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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Concentrazioni e settore energetico – La Commissione europea ha irrogato una sanzione di €52 milioni per informazioni scorrette fornite nel contesto di un’acquisizione

Lo scorso 8 aprile, il Commissario europeo alla concorrenza Margrethe Vestager ha reso nota la decisione della Commissione europea (la Commissione) di sanzionare General Electric (GE) per un ammontare totale di €52 milioni.

Ad avviso della Commissione, GE avrebbe agito in violazione del disposto dell’articolo 11 del Regolamento europeo sulle concentrazioni n. 139 del 2004 (il Regolamento sulle Concentrazioni), il quale dispone l’obbligo di fornire – in maniera chiara, corretta e puntuale – tutte le informazioni richieste dalla Commissione per poter eseguire una valutazione completa ed efficace dei possibili effetti distorsivi della concorrenza che una data operazione potrebbe avere sul mercato.

Al fine di meglio comprendere le motivazioni poste alla base della suddetta decisione, occorre ripercorrere brevemente le tappe procedimentali che hanno portato all’acquisizione di LM Wind – società attiva nella produzione di turbine eoliche offshore ad elevata potenza di erogazione energetica – da parte di GE. In data 11 gennaio 2017, GE ha notificato alla Commissione la propria volontà di acquisire LM Wind, dichiarando (nell’atto di notifica stesso) di non avere in sviluppo la costruzione di alcuna turbina eolica ad elevate prestazioni in aggiunta a quella da 6 megawatt di potenza già esistente ed operante. Tuttavia, in virtù di informazioni ottenute da parte di soggetti terzi attivi nel mercato in oggetto, la Commissione ha appurato che GE aveva omesso di indicare al momento della notifica che stava già offrendo una turbina eolica offshore con 12 megawatt di capacità erogativa a potenziali clienti. Conseguentemente, in data 2 febbraio 2017, GE ha ritirato la propria notifica ‘deficitaria’ per poi ripresentarla – includendo, questa volta, tutte le informazioni necessarie – undici giorni dopo (ossia, il 13 febbraio).

Nonostante la Commissione abbia approvato il 20 marzo 2017 l’acquisizione di LM Wind, essa ha comunque voluto sanzionare GE per aver fornito informazioni carenti e scorrette in occasione della prima notifica di acquisizione, impedendo una valutazione piena dei possibili effetti anticoncorrenziali dell’operazione in esame. Si precisa, peraltro, che la decisione oggetto del presente commento non ha alcun effetto sulla validità della decisione con cui la Commissione ha inteso approvare l’acquisizione di LM Wind, poiché quest’ultima trova il proprio fondamento sulle informazioni corrette e complete fornite da GE in sede di seconda notifica.

Con la presente decisone, la Commissione, per la seconda volta dall’entrata in vigore del Regolamento sulle Concentrazioni, ha sanzionato (per un ammontare decisamente rilevante) una società per aver fornito informazioni errate o fuorvianti nell’ambito di un’operazione di acquisizione. Il primo caso in cui la Commissione ha inflitto un ammenda ad una società per lo stesso motivo risale al maggio 2017 e riguarda la nota concentrazione effettuata tra Facebook e WhatsApp nel 2014, quando il colosso dei social network è stato sanzionato per un ammontare complessivo di oltre €110 milioni.

Non essendo ancora disponibile la versione non confidenziale della decisione sanzionatoria ai danni di GE, si dovrà attendere ancora qualche mese prima di poter presentare un’analisi più completa. Tuttavia, in questa sede si può comunque sostenere che tale decisione dev’essere intesa come un ulteriore avvertimento da parte della Commissione sull’importanza di fornire sempre le informazioni da questa richieste in modo corretto e completo, al fine di evitare di incappare in sanzioni che – come visto – possono raggiungere importi decisamente rilevanti.

Luca Feltrin
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Abuso di posizione dominante e poteri istruttori – Il Tribunale rigetta il ricorso di Qualcomm riguardante un’ampia richiesta di informazioni

Il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale), con sentenza dello scorso 9 aprile, ha rigettato in toto il ricorso proposto da Qualcomm, Inc. e Qualcomm Europe, Inc. (congiuntamente, Qualcomm) avverso la decisione con cui la Commissione europea (la Commissione) gli aveva ordinato di fornire una vasta gamma di informazioni in merito ad un  possibile abuso di posizione dominante da parte della stessa Qualcomm sul mercato dei chip UMTS. Ad esito di tale procedimento, nel gennaio 2018 la Commissione, come è noto, aveva accertato una condotta abusiva di Qualcomm consistente nell’aver posto in essere una politica di prezzi predatori rivendendo chip UMTS sotto costo per costringere l’unico concorrente attivo sul settore all’uscita dal mercato.

Nell’ambito di detta indagine, dopo una serie di richieste di informazioni inviate tra il 2010 e il 2015, alle quali Qualcomm aveva risposto, ed a seguito della comunicazione degli addebiti, la Commissione, il 30 gennaio 2017, aveva inviato un’ampia richiesta di informazioni a Qualcomm: quest’ultima ha contestato l’oggetto ampio della richiesta chiedendone la revoca. In seguito alla mancata risposta da parte dell’impresa, la Commissione aveva adottato una decisione che ordinava la fornitura delle informazioni già richieste e che Qualcomm ha impugnato col ricorso in rilievo.

Qualcomm lamentava, tra le altre cose, l’inadeguatezza della motivazione della richiesta della Commissione, in particolar modo in ragione della distanza temporale significativa dall’inizio dell’indagine (sette anni), che avrebbe reso difficile per Qualcomm valutare la necessità delle informazioni richieste. Qualcomm contestava altresì la vaghezza della richiesta, nonché la maggiore ampiezza delle informazioni rispetto all’ambito dell’indagine individuato nella comunicazione degli addebiti.

Il Tribunale nel rigettare tutti argomenti di Qualcomm ha confermato la decisione dando valore alla esigenza della Commissione di meglio comprendere gli argomenti difensivi avanzati da Qualcomm nel corso dell’istruttoria.

Tale sentenza risulta interessante in ragione della posizione piuttosto permissiva adottata nei confronti della Commissione, alla quale sono state riconosciute facoltà molto ampie in ordine alla richiesta di informazioni, anche rispetto a informazioni esorbitanti l’ambito dell’indagine definito nella comunicazione degli addebiti. Appare verosimile, peraltro, che la controversia possa proseguire dinanzi alla Corte di Giustizia.

Riccardo Fadiga
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Concorrenza e settore finanziario – Pubblicato lo studio condotto per conto della Commissione europea sui syndicated loan nell’UE e il loro impatto sulla concorrenza nei mercati del credito

La Commissione europea (la Commissione) ha accesso un faro sui c.d. prestiti sindacati (syndicated loan), ossia i finanziamenti di importo elevato concessi da parte di un consorzio di banche che si raggruppano, sotto la guida di una banca detta arranger, per condividere il rischio legato al credito e fornire un prestito a beneficio di un dato soggetto nel quadro di un unico accordo di finanziamento. La dimensione economica del fenomeno – pari in Europa a circa €720 miliardi nel 2017 – e la rilevanza del settore interessato, quello del credito, ha condotto la Commissione ad affidare ad un gruppo di esperti uno studio volto ad approfondire il tema del funzionamento del mercato dei prestiti sindacati nell’UE ed i potenziali rischi concorrenziali connessi alle principali caratteristiche del mercato (Studio).

Lo Studio è stato pubblicato l’8 aprile 2019 e prende in esame sei Stati membri (Francia, Germania, Olanda, Polonia, Spagna e Regno Unito – ma non specificamente l’Italia) e tre specifici segmenti connessi al mercato dei prestiti sindacati: (i) quello delle operazioni di Leveraged Buy Outs, (ii) la finanza di progetto e (iii) i finanziamenti per la realizzazione delle infrastrutture. Le potenziali criticità concorrenziali sono analizzate in relazione alle varie fasi in cui si articola un prestito sindacato.

Anzitutto, in termini generali, le aree di rischio individuate attengono allo scambio di informazioni, alla cooperazione, alle integrazioni verticali e al disallineamento degli incentivi tra le banche partecipanti che possono dare luogo all’applicazione di clausole di finanziamento e a risultati di mercato non ottimali. A ciò si aggiunge la constatazione che il potere contrattuale delle banche aumenta notevolmente ove il beneficiario del finanziamento attraversi difficoltà finanziarie.

In particolare, nella fase in cui si svolge la procedura competitiva per la scelta delle banche che parteciperanno al consorzio e in cui queste ultime svolgono attività di consultazione del mercato per verificare la posizione del potenziale beneficiario del prestito, lo Studio segnala un rischio di collusione legato al possibile scambio di informazioni sull’operazione tra le banche potenziali concorrenti. In generale le interazioni ripetute nel tempo che avvengono tra le banche potrebbero incentivare una coordinazione delle rispettive future politiche commerciali.

Una seconda area di rischio attiene a possibili pratiche leganti del finanziamento con servizi accessori (in alcuni casi, l’acquisto di questi ultimi si è dimostrata condizione per la concessione del finanziamento). Lo Studio ha ritenuto che quest’area presentasse un rischio ‘moderato’ e meritasse un monitoraggio delle condotte.

Vengono identificate anche altre potenziali aree di rischio legate (i) all’appartenenza dell’advisor del beneficiario del finanziamento al medesimo gruppo di una delle banche partecipanti al consorzio (sebbene lo Studio rilevi che le evidenze di una tale prassi sono limitate), e (ii) alle potenziali collusioni tra le banche del consorzio in relazione alla vendite del prestito sindacato sul mercato secondario (rischio limitato anche in considerazione dell’elevato livello di sofisticazione dei soggetti operanti sul mercato secondario).

Lo Studio precisa, inoltre, che i rischi analizzati appaiono più concreti nei mercati più piccoli (tra quelli considerati, ad es. la Polonia) in cui il minor numero di soggetti in grado di offrire i servizi di banca arranger aumenta i rischi di collusione.

Infine, con riguardo ai possibili rimedi in relazione ai rischi di collusione derivanti dallo scambio di informazioni, lo Studio suggerisce l’adozione di protocolli per la gestione e le modalità di trasferimento delle informazioni riguardanti una specifica operazione e l’uso dei cc.dd. Non Disclosure Agreements (NDAs). Con riferimento, invece, alle partiche leganti relative ai servizi accessori si consiglia di limitare la fornitura incrociata di detti servizi allo scopo di non limitare la concorrenza sui mercati collegati a quello dei prestiti sindacati e di mantenere i servizi accessori non direttamente collegati al finanziamento principale separati da quest’ultimo. Più in generale, misure adeguate per limitare le criticità concorrenziali sarebbero legate all’adozione di programmi di compliance antitrust da parte delle banche, con particolare riferimento ai training di diritto della concorrenza indirizzati ai soggetti materialmente coinvolti nelle operazioni.

Resta da vedere ora quale sarà la ricaduta pratica dello Studio descritto sulle azioni da intraprendersi da parte della Commissione e, in particolare, se verrà utilizzato, in concreto, come base per l’avvio di istruttorie nel settore dei prestiti sindacati.

Roberta Laghi
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e distribuzione di autoveicoli usati – Il TAR Lazio ha rideterminato una sanzione pecuniaria in ragione dell’esiguo numero di prodotti coinvolti e dell’ambito temporale ristretto della condotta

Con la sentenza dello scorso 11 aprile, il TAR Lazio (TAR) ha parzialmente accolto il ricorso presentato dalla società VAR s.r.l. (Var o la Ricorrente) avverso il provvedimento emanato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o l’Autorità), tramite il quale quest’ultima ha sanzionato la Ricorrente per un ammontare complessivo di €100.000 per aver posto in essere una pratica commerciale scorretta a danno dei consumatori. Questa sarebbe consistita, ad avviso dell’Autorità, nell’aver commercializzato, durante il periodo di tempo ricompreso tra dicembre 2014 e marzo 2016, un totale di quattro autovetture il cui chilometraggio pubblicizzato sarebbe risultato differente da quello effettivo. In tal modo, Var avrebbe, così, elevato artificiosamente il valore commerciale delle autovetture in questione e, conseguentemente, ingannato i consumatori.

Ad avviso della Ricorrente, la ricostruzione operata dall’Autorità in ambito istruttorio sarebbe stata priva di qualsivoglia supporto probatorio, in quanto nulla avrebbe aggiunto alla già scarsamente motivata segnalazione operata dalla Procura di Cuneo (la Segnalante). A sostegno di ciò, Var – in sede di ricorso – ha sostenuto come l’AGCM non abbia tenuto minimamente in considerazione il numero decisamente esiguo di autoveicoli effettivamente coinvolti nella pratica commerciale scorretta (la cui vendita rappresenta solo l’1% del fatturato complessivo della Ricorrente), l’ambito temporale decisamente ristretto della stessa, nonché il fatto che su quattro autoveicoli coinvolti solo in un caso l’acquirente finale abbia avviato un contenzioso. In aggiunta, Var ha sostenuto dinnanzi al TAR di non aver mai operato alcuna manomissione sui contachilometri coinvolti e di essersi semplicemente limitata ad immettere nel mercato gli autoveicoli previamente acquistati da altri soggetti nello status in cui si trovavano al momento della consegna. Infine, la Ricorrente ha richiesto al TAR di pronunciarsi nel senso di garantire una sostanziale riduzione della sanzione infittale dall’Autorità, deducendo, a sostegno di tale richiesta, una vistosa disparità di trattamento rispetto ad altri casi similari (in cui risultava coinvolto un numero decisamente maggiore di vetture e società con fatturati più rilevante), ove era stata irrogata una sanzione di minor importo.

In risposta alle suddette doglianze, il TAR si è pronunciato come segue. In primis, l’Autorità ha acquisito una sufficiente quantità di evidenze documentali ulteriori rispetto a quelle fornite dalla Segnalante e ha sufficientemente motivato la propria ricostruzione. A tal proposito, il TAR ha sostenuto che non riveste alcuna importanza (nella determinazione dell’esistenza effettiva di una condotta lesiva dei diritti dei consumatori) il numero esiguo di autovetture coinvolte nella condotta contestata. Infatti – secondo giurisprudenza consolidata – una pratica scorretta sarebbe riscontrabile anche “… attraverso singoli comportamenti, non necessariamente ripetuti per un tempo significativo …”. In secundis, il TAR, pur riconoscendo la mancata manomissione del contachilometri da parte della Ricorrente, al tempo stesso, ha statuito che la Ricorrente ha agito in assenza del grado di diligenza minimo necessario richiesto ad un professionista attivo nel settore dell’usato, il quale è sempre tenuto a verificare l’effettiva corrispondenza tra il chilometraggio effettivo del veicolo e quello riscontrabile sul contachilometri. Infine – punto di particolare interesse – il TAR ha stabilito che la sanzione originariamente inflitta è sproporzionata, in quanto l’AGCM non ha tenuto in considerazione i seguenti elementi: (i) l’assenza di precedenti procedimenti a carico della Ricorrente; (ii) il sopracitato esiguo numero di autovetture coinvolte; (iii) e la durata della condotta, la quale non è risultata continuativa nel tempo. In ragione di ciò, il TAR ha optato per rideterminare la suddetta sanzione fissandone l’ammontare ora a €50.000.

Il TAR, con la sentenza oggetto della presente analisi, ha così riaffermato – ponendosi sulla falsariga della giurisprudenza prevalente – la necessità di sanzionare ex ante anche la natura meramente ‘potenziale’ di una pratica commerciale scorretta (riconoscendo l’irrilevanza del numero di prodotti oggetto della condotta stessa al fine di determinarne l’esistenza). Nondimeno, la pronuncia in esame resta d’interesse, trattandosi di un caso non frequente di riduzione dell’ammenda per pratiche commerciali scorrette in ragione dell’affermazione espressa del principio secondo cui la sanzione inflitta dall’Autorità debba rispondere a logiche di proporzionalità. A quest’ultimo fine rilevano i medesimi summenzionati elementi (quali la scarsa durata temporale della condotta o l’esiguo numero di prodotti coinvolti) che non hanno impedito all’Autorità, invece, di stabilire l’esistenza della pratica illecita.

Luca Feltrin