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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Intese e risarcimento del danno – Il Tribunale di Primo Grado dell’UE ha condannato la Commissione europea a risarcire il danno subito da Printeos SA per la mancata corresponsione degli interessi moratori

Nel dicembre 2014 la Commissione europea (Commissione) aveva sanzionato la società Printeos SA (Printeos o la Ricorrente) per aver partecipato ad un’intesa nel mercato europeo delle buste standard e delle buste speciali stampate, irrogandole una sanzione di euro 4.729.000. Ai sensi della decisione, l’ammenda doveva essere pagata entro il termine di tre mesi dalla notifica della medesima: alla scadenza di tale termine sarebbero stati automaticamente applicati degli interessi a un determinato tasso, calcolato in base ai tassi utilizzati dalla Banca Centrale Europea. Per quanto qui di rilievo, la decisione riportava altresì che qualora l’impresa avesse proposto un ricorso avrebbe dovuto prevedere una garanzia finanziaria a copertura dell’importo dell’ammenda, oppure pagare l’importo della sanzione a titolo provvisorio conformemente all’art. 90 del Regolamento Delegato (UE) n. 1268/2012 (l’Articolo 90).

A seguito della irrogazione della sanzione, Printeos aveva proposto ricorso al Tribunale dell’UE (il Tribunale) chiedendone l’annullamento, procedendo tuttavia al pagamento provvisorio della sanzione  entro il termine di tre mesi (il 9 marzo 2015). Successivamente, il Tribunale, con sentenza passata in giudicato (Sentenza Printeos), aveva annullato il provvedimento sanzionatorio della Commissione accertando una violazione, da parte di quest’ultima, dell’obbligo di motivazione ex art. 296 TFUE. La Commissione ha quindi informato la Ricorrente dell’intenzione di rimborsarle l’importo dell’ammenda pagata a titolo provvisorio. Tuttavia, i rappresentanti di Printeos hanno richiesto anche la corresponsione degli interessi relativi al periodo intercorso a partire dalla data di pagamento della sanzione stessa (9 marzo 2015), calcolati con i medesimi criteri applicati agli interessi di mora in caso di ritardo nel pagamento della sanzione da parte dell’impresa. Tuttavia, la Commissione ha risposto a tale richiesta sottolineando che, come chiarito nell’informativa precedentemente inviata alla Ricorrente, le ammende incassate a titolo provvisorio vengono investite in un fondo e che, in base all’Articolo 90, qualora il risultato di gestione sia positivo vengono corrisposti anche i proventi di gestione oltre all’importo della sanzione, qualora invece il rendimento complessivo sia negativo, “…è rimborsato [solamente] il valore nominale degli importi…”. Posto che la gestione del fondo aveva dato rendimenti negativi nel periodo rilevante, la Commissione aveva sostenuto di non dover corrispondere alcun interesse oltre alla sanzione pagata.

Printeos ha dunque citato in giudizio la Commissione di fronte al Tribunale, chiedendo che venisse condannata al pagamento degli interessi di mora sulle somme versate da parte della Ricorrente. In particolare, Printeos ha lamentato il danno derivato dall’indisponibilità dell’importo della sanzione e ha richiamato l’art. 266 TFUE, il quale dispone che l’istituzione che ha emanato l’atto annullato ha l’obbligo di dare piena attuazione alla sentenza che ha dichiarato nullo tale atto e, dunque, di ripristinare a pieno la situazione originale. A tal riguardo, la Ricorrente ha argomentato che il Tribunale, con la sentenza Corus dell’ottobre 2001, aveva stabilito che nel caso di una sentenza che annulla un’ammenda con effetto retroattivo, in forza dell’art. 266 TFUE la necessità di ripristino comporta, per la Commissione, l’obbligo di restituire l’ammenda comprensiva degli interessi prodotti da tale importo. Pertanto, secondo Printeos, l’Articolo 90 andrebbe interpretato conformemente all’art. 266 e non potrebbe escludere il pagamento degli interessi di mora da parte della Commissione. Quest’ultima, al contrario, ha sostenuto che in questi casi fossero dovuti soltanto eventuali proventi della gestione del fondo.

In apertura della propria analisi, il Tribunale ha rilevato che l’omissione del pagamento degli interessi sull’importo della sanzione si fonda su una violazione sufficientemente qualificata – ai fini dell’insorgere di responsabilità extracontrattuale di un’istituzione dell’Unione europea – di una norma di diritto volta a conferire diritti ai singoli, quale l’art 298 TFUE sull’obbligo di motivazione. I giudici si sono poi occupati di valutare la sussistenza di una violazione dell’art 266 TFUE, esaminando se, nel caso di specie, il mancato pagamento da parte della Commissione di interessi moratori in forza dell’Articolo 90 fosse conforme al diritto comunitario. Da un’analisi della giurisprudenza il Tribunale ha rilevato che a seguito di una sentenza che annulla ex tunc una decisione che imponeva una sanzione, l’art. 266 dispone l’obbligo di risarcire la privazione del godimento della somma indebitamente versata. Infatti, in forza degli effetti ex tunc delle sentenze di annullamento, il soggetto sanzionato matura un credito che sussiste dal giorno in cui l’ammenda era stata pagata. A partire da quel momento, dunque, la Commissione si trova necessariamente in una situazione di ritardo nel pagamento, e dovrà pertanto corrispondere gli interessi di mora.

Alla luce di ciò, il Tribunale ha stabilito che l’Articolo 90 va interpretato conformemente con l’art. 266 TFUE, condannando la Commissione a risarcire Printeos e a pagarle gli interessi di mora sull’importo della sanzione maturati a partire dal 9 marzo 2015, nella misura di circa 185.000 euro.

Leonardo Stiz
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Diritto della concorrenza Italia / Prezzi di cessione del latte in Sardegna – L’AGCM avvia un’istruttoria per accertare la sussistenza di un’imposizione di prezzi di vendita eccessivamente gravosi da parte dei caseifici produttori di pecorino romano agli allevatori di pecore

L’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM) ha comunicato l’avvio di un’istruttoria in merito ai prezzi del latte sardo di pecora DOP, nei confronti del Consorzio per la Tutela del Formaggio Pecorino Romano e di trentadue delle imprese di trasformazione che vi aderiscono aventi sede in Sardegna. Il procedimento è volto ad accertare la possibile sussistenza di una violazione della disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari contenuta nel decreto-legge 24 gennaio 2012, n.1 (il DL 1/2012), il quale reca, tra le altre, disposizioni in merito al divieto di imposizione di condizioni di vendita ingiustificatamente gravose, e attribuisce all’AGCM il dovere di vigilanza sulla propria applicazione.

Nella misura in cui i caseifici produttori di pecorino romano avrebbero potuto imporre agli allevatori di pecore un prezzo di cessione del latte di pecora al di sotto dei costi medi di produzione, la pratica oggetto dell’istruttoria potrebbe inquadrarsi in una situazione di significativo squilibrio contrattuale tra i primi ed i secondi e a svantaggio di questi ultimi, in ragione della alta deperibilità del latte e delle caratteristiche dimensionali ed organizzative delle imprese di allevamento.

Questa istruttoria appare coerente con la dichiarata volontà dell’AGCM di voler tutelare gli anelli deboli della filiera agroalimentare in Italia attraverso gli strumenti alla stessa affidati relativi alla valutazione di possibili abusi di dipendenza economica in questo settore di cui al sopracitato DL 1/2012, in un contesto di rinnovato interesse all’esercizio di tale competenza, come evidenziato dall’avvio del procedimento in discorso a pochi mesi di distanza da quello di ben sei istruttorie nei confronti dei principali operatori nazionali nel settore della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) con riguardo all’asserita imposizione nei confronti dei fornitori di pane fresco dell’obbligo di ritirare e smaltire a proprie spese l’intero quantitativo di prodotto invenduto a fine giornata, in forza di un significativo squilibrio contrattuale tra le catene della GDO e le imprese di panificazione.

Nei prossimi mesi sarà dunque possibile verificare quali saranno gli effetti del rinnovato interesse dell’AGCM all’applicazione della citata normativa.

Riccardo Fadiga
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Intese e settore dei servizi di post-produzione dei programmi televisivi – Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato dall’AGCM contro la precedente sentenza del TAR Lazio, la quale aveva annullato il provvedimento dell’AGCM adottato a conclusione del procedimento I771 – Servizi di post-produzione di programmi televisivi RAI, nei confronti inter alia di Futura S.r.l.

Lo scorso 13 febbraio, il Consiglio di Stato (CdS) ha accolto il ricorso presentato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o l’Autorità) contro la sentenza del TAR Lazio (TAR) che aveva annullato la decisione  adottata dall’AGCM in data 27 maggio 2015 e con la quale era stata sanzionata la società Futura S.r.l. (Futura) e altre ventuno imprese attive nel settore dei servizi di post-produzione di programmi televisivi (insieme, le Parti) per un totale di quasi € 800.000.

Al fine di meglio comprendere le ragioni fattuali e di diritto poste alla base del ricorso dell’Autorità e della conseguente pronuncia del CdS, appare opportuna una breve introduzione sulla condotta oggetto del contendere. Con il summenzionato provvedimento, infatti, l’AGCM ha stabilito che le Parti coinvolte avrebbero posto in essere un’intesa unica e continuata al fine di coordinare le proprie politiche di offerta in relazione a determinate procedure selettive indette da Radio Televisione Italiana S.p.A. (RAI) nel 2013 e concernenti la fornitura di servizi di post-produzione di programmi televisivi per le stagioni 2013 e 2014. In particolare, tale condotta concertata avrebbe trovato attuazione – oltre che attraverso intense attività di scambio di informazioni tra i diversi concorrenti – anche, e soprattutto, per il tramite dell’associazione di categoria New Italia Broadcasting Association (NIBA), costituita nel 2011 da alcune imprese attive nei sopramenzionati servizi anche al fine di coordinare la partecipazione e l’aggiudicazione delle procedure indette dalla RAI.

In particolare, l’intesa in oggetto avrebbe visto il suo primo stadio di realizzazione nell’attività di condivisione di dettagliate informazioni sensibili favorita dalla summenzionata associazione, nonché nella divulgazione – sempre da parte della stessa – di indicazioni relative ai prezzi minimi che le imprese membri avrebbero dovuto adottare nel formulare le relative offerte alla RAI. Con particolare attenzione alla condotta contestata a Futura, infine, l’AGCM ha imputato a quest’ultima esclusivamente di aver partecipato alla pratica coordinativa illecita interna al NIBA e non anche di aver preso parte alla concertazione circa le summenzionate procedure selettive indette dalla RAI nel 2013.

Il CdS ha accolto interamente il ricorso presentato dall’Autorità, rigettando in toto le conclusioni a cui era precedentemente giunto il TAR, il quale aveva annullato il provvedimento sopradescritto nella parte relativa alle imputazioni a carico di Futura. L’AGCM, in particolare, ha eccepito il difetto di motivazione della suddetta sentenza, in quanto il TAR avrebbe valutato in maniera distorta ed inesatta l’insieme degli elementi probatori raccolti e posti da quest’ultima a base del proprio provvedimento sanzionatorio. Inoltre, l’Autorità ha anche lamentato il fatto che il TAR, nel suo processo decisionale, sarebbe incorso in un vizio di ultra petizione, in quanto non si è limitato a prendere in esame l’oggetto del ricorso presentato da Futura – ossia che l’attività da questa svolta all’interno del NIBA fosse lecita – ma ha basato la propria decisone sulla mancata partecipazione di quest’ultima alla concertazione sulle summenzionate procedure selettive.

Con riferimento all’asserito difetto di motivazione della sentenza oggetto del ricorrere, il CdS ritiene fondata la posizione espressa dall’AGCM e, conseguentemente, critica la valutazione di inadeguatezza delle risultanze istruttorie effettuata dal TAR. Il CdS, infatti, ritiene che il materiale probatorio raccolto dall’Autorità provi chiaramente e sufficientemente non solo che le associate abbiano tra loro condiviso i prezzi e gli sconti offerti alla RAI (al fine di coordinare il proprio comportamento), ma anche la sussistenza di una capillare attività illecita di monitoraggio dei dati relativi alle gare per l’affidamento dei suddetti servizi posta in essere all’interno della cornice associativa del NIBA e della conseguente opera di distribuzione degli stessi presso i propri consociati.

I dati oggetto di comunicazione sono stati riconosciuti come idonei ad incidere sulla necessaria libertà imprenditoriale di ciascun soggetto coinvolto, minando così il libero gioco della concorrenza nel mercato in questione. Il CdS, in relazione a questo punto in particolare, risponde alla critica avanzata da Futura, secondo cui tali dati avevano natura storica e, soprattutto erano comunque conoscibili altrimenti dalle parti coinvolte, stabilendo quanto segue. In primis, il CdS – richiamando una consolidata giurisprudenza europea e nazionale – sancisce che la natura storica di un dato non è, di per sé, idonea a far venir meno la sussistenza di una condotta anticoncorrenziale, in quanto anche tali informazioni possono rivestire natura strategica e, di conseguenza, influenzare la libera determinazione dei prezzi da parte di una attore economico. Successivamente, il CdS stabilisce che i dati oggetto di scambio sarebbero stati conoscibili alle parti coinvolte solo in seguito all’utilizzo di ingenti risorse da parte di quest’ultime.

Con riferimento, invece, all’asserito vizio di ultra petizione, il CdS ritiene non condivisibile l’approccio adottato dal TAR. Infatti, quest’ultimo ha anche considerato dirimente la mancata partecipazione di Futura alle gare indette dalla RAI, estendendo così la propria analisi – come detto – oltre l’oggetto espresso nel primo motivo di ricorso presentato da Futura.

A tal proposito, il CdS ricorda che l’Autorità stessa, nel proprio provvedimento, ha escluso la partecipazione di quest’ultima all’intesa relativa alle suddette gare. Nonostante ciò, Futura risulta tra le Parti sanzionate in quanto è stato riconosciuto il suo ruolo di soggetto attivo all’interno dell’associazione, la cui attività è risultata – come sopra descritto – illecita. A tal proposito, il CdS ritiene che l’Autorità abbia sufficientemente provato l’attivo contributo offerto da Futura alla pratica concertativa, sostanziatosi nella partecipazione, da parte di quest’ultima, alla trasmissione dei dati sensibili all’interno di NIBA; nell’aver rivestito cariche apicali in quest’ultima; e nell’aver partecipato a determinati incontri direttivi di rilevante importanza in relazione alla pratica concertativa in esame.

In ragione di quanto sopra, quindi, il CdS ha annullato la sentenza del TAR impugnata e ha riconfermato le risultanze contenute nel provvedimento sanzionatorio emanato dall’AGCM.

Luca Feltrin
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Energia / DL Semplificazione – Ai fini dell’introduzione di misure per la valorizzazione della sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle attività legate agli idrocarburi, il Governo sospende tutte le attività di prospezione e ricerca; inoltre stabilisce le condizioni per il passaggio in proprietà alle Regioni delle opere afferenti le grandi derivazioni idroelettriche

E’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, n. 36 del 12 febbraio 2019, la legge 11 febbraio 2019, n. 12, di conversione del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (il Decreto, o il DL semplificazione). Il Decreto si compone di 26 articoli che hanno per oggetto diversi ambiti applicativi, introducendo misure di sostegno e semplificazione nel campo delle imprese; della giustizia e della sicurezza; dell’innovazione, infrastrutture e trasporti; delle politiche sociali e del lavoro; degli enti locali; dell’ambiente ed energia; e, da ultimo, dell’istruzione, università e sport.

In particolare, per quanto riguarda il settore dell’energia, l’articolo 11-ter dispone l’adozione di un Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI) al fine di individuare un “…quadro definito di riferimento delle aree ove è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale…”, nell’intento di “…valorizzare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica…” delle aree interessate da tali attività. Il Decreto quindi dispone, in primo luogo, la sospensione di tutti i procedimenti amministrativi relativi al conferimento di nuovi permessi di prospezione o di ricerca di idrocarburi, sia liquidi sia gassosi, con l’eccezione dei procedimenti legati (i) alla proroga di vigenza delle concessioni di coltivazione di idrocarburi in essere; (ii) alla rinuncia a titoli minerari vigenti o alle relative proroghe; (iii) alla sospensione temporale della produzione per le concessioni in essere; ovvero (iv) alla riduzione dell’area, variazione dei programmi lavori e delle quote di titolarità. Inoltre, più incisivamente, il Decreto dispone la sospensione della validità, a decorrere dalla data di entrata in vigore della norma, ossia dal 15 gennaio 2019, dei permessi di prospezione o di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in essere, con conseguente interruzione di tutte le attività di prospezione e ricerca in corso di esecuzione fino all’adozione del PiTESAI o al decorrere di ventiquattro mesi, trascorsi inutilmente i quali i permessi sospesi riacquisteranno efficacia.

Una ulteriore disposizione meritevole di nota riguardante il medesimo settore è recata all’articolo 11-quater e rubricata “Disposizioni in materia di concessioni di grandi derivazioni idroelettriche”. La norma in oggetto prescrive che al momento della scadenza delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche, e nei casi di decadenza o rinuncia, passino in proprietà alle Regioni, senza corresponsione di alcun compenso al concessionario uscente, tutte le c.d. “opere bagnate” (ossia, “…le opere di raccolta, di regolazione e di derivazione, principali e accessorie, i canali adduttori dell'acqua, le condotte forzate ed i canali di scarico”) delle grandi derivazioni idroelettriche. Tuttavia, in caso di esecuzione da parte del concessionario, a proprie spese e nel periodo di validità della concessione, di investimenti su tali beni, la norma prevede la corresponsione di un indennizzo, pari al solo valore non ammortizzato di tali investimenti, purché gli investimenti stessi fossero previsti dall’atto di concessione o comunque autorizzati dal concedente.
Per converso, per quanto riguarda tutte le altre opere (c.d. “opere asciutte”) è prevista la corresponsione di un prezzo da quantificare al netto dei beni ammortizzati, in accordo con il regime previgente.

L’impatto delle norme in commento sull’industria energetica dovrà essere verificato nei prossimi mesi.

Riccardo Fadiga