’articolo 2, lettera c, della Direttiva 21/2002, un servizio di posta elettronica come Gmail possa costituire un servizio di comunicazione.

Interrogata sul punto, la CdG – dopo aver ricordato al Tribunale a quo che il quadro normativo adottato dall’UE pone su due piani distinti le attività volte alla creazione di contenuti (implicanti, quindi, un controllo editoriale) e quelle il cui fine è la mera trasmissione dei predetti contenuti – ha affermato che, nonostante sia pacificamente riconosciuto che un provider di un servizio di posta elettronica realizza effettivamente un trasferimento di segnali, non può comunque ritenersi, ai sensi del nominato articolo 2, che Google fornisca – tramite il suo servizio di posta elettronica – un ‘servizio di comunicazioni’. Il servizio di posta di Google, infatti, non consisterebbe “interamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica”, poiché sarebbero i vari IAP e i gestori di rete a garantire la trasmissione dei segnali necessari a garantire il funzionamento di Gmail.

La CdG ha affermato, quindi, che il fatto che il fornitore di un determinato servizio di posta su internet sia coinvolto attivamente nelle operazioni di invio e ricezione dei messaggi (tramite il c.d. ‘instradamento’ dei summenzionati pacchetti di dati) non è sufficiente a dimostrare che tale servizio possa essere riconducibile alla fattispecie di servizi delineata dall’articolo 2, lettera c, della Direttiva 21/2002.

La sentenza oggetto del presente commento, definendo quando un servizio di posta elettronica possa essere ricompreso nell’alveo dei servizi di comunicazione, appare quindi d’interesse, anche alla luce dei probabili effetti che essa potrà determinare in tema di regolamentazione, sia a livello di applicazione del quadro normativo vigente, sia eventualmente in una prospettiva de iure condendo ovvero di chiarimenti sul tema mediante strumenti di soft law.

Luca Feltrin

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