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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Intese e trading di valute – La Commissione europea ha sanzionato per €1,07 miliardi cinque banche per due distinte intese sul mercato del trading a pronti di valute straniere

Nel settembre 2013, a seguito di una domanda di clemenza della banca UBS che aveva rivelato l’esistenza di un’infrazione antitrust a cui essa stessa aveva partecipato, la Commissione europea (Commissione) ha avviato un’indagine che si è conclusa con l’adozione di due distinte decisioni del 16 maggio 2019 con le quali sono state accertate due intese anticoncorrenziali che hanno interessato il settore del trading a pronti di 11 diverse valute, c.d. Foreign Exchange o Forex. In particolare, il settore concerne i servizi forniti dai c.d. Forex trader che si occupano di convertire ingenti somme da una data valuta ad un’altra su richiesta di clienti come asset manager, fondi pensione, hedge funds, grandi società e banche. L’ordine di procedere alla transazione viene eseguito dal Forex trader in giornata al tasso di cambio prevalente.

La Commissione ha accertato che, attraverso chat online professionali multilaterali, singoli operatori incaricati del trading di valute a pronti per conto delle banche coinvolte hanno scambiato informazioni sensibili e piani futuri relativi alle operazioni di trading, nonché coordinato occasionalmente le rispettive strategie. E’ emerso che le chat erano create da operatori, spesso legati da rapporti di conoscenza personale tra loro, che di volta in volta provvedevano ad invitare nuovi soggetti scelti in base all’attività di trading svolta e alle affinità personali, creando così veri e propri circoli chiusi per lo scambio di informazioni.

Nello specifico, lo scambio aveva riguardato dati inerenti le quantità e le valute relative alle operazioni richieste dai clienti e i nominativi di questi ultimi, i prezzi applicati alle specifiche operazioni, le posizioni di rischio aperte e altri dettagli riguardanti attività di trading presenti e future.

Lo scambio di informazioni, secondo la Commissione, ha consentito la conclusione di un accordo tacito tra i trader i quali grazie alla disponibilità dei dati erano in grado di adottare scelte commerciali informate che in taluni casi hanno assunto la natura di veri e propri comportamenti collusivi, ad esempio quando alcuni soggetti si astenevano dall’attività di trading per evitare di interferire con l’attività di altri partecipanti alla chat.

L’analisi delle comunicazioni tra i trader ha condotto la Commissione ad individuare due distinte infrazioni dell’articolo 101 TFUE, che vieta le intese restrittive della concorrenza. La prima infrazione, detta “Three Way Banana Split” dal nome della chat sulla quale avveniva lo scambio di informazioni, ha avuto luogo dal 2007 al 2013 e ha coinvolto UBS, Barclays, Royal Bank of Scotland (RBS), Citigroup e JPMorgan. La seconda infrazione, detta “Essex Express”, sempre dal nome della chat attraverso cui avveniva lo scambio, ha coinvolto UBS, Barclays, RBS e Bank of Tokyo – Mitsubishi (divenuta MUFG Bank) dal 2009 al 2012.
Le sanzioni irrogate, pari complessivamente a €811 milioni per la prima infrazione e €257 milioni per la seconda, sono state calcolate dalla Commissione tenendo conto del valore elevato delle vendite oggetto dell’intesa nello Spazio Economico Europeo, della gravità, della durata delle infrazioni e dell’ampio ambito geografico interessato. Tutte le banche coinvolte tranne MUFG Bank hanno presentato richiesta di trattamento favorevole, fornendo alla Commissione prove dell’esistenza dell’intesa e della loro partecipazione, beneficiando così di corpose riduzioni delle sanzioni. Un’ulteriore riduzione della sanzione, pari al 10%, è stata garantita a tutte le banche a fronte dell’applicazione della procedura di settlement, in virtù della quale le banche hanno ammesso il loro coinvolgimento nelle infrazioni e le conseguenti responsabilità.

Le decisioni in commento confermano la rilevanza ai fini probatori anche delle comunicazioni che avvengano attraverso strumenti, come le chat, diversi da quelli tradizionali. Sul piano pratico ciò comporta che, in un’ottica di prevenzione di eventuali illeciti antitrust, le attività di audit interno volte alla verifica della compliance antitrust non possano limitarsi ai soli scambi di e-mail, ma sia opportuno siano estese ad altri strumenti di comunicazione messi a disposizione dei dipendenti dell’azienda.

Roberta Laghi
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Abuso di posizione dominante e mercato belga della birra – La Commissione europea ha sanzionato AB Inbev per un totale di oltre € 200 milioni per aver limitato le vendite transfrontaliere della propria birra ‘Jupiler’

Lo scorso 13 maggio il Commissario europeo alla concorrenza Margrethe Vestager ha reso nota la decisione  della Commissione europea (Commissione) di sanzionare la società Anheuser-Busch InBev NV/SA (AB Inbev o la Società), il più importante operatore di mercato nel settore della produzione e vendita di birra a livello globale, per un ammontare complessivo di oltre €200 milioni per aver abusato – tra il 2009 ed il 2016 – della propria posizione dominante all’interno del mercato della birra in Belgio ed aver agito, così, in violazione del disposto dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

Al fine di meglio comprendere la natura della condotta sanzionata nonché le motivazioni poste a base della presente decisione, occorre preliminarmente analizzare la posizione di AB Inbev nel mercato in questione. Come precisato dalla Commissione, AB Inbev è particolarmente attiva nel mercato nazionale belga anche grazie alla vendita della propria birra a marchio ‘Jupiler’, la quale rappresenta il 40% del mercato totale della birra in Belgio in termini di volumi di vendita. Nonostante il numero di operatori presenti e la quota non particolarmente elevata, la Commissione ha ritenuto che tale posizione rivelasse comunque un potere di mercato tale da considerarla dominante.

Secondo la Commissione, AB Inbev avrebbe agito in violazione dell’art. 102 TFUE ponendo in essere una condotta abusiva consistente nell’ostacolare le importazioni della propria birra ‘Jupiler’ tra Belgio e Paesi Bassi. La Società avrebbe quindi adottato una strategia deliberatamente volta a limitare le possibilità per i rivenditori ed i grossisti belga di acquistare la birra a marchio ‘Jupiler’ nei Paesi Bassi. A tal fine, la Società avrebbe:

1.     modificato le confezioni della propria birra ‘Jupiler’ distribuite nei Paesi Bassi, rimuovendo la traduzione in lingua francese delle informazioni fondamentali relative al prodotto stesso e modificando forma e dimensione delle lattine utilizzate;

2.     limitato la quantità (in termini di volumi) della birra in questione forniti ai grossisti presenti nei Paesi Bassi, al fine, così, di limitarne l’importazione (da parte di quest’ultimi) in Belgio;

3.     rifiutato di vendere tutta una serie di prodotti ‘accessori’ della birra ‘Jupiler’ (ad esempio, gadget) – i quali rivestono un’importanza particolare data la sensibilità dei consumatori belga nei loro confronti – ai rivenditori che non avessero accettato di limitarne sensibilmente le importazioni dai Paesi Bassi; e, infine

4.     riservato determinate promozioni per i clienti ai rivenditori olandesi a condizione che quest’ultimi non le offrissero anche a clienti in Belgio.

Si sottolinea, infine, che la Società ha attivamente collaborato con la Commissione (al di là degli obblighi che ad essa incombono) riconoscendo espressamente i fatti oggetto di contestazione e proponendo un rimedio volto a modificare la situazione creata (e reso vincolante dalla Commissione). In particolare, AB Inbev si è impegnata affinché tutte le confezioni – nuove ed esistenti – della propria birra ‘Jupiler’ presenti in Belgio, Francia e Paesi Bassi riportino chiaramente informazioni obbligatorie sia in lingua olandese che francese per i prossimi cinque anni. In ragione di ciò, la Commissione ha riconosciuto a favore della Società una riduzione della sanzione pari al 15%.

Non essendo ancora disponibile la versione non confidenziale della decisione, si dovrà attendere ancora qualche mese prima di poter presentare un resoconto più completo. Tuttavia, si può già rilevare che tale decisione dev’essere intesa come ulteriore esempio di come una collaborazione attiva – durante l’iter istruttorio – da parte della società coinvolta possa essere seriamente tenuta in considerazione dalla Commissione al momento della definizione della sanzione finale.

Luca Feltrin
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Diritto della concorrenza in Italia / Abuso di posizione dominante e applicazioni per smart device – L’AGCM ha deliberato l’avvio di un procedimento nei confronti di Google per un presunto abuso di posizione dominante attraverso il rifiuto di integrare nell’ambiente Android Auto un’applicazione di Enel per informazioni e servizi per la ricarica delle batterie delle auto elettriche

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deliberato con il provvedimento pubblicato lo scorso 17 maggio l’avvio di un’istruttoria nei confronti delle società Alphabet Inc., Google LLC, e Google Italy S.r.l. (congiuntamente, Google), per accertare la sussistenza di un presunto abuso della posizione dominante detenuta da Google nel mercato dei sistemi operativi per dispositivi mobili intelligenti (smart device) che possono essere concessi in licenza.

La segnalazione all’AGCM è seguita al rifiuto da parte di Google di integrare nella propria piattaforma Android Auto la app Enel X Recharge. Tale app è stata sviluppata da Enel X Italia S.p.A. (Enel), parte del Gruppo Enel, e consente l’accesso a diversi servizi afferenti alla ricarica dei veicoli elettrici, tra cui la ricerca delle “colonnine” dove è possibile ricaricare il veicolo, la loro prenotazione, e il pagamento della ricarica.

Enel ha sviluppato Enel X Recharge in osservanza delle linee guida messe a disposizione da Google per app compatibili con Android Auto che, in particolare, assicurano il mantenimento di condizioni di sicurezza alla guida; peraltro, alla richiesta di Enel di integrare Enel X Recharge in Android Auto, Google ha opposto un diniego, proponendo due soluzioni alternative, consistenti in: (a) integrare le informazioni offerte da Enel X Recharge nell’app di Google denominata Google Maps; ovvero (b) sviluppare Enel X Recharge per i diversi sistemi operativi multimediali dei costruttori di auto utilizzando le risorse di programmazione messe a disposizione di Google. Entrambe queste soluzioni sono state considerate fortemente svantaggiose: infatti, la prima soluzione precluderebbe l’accesso ai numerosi servizi offerti da Enel X Recharge, quali, per esempio, la verifica della compatibilità della colonnina di ricarica selezionata, la prenotazione della stessa, e il pagamento della ricarica; mentre la seconda soluzione comporterebbe costi molto elevati richiedendo lo sviluppo di una versione di app per ciascun modello di auto compatibile. Da ultimo, entrambe le soluzioni avrebbero l’effetto di consentire a Google di acquisire il flusso di dati derivanti dall’interazione con Google Maps nel primo caso ovvero con le versioni di Enel X Recharge sviluppate sulla base delle risorse di programmazione prodotte da Google.

L’AGCM ha rilevato che, da un lato, Google detiene una posizione dominante nel mercato dei sistemi operativi per smart device, e, detenendo una quota di mercato del 95%, si presenta come un interlocutore irrinunciabile per gli sviluppatori di app che desiderino offrire i propri servizi agli utenti di smart device con sistema operativo Android; dall’altro lato, Google è presente anche nel mercato a valle delle app che forniscono indicazioni relative alla navigazione, dove con la propria app Google Maps compete, tra gli altri, con Enel X Recharge.

Di conseguenza, l’AGCM ha ipotizzato che la condotta in discorso possa costituire un abuso della posizione dominante di Google nel mercato a monte per operare una restrizione sostanziale della concorrenza impedendo a Enel di competere in maniera effettiva nell’offerta ai clienti finali dei servizi per la mobilità elettrica, così da proteggere e consolidare il modello di business di Google Maps ed il suo ruolo di punto di accesso agli utenti e al flusso di dati generato dalle attività degli stessi.

Questa istruttoria si inserisce, da un lato, nel filone della casistica relativa a operatori verticalmente integrati attivi contemporanei nella fornitura di una piattaforma e nella concorrenza con i prodotti che operano sulla piattaforma stessa e, dall’altro, nel novero sempre più significativo di indagini antitrust nazionali ed europee nei confronti di Google (come noto destinataria negli ultimi anni e mesi di pesantissime sanzioni da parte della Commissione). In attesa della conclusione dell’indagine conoscitiva dell’AGCM sui Big Data, non ci si possono dunque che aspettare degli sviluppi interessanti da una indagine relativa ad ambiti che sempre più mettono alla prova l’idoneità degli strumenti antitrust per fronteggiare le sfide imposte dalla nuove tecnologie.

Riccardo Fadiga