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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato e settore del trasporto aereo – Il Tribunale dell’UE: irricevibile il ricorso di  Lufthansa contro la decisione della Commissione europea secondo cui Ryanair non aveva ricevuto aiuti di Stato illegittimi in Germania

Il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha respinto, in quanto irricevibile, il ricorso proposto da Deutsche Lufthansa AG (Lufthansa) avverso la decisione con cui la Commissione europea (la Commissione), da un lato, aveva dichiarato l’aiuto di Stato concesso dalla Germania in favore di Flughafen Frankfurt-Hahn GmbH (FFHG), operatrice dell’aeroporto internazionale di Francoforte sul Meno, compatibile con il mercato interno, e dall’altro aveva stabilito che gli accordi stipulati da quest’ultima con Ryanair DAC (già Ryanair Ltd, Ryanair) non costituissero aiuti di Stato (il Ricorso).

Nell’ambito di detto Ricorso, la Commissione, sostenuta da Ryanair, aveva rilevato tra le altre cose, la carenza di legittimazione della ricorrente ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) a proporre il Ricorso, in quanto non risulterebbe verificato alcuno dei tre casi di legittimazione previsti da tale articolo, ossia segnatamente: (i) la ricorrente non risulterebbe destinataria della decisione; (ii) non sussisterebbe l’incidenza diretta e individuale nei confronti di Lufthansa della decisione impugnata; (iii) né, da ultimo, la decisione impugnata avrebbe natura regolamentare e la riguarderebbe direttamente, senza bisognare di misure di esecuzione.

Poiché la decisione impugnata, come ha verificato il Tribunale, aveva come destinatario la Repubblica federale di Germania, il primo caso di legittimazione è stato escluso dal Tribunale senza ulteriore analisi.

Con riferimento al secondo il Tribunale ha esaminato la possibilità che le misure a favore di FFHG e di Ryanair potessero ledere sostanzialmente la posizione concorrenziale di Lufthansa sul mercato interessato; tuttavia, rilevando che la mera qualità di concorrente rispetto all’impresa beneficiaria di una misura non vale a legittimare, di per sé, l’impugnazione di una decisione come quella in discorso, e che Lufthansa non aveva prodotto sufficienti prove della lesione concorrenziale asseritamente subita, il Tribunale ha ritenuto che non potesse ritenersi sussistente l’incidenza individuale nei confronti di Lufthansa delle misure oggetto della decisione impugnata, e, di conseguenza, che questa compagnia aerea non risultasse legittimata a proporre il Ricorso sulle basi della seconda ipotesi di legittimazione prevista dall’articolo 263, quarto comma, del TFUE.

Per quanto riguarda la terza circostanza, sussistente come detto qualora la decisione impugnata risultasse essere un atto regolamentare riguardante direttamente la ricorrente e che non comporti alcuna misura d'esecuzione, il Tribunale ha accertato che le misure a favore di Ryanair e di FFHG non fossero state concesse sulla base di un regime di aiuti e rivestissero dunque un carattere individuale. La decisione impugnata, non applicandosi dunque a situazioni determinate obiettivamente e non producendo effetti giuridici in maniera generale ed astratta, non poteva essere qualificata come un atto regolamentare.

In conseguenza dell’assenza di ciascuna delle ipotesi di legittimazione previste dall’articolo 263  TFUE, il Tribunale ha quindi dichiarato irricevibile il ricorso e, per l’effetto, lo ha respinto, mostrando un approccio piuttosto severo dal punto di vista procedurale, idoneo a determinare un certo effetto deflattivo sul contenzioso comunitario in materia di aiuti di Stato.

Roberta Laghi
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Diritto della concorrenza Italia / Abusi e servizi di logistica per operatori di e-commerce – L’AGCM ha avviato un’istruttoria per un presunto abuso di posizione dominante da parte di Amazon

Il 10 aprile 2019 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deliberato l’avvio di un’istruttoria nei confronti di cinque società appartenenti al Gruppo Amazon (Amazon Services Europe S.à r.l., Amazon Europe Core S.à r.l., Amazon EU S.à r.l., Amazon Italia Services S.r.l. e Amazon Italia Logistica S.r.l., collettivamente ‘Amazon’ o la ‘Società’) per accertare la sussistenza di condotte nel settore della logistica per operatori di e-commerce in violazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), disposizione che, come noto, proibisce l’abuso di posizione dominante.

Secondo l’ipotesi accusatoria dell’AGCM, Amazon avrebbe “…indebitamente sfruttato la propria posizione dominante nel mercato dei servizi d’intermediazione sulle piattaforme per il commercio elettronico al fine di restringere significativamente la concorrenza nel mercato dei sevizi di gestione del magazzino e di spedizione degli ordini per operatori di e-commerce (mercato dei servizi di logistica) nonché potenzialmente nel mercato dei servizi d’intermediazione sui marketplace, a danno dei consumatori finali…”.

Nel provvedimento di avvio l’AGCM individua, anzitutto, il mercato rilevante delle piattaforme di e-commerce ‘generaliste’, ossia quelle piattaforme non specializzate nella fornitura di una particolare tipologia di prodotti, nel quale Amazon si troverebbe in posizione dominante. In tale mercato avente dimensione nazionale, infatti, Amazon già nel 2015 deteneva una quota di mercato pari al 55,3%, sensibilmente più alta di quella del suo principale concorrente, eBay.

Le condotte che l’AGCM contesta ad Amazon, tuttavia, non ineriscono al mercato dei servizi di intermediazione sui marketplace nel quale la Società sarebbe dominante, bensì a quello collegato dei servizi di logistica di e-commerce, anch’esso di dimensione nazionale. Una tale contestazione è resa possibile dal fatto che la giurisprudenza UE ha – come noto – chiarito più volte come l’articolo 102 TFUE proibisca non solo le condotte abusive poste in essere da un operatore sul mercato nel quale detiene una posizione dominante ma anche quelle condotte che “…abbiano l’effetto di estendere la posizione dominante in un mercato collegato”.

In particolare, Amazon avrebbe accordato alcuni vantaggi ai venditori presenti su Amazon.com che si avvalgono del servizio di logistica fornito da Amazon a detrimento dei venditori che gestiscono gli ordini autonomamente ovvero attraverso un soggetto terzo. Tali vantaggi riguarderebbero in particolare:

1.    modalità più favorevoli al seller per il calcolo degli indici relativi alla performance (in particolare con riguardo ai prodotti difettosi);

2.    una maggiore visibilità, derivante dalla possibilità di mostrare l’annuncio anche laddove il consumatore utilizzi i filtri di ricerca “Prime” o “Spedizione gratuita con Amazon”, disponibili solo per prodotti la cui la logistica è stata delegata ad Amazon;

3.     una maggiore visibilità rispetto ad annunci di seller che non si avvalgono dei servizi di logistica di Amazon, anche in presenza di prezzi più elevati;

4.     l’aumento delle possibilità per il seller di essere selezionato da Amazon come prodotto per la “BuyBox”, opzione che consente l’acquisto in un solo click di un prodotto selezionato da Amazon in relazione ad una particolare categoria, che viene mostrato per primo nella pagina contenente i risultati della ricerca. Tale opzione sarebbe in grado di conferire, secondo l’AGCM, un vantaggio concorrenziale significativo se non essenziale.

Tali condotte, prosegue l’AGCM, non sarebbero espressione di un lecito confronto concorrenziale, bensì della “…possibilità di Amazon di discriminare sulla base dell’adesione o meno da parte dei seller del marketplace di Amazon al proprio servizio di logistica…”, consentendo alla Società di ottenere “…significativi vantaggi competitivi nel mercato della logistica, a svantaggio in particolare di operatori specializzati nella logistica per e-commerce…”. Ciò in quanto un seller sarebbe disincentivato a rivolgersi ad un operatore di logistica terzo (che pure potrebbe offrire un servizio di maggiore qualità ed efficienza) in quanto ciò comporterebbe la rinuncia ai vantaggi concessi da Amazon a fronte dell’utilizzo dei propri servizi di logistica.

Le medesime condotte, inoltre, sarebbero idonee a ridurre anche la concorrenza sui marketplace concorrenti di Amazon.com, in quanto i venditori già clienti dei servizi di logistica di Amazon che decidessero di avvalersi di un diverso fornitore per i servizi di logistica relativi a vendite realizzate su altre piattaforme potrebbero essere tenuti a sostenere costi più elevati (per esempio in ragione della duplicazione delle scorte di magazzino) tali da farli desistere dal vendere i propri prodotti su piattaforme diverse da quella di Amazon.

Pertanto l’AGCM ha concluso che le condotte poste in essere da Amazon potrebbero essere in grado di limitare la crescita o precludere l’accesso al mercato dei suoi concorrenti sul mercato italiano dei servizi di logistica per e-commerce e, potenzialmente anche su quello dei servizi di intermediazione sulle piattaforme online.

Il procedimento, che si concluderà (salvo eventuali proroghe) entro il 15 aprile 2020, appare di particolare interesse, anche per il necessario coordinamento che esso presumibilmente richiederà con altre, simili indagini in corso in altri Paesi europei.  Questa istruttoria rappresenta il primo caso in cui l’AGCM è chiamata a confrontarsi con le complessità legate al funzionamento delle piattaforme digitali e potrebbe rappresentare l’opportunità per mettere a fuoco la sua policy in un settore caratterizzato sia da un elevato grado di innovazione e dinamicità concorrenziale, sia da significativi effetti di rete, diretti ed indiretti, che possono rendere difficile il confronto concorrenziale, tutte caratteristiche che sono allo stato oggetto di studi e analisi da parte di varie autorità di concorrenza a livello globale.

Riccardo Fadiga
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e integratori alimentari – L’AGCM ritiene scorretta una pratica che confonde i ruoli di venditore e consumatore determinata nei social media

Con la decisione pubblicata lo scorso 15 aprile, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o l’Autorità) – al termine di un procedimento avviato in seguito ad una segnalazione inviata dal Codacons – ha sanzionato (in solido) le società Juice PLUS+ Company Srl, Juice Plus+ Company LLC, Juice PLUS+ Company Ltd e Plus+ Company Europe GmbH (congiuntamente le Società o Juice Plus) per un ammontare complessivo di €1.000.000, per aver posto in essere una condotta commerciale contraria al disposto delle norme contenute nel Codice del Consumo. In particolare, ad avviso dell’Autorità, le Società convenute avrebbero pubblicizzato i propri prodotti – ricompresi nell’omonimo marchio ‘JuicePlus+®’ e consistenti in integratori alimentari e in prodotti sostitutivi dei pasti (i quali si presentano al pubblico sotto forma di capsule morbide, i primi, o di frullati e barrette, i secondi) – attraverso un’attività di marketing c.d. ‘occulto’ (perciò comprendente modalità di promozione di natura ingannevole e non trasparente) effettuato principalmente tramite il canale comunicativo dei social media e, nello specifico, attraverso una massiccia campagna pubblicitaria esercitata all’interno di diversi gruppi c.d. ‘segreti’ su Facebook.

Il testo della decisione oggetto del presente commento fornisce un’analisi dettagliata delle diverse forme di marketing occulto di cui le Società coinvolte si sarebbero servite al fine di pubblicizzare in maniera ingannevole i propri prodotti. In primis, Juice Plus non avrebbe chiarito che i propri venditori agivano all’interno della propria struttura organizzativa commerciale. I suddetti rivenditori si sarebbero presentati, in occasione degli interventi nei summenzionati gruppi su Facebook, in maniera mendace, nascondendo de facto la loro natura di attori commerciali e presentandosi, invece, come consumatori instaurando un rapporto di parità che non corrispondeva al vero. Infine, ad avviso dell’AGCM, Juice Plus avrebbe diffuso informazioni ingannevoli circa la reale natura dei propri prodotti, in particolare circa la loro efficacia dimagrante o curativa.

In relazione a ciò, l’Autorità ha sottolineato come alcuni dei soggetti che intervenivano, all’interno dei suddetti gruppi, in qualità di consumatori soddisfatti dei prodotti a marchio ‘JuicePlus+®’, fossero in realtà rivenditori autorizzati dei prodotti stessi. Inoltre, i vari post presenti all’interno dei gruppi in questione – e attribuiti a esperienze personali di clienti fittizi – presentavano un tenore decisamente enfatico che poco aveva di obiettivo. In seguito ad un’espressione d’interesse da parte di un potenziale consumatore, i rivenditori – come suggerito dalle Società – instauravano un rapporto di tipo ‘privato’ (tramite conversazioni personalizzate su chat o l’invio di messaggi vocali su whatsapp) con il soggetto in questione per meglio descrivere le proprietà miracolose del prodotto offerto e, come sostenuto dall’AGCM, fornendo a tal fine informazioni fuorvianti circa le sue reali proprietà collegate alla perdita di peso.

Come sostenuto dall’Autorità, l’utilizzo di un tale registro comunicativo (de facto dissimulante il reale intento promozionale delle informazioni fornite e previamente condivise su Facebook) – in quanto avvalendosi di un minor livello di attenzione e di approfondimento propri dei canali social nonché di una potenziale confusione di ruoli ‘consumatore-venditore’ – tenderebbe ad aggirare “…i naturali meccanismi di difesa dei consumatori…” e, per tale ragione, costituirebbe una pratica commerciale ingannevole ai sensi dell’articolo 23 del Codice del Consumo.

Nonostante Juice Plus abbia apportato – successivamente all’avvio del procedimento – determinate migliorie al proprio sistema di regole di condotta interne (considerate dalle Società come una valida prova della propria buona fede in quanto prevedevano precisi obblighi comportamentali a carico dei propri rivenditori), l’Autorità ha considerato le violazioni in oggetto come ‘gravi’ e non ha concesso alcun attenuante. A sostegno di ciò, l’AGCM ha riportato come la condotta fosse altamente insidiosa sottolineando la sua elevata potenzialità offensiva, in quanto concernente un duplice profilo di ingannevolezza (ossia, (i) la mancata trasparenza dell’intento promozionale; e (ii) la fornitura di informazioni fuorvianti circa i prodotti in questione).

Non resta che attendere il probabile futuro ricorso al TAR Lazio da parte di Juice Plus per vedere se il ragionamento adottato dall’Autorità sarà confermato. In attesa di ciò, la presente decisione risulta di interesse in quanto pone l’accento sull’importanza di definire chiaramente i determinati ruoli (venditore o consumatore) in occasione di un’attività di marketing c.d. below the line.

Luca Feltrin
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Pratiche commerciali scorrette e settore della telefonia – Il Tar respinge il ricorso di Vodafone e conferma la sanzione di € 1.000.000 in relazione al cambio del periodo di fatturazione

Con la sentenza n. 4922/2019, pubblicata lo scorso 16 aprile, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) si è pronunciato sul ricorso presentato da Vodafone Italia S.p.A. (Vodafone) avverso il provvedimento n. 26307/2016 con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o Autorità) aveva irrogato nei confronti di quest’ultima una sanzione complessiva pari a € 1.000.000.

La vicenda trae origine dalla decisione di Vodafone di modificare unilateralmente il periodo di rinnovo dei piani tariffari relativi alla propria offerta di servizi di telefonia fissa e mobile da 30 giorni a 4 settimane, con comunicazione di tale variazione ai clienti tramite sms o direttamente in fattura (in entrambi i casi, rimandando alla consultazione di una pagina internet per le informazioni di dettaglio); in tale contesto, ai clienti era offerta la possibilità di recedere dal contratto qualora non avessero inteso accettare tale modifica contrattuale. Peraltro, ai clienti che, contestualmente alla sottoscrizione del servizio di telefonia mobile, avevano acquistato (con pagamento frazionato su base rateale) un dispositivo mobile, oppure che per poter beneficiare di sconti sul piano tariffario si erano vincolati ad una permanenza contrattuale minima, in caso di recesso, veniva chiesto di versare in un'unica soluzione le rate residue o il corrispettivo previsto dalle condizioni generali di contratto in caso di recesso anticipato rispetto alla scadenza pattuita.

All’esito della propria istruttoria, l’AGCM aveva qualificato, quindi, tali pratiche come aggressive in ragione del fatto che queste avrebbero comportato “…un aggravio economico per il cliente che voglia avvalersi della facoltà di recedere dal contratto in quanto non intende accettare le modifiche predisposte unilateralmente dalla società…”, di fatto determinando un ostacolo alla libertà del consumatore di esercitare il proprio diritto di recesso.

Proprio la circostanza della sussistenza di pratiche commerciali “scorrette” (e non “ingannevoli”) in violazione degli articoli 20, 24 e 25 del Codice del Consumo ha consentito al TAR, dopo una lunga ricostruzione del quadro normativo di riferimento, di confermare la competenza dell’AGCM nel caso di specie, rigettando il primo motivo di ricorso proposto da Vodafone volto proprio a sollevare l’incompetenza dell’AGCM in favore dell’autorità di regolazione del settore (ossia, l’Autorità Garante per le Comunicazioni).

Quanto alla valutazione delle condotte, il TAR si è soffermata non tanto sulle singole previsioni contrattuali sopra descritte (di per sé lecite), quanto sulle tempistiche di richiesta del saldo delle rate residue o del corrispettivo per il recesso anticipato, in quanto derivanti dall’esercizio dello ius variandi da parte del professionista e non da una decisione volontaria del consumatore; in altre parole, il consumatore sarebbe stato influenzato (rectius, indebitamente condizionato) circa la propria possibilità di adottare una scelta consapevole al riguardo, e ciò in un ambito, tra l’altro, tradizionalmente caratterizzato da una forte asimmetria informativa, vista la natura tecnica dei servizi in questione.

In  conclusione, il TAR ha respinto il ricorso di Vodafone, ritenendo le sanzioni irrogate dall’AGCM congrue, proporzionate e in linea con la giurisprudenza in materia. Sarà interessante a questo punto comprendere se Vodafone intenderà appellare la sentenza innanzi al Consiglio di Stato, in quello che sarebbe verosimilmente l’ultimo passaggio di una vicenda che ha attratto una certa attenzione mediatica.

Filippo Alberti