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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Intese e servizi di pagamento – La Commissione europea ha sanzionato Mastercard per un totale di oltre € 570 milioni per aver violato la normativa antitrust limitando la dinamica concorrenziale transfrontaliera tra le banche site nell’Unione europea.

Lo scorso 22 gennaio il Commissario europeo alla concorrenza Margrethe Vestager ha reso nota la decisione della Commissione europea (Commissione) di sanzionare Mastercard, primario operatore nel settore dei pagamenti tramite carta e secondo solo a Visa per volume di carte emanate e valore delle transazioni, per un ammontare totale di oltre € 570 milioni.

Ad avviso della Commissione, il colosso americano avrebbe posto in essere una condotta in violazione del disposto dell’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Confermando un approccio già precedentemente adottato, la Commissione ha stabilito che Mastercard e i propri licenziatari (ossia, gli istituti di credito e gli intermediari finanziari che emettono le carte del marchio Mastercard e Maestro o che accreditano operazioni di pagamento effettuate tramite tale sistema) costituissero una associazione di imprese e quindi che le relative decisioni rappresentassero intese ai sensi del menzionato articolo 101 TFEU.

Secondo la ricostruzione effettuata dalla Commissione durante l’iter istruttorio iniziato nell’aprile 2013, Mastercard avrebbe violato la normativa antitrust europea adottando un insieme di regole interne finalizzato ad impedire ai singoli commercianti di poter beneficiare delle condizioni e dei servizi più convenienti offerti dalle banche site in un differente paese nell'ambito dello Spazio Economico Europeo (SEE). Più precisamente, quando un consumatore effettua un pagamento attraverso una carta di credito (o di debito), innesca un c.d. meccanismo "a cascata", secondo cui la banca del commerciante (la c.d. banca acquirer o"‘acquirente") paga una commissione (denominata "commissione interbancaria") alla banca di cui è cliente il titolare della carta stessa (la c.d. banca "emittente") al fine di permettere il trasferimento dell’importo della transazione in questione. In seguito, la banca acquirer trasferisce, a sua volta, il valore di suddetta commissione in capo al commerciante stesso, il quale è così incentivato a traslare tale costo sui prezzi del prodotto con la conseguenza che tale maggior costo verrà applicato indistintamente a tutti i consumatori (compresi, quindi, anche coloro che non utilizzano tale sistema di pagamento).
Prima dell’approvazione, avvenuta nel dicembre 2015, del Regolamento UE n. 751 sulle commissioni interbancarie, il quale ha fissato i tetti massimi di quest’ultime allo 0.2% del valore della transazione per le operazioni di pagamento effettuate tramite carta di debito e allo 0.3% per quelle realizzate tramite carta di credito, tali commissioni non avevano un valore fisso ma potevano variare (anche considerevolmente) tra i vari Stati parte del SEE. Per ovviare a tale disparità di offerte, nonché per impedire ai singoli commercianti di poter usufruire delle commissioni più convenienti adottate da determinati istituti di credito siti in Stati membri diversi da quello di loro residenza, Mastercard aveva adottato una regolamentazione interna volta ad obbligare la banca acquirer ad applicare alla transazione interessata le commissioni previste per il paese di residenza del commerciante e non quelle dello Stato in cui era attiva la banca e di cui questo è cliente.

Il suddetto sistema di regole, ad avviso della Commissione, avrebbe comportato, a causa del sopra-illustrato meccanismo "a cascata", un innalzamento dei prezzi a discapito di tutti i consumatori; limitato la concorrenza a livello transfrontaliero; e prodotto una segmentazione artificiale del mercato interno europeo. Secondo la Commissione l’imposizione di una sanzione elevata trova la sua giustificazione nella gravità degli effetti creati con l'intesa in parola. Viene peraltro dato atto che la sanzione è stata previamente ridotta del 10% dalla Commissione, che ha voluto così premiare la collaborazione attiva da parte di Mastercard durante la fase istruttoria.

Tuttavia, per un’analisi più approfondita del caso in questione si dovrà attendere la pubblicazione della versione non confidenziale della decisione annunciata. A causa della delicatezza e tecnicità della materia trattata tale pubblicazione potrebbe richiedere non poco tempo, anche in considerazione del fatto che tale decisione costituirà verosimilmente la base sulla quale verranno avviate varie azioni giudiziarie volte al risarcimento del danno causato dal comportamento accertato dalla Commissione.

Luca Feltrin
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Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato e settore del trasporto marittimo – La Corte di Giustizia stabilisce che sovvenzioni in mercati non liberalizzati possono essere qualificate come aiuti di Stato ove in tale mercato sussista comunque un certo grado di concorrenza, e che il termine decennale di prescrizione del potere della Commissione di recuperare gli aiuti concessi illegalmente non si estende alle controversie di risarcimento del danno.

Con la sentenza del 23 gennaio scorso, la Corte di Giustizia (CdG) ha risposto a due questioni oggetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di Cassazione (Cassazione) nell’ambito della controversia tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Presidenza) e la società Fallimento Traghetti del Mediterraneo S.p.A. (FTDM), avente a oggetto una domanda di risarcimento del danno che detta società avrebbe subito a causa della concessione, durante gli anni dal 1976 al 1980, di sovvenzioni a favore di Tirrenia di Navigazione S.p.A. (Tirrenia).

FTDM e Tirrenia, nell'ambito della loro attività di trasporto marittimo negli anni ’70, effettuavano regolari collegamenti marittimi con la Sardegna e la Sicilia. Nel 1981 FTDM aveva convenuto in giudizio Tirrenia al fine di ottenere il risarcimento del danno asseritamente causato da quest’ultima attraverso politiche di prezzo predatorie che, secondo l'attrice, Tirrenia avrebbe potuto mettere in atto esclusivamente grazie alle sovvenzioni pubbliche percepite ai sensi della legge n. 684 del 20 dicembre 1974 (la legge 684) asseritamente in violazione dell’obbligo di previa notifica degli aiuti di Stato alla Commissione. Essendo stata respinta la domanda di FTDM, nonché i relativi ricorsi in appello e in cassazione, FDTM ha convenuto in giudizio la Repubblica italiana al fine di far dichiarare la responsabilità dello Stato per i danni subiti e ottenere il risarcimento. La domanda è stata accolta dal giudice di prime cure che ha condannato la Presidenza al pagamento della somma di euro 2.330.355,78, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali, a titolo di risarcimento del danno. Sebbene, a seguito di impugnazione da parte dell'Italia, il giudice d’appello avesse annullato tale sentenza, con una diversa motivazione aveva comunque condannato la Presidenza al pagamento della medesima somma. Avverso tale sentenza la Presidenza ha quindi proposto ricorso per Cassazione facendo valere l’erronea qualifica delle sovvenzioni concesse a Tirrenia come aiuti nuovi e non come aiuti esistenti. In questo articolato ambito processuale la Suprema Corte ha ritenuto di sottoporre in via pregiudiziale alla CdG le seguenti questioni seguenti: (i) quale principio si deve applicare ad un regime di aiuti di Stato, istituito prima della liberalizzazione del mercato in cui il beneficiario di tale aiuto operi, al momento in cui questo mercato si apre alla concorrenza e (ii) se trovi applicazione la norma, disposta dal regolamento n. 659/1999, che stabilisce un termine di prescrizione decennale per il recupero degli aiuti concessi illegalmente, oppure il principio della tutela del legittimo affidamento.

In merito alla prima questione, la CdG ha statuito che, poiché il requisito dell'idoneità della misura a falsare la concorrenza è necessaria per la qualificazione di una sovvenzione come aiuto di Stato, tale qualificazione non può darsi nel caso di sovvenzioni concesse nell’ambito di un mercato chiuso alla concorrenza. Peraltro, l’assenza di liberalizzazione non esclude necessariamente che una misura d’aiuto risulti idonea a incidere sulla concorrenza qualora il mercato interessato sia solo parzialmente aperto alla concorrenza, ossia quando sussista comunque una situazione di concorrenza effettiva. Secondo la CdG ciò non può escludersi nel caso di specie, alla luce dell’impossibilità di ritenere che Tirrenia non fosse in concorrenza con imprese di altri Stati membri. La CdG ha pertanto concluso che spetta al giudice del rinvio verificare se tali sovvenzioni fossero idonee ad incidere su dinamiche concorrenziali di qualche tipo.

Con riguardo, invece, alla seconda questione, la CdG ha statuito che il termine di prescrizione stabilito dal regolamento n. 659/1999 non è applicabile alla situazione di specie, risultando riferito ai poteri della Commissione di recuperare le somme dovute piuttosto che a quelli del giudice nazionale di condannare al risarcimento del danno. Allo stesso tempo, poiché le sovvenzioni in oggetto sono state concesse in violazione dell’obbligo di previa notifica, gli enti statali non possono avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento.

Resta ora da vedere come la Cassazione attuerà i principi enunciati dalla CdG portando a termine una vicenda giudiziaria che ha avuto origine quasi trenta anni fa.

Riccardo Fadiga
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Tutela del consumatore / Pratiche scorrette e offerte turistiche online – Il TAR del Lazio conferma la sanzione imposta dall’AGCM alla società Flygo Voyager per pratiche commerciali scorrette nel settore dell’offerta di pacchetti turistici online ma accoglie il ricorso in materia di rateizzazione della sanzione.

Il Tribunale Amministrativo del Lazio (il TAR) ha respinto il ricorso della società rumena Flygo Voyager (Flygo), che svolge attività di online travel agency (OTA), avverso la decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che la sanzionava per €500.000 a seguito dell’accertamento di pratiche commerciali scorrette nell’offerta di pacchetti turistici online.

Le pratiche accertate dall’AGCM consistevano: (i) nell’utilizzo ingannevole delle denominazioni “Ryanair” e “Wizzair” all’interno degli annunci pubblicitari diffusi sul motore di ricerca di Google, e nella configurazione grafica ingannevole dei siti internet collegati a tali annunci, tali da indurre il consumatore a credere di trovarsi sui siti delle citate compagnie aeree piuttosto che sul sito dell’agenzia (Pratica 1); (ii) nel ricorso a modalità ingannevoli di presentazione del prezzo, poiché ai consumatori veniva esplicitata solo al termine del processo di prenotazione la presenza della quota di gestione di Flygo, scorporata dal prezzo inizialmente mostrato (Pratica 2); e (iii) nell’omessa predisposizione di un sistema di assistenza clienti facilmente accessibile e alternativo al numero telefonico a pagamento (Pratica 3).

Impugnando la decisione dell'AGCM, con un primo ordine di argomentazioni, Flygo aveva sollevato censure relative all’esistenza di vizi procedimentali. L’autorità rumena infatti, che aveva già aperto un procedimento per le pratiche menzionate, aveva ritenuto che le misure adottate da Flygo eliminassero la scorrettezza delle condotte prospettata dall’AGCM e, pertanto, la decisione di quest'ultima avrebbe violato la normativa comunitaria che dispone la soggezione dell’attività del prestatore di servizi transfrontalieri alla sola legislazione dello Stato membro di stabilimento. Sul punto il TAR ha ritenuto che l’AGCM ha rispettato la procedura prevista dalla normativa comunitaria in tali casi, la quale prevede che l’autorità competente dello Stato membro diverso da quello di stabilimento, prima di adottare un provvedimento, debba (i) chiedere allo Stato di stabilimento di prendere provvedimenti e verificare che questi siano adeguati e (ii) notificare alla Commissione europea e allo Stato di stabilimento l’intenzione di prendere provvedimenti. Dopo aver comunicato all’Autorità rumena che l’intervento di quest’ultima non era stato sufficiente per tutelare i consumatori italiani, l’AGCM ha dunque proceduto, dopo le dovute notifiche, all’emanazione della decisione in oggetto, posto peraltro che la mancanza di un provvedimento da parte dell’Autorità rumena escludeva la duplicazione dei procedimenti.

Relativamente ai vari profili di merito, il TAR ha confermato in pieno la ricostruzione dell’AGCM. Il TAR ha respinto l’argomentazione relativa alla mancata considerazione delle specifiche competenze del consumatore medio dei servizi OTA e del basso numero di denunce ricevute. Con riguardo alla Pratica 1, il TAR ha confermato l’idoneità della stessa a trarre in inganno il consumatore circa l’identità del professionista, in violazione dell’obbligo, per quest’ultimo, di assicurare fin dal primo contatto con il consumatore una corretta e trasparente informazione sugli aspetti salienti della proposta contrattuale. Con riguardo alla Pratica 2, il TAR ha respinto l’argomentazione di Flygo secondo cui non sussisterebbe un obbligo del professionista di indicare la quota di gestione fin dal primo contatto, essendo sufficiente l’indicazione delle spese aggiuntive anche alla fine del processo di prenotazione ma prima che il consumatore si vincoli contrattualmente. Da ultimo, con riferimento alla Pratica 3, nonostante Flygo abbia affermato di aver predisposto un apposito indirizzo email per l’assistenza clienti, alternativo al numero a pagamento, il TAR ha osservato che tale indirizzo non era disponibile sull’home page del sito ed era conoscibile solo a seguito di numerosi e complessi passaggi, in modo tale da obbligare comunque il consumatore a utilizzare il numero telefonico (particolarmente oneroso) o a rinunciare all’assistenza.

Per tali ragioni, il TAR ha respinto il ricorso e confermato la sanzione imposta dall’AGCM. Tuttavia, con separata pronuncia, il TAR ha accolto un secondo ricorso da parte di Flygo, avverso la decisione dell’AGCM di rigettare l’istanza di rateizzazione della sanzione. A tal riguardo, i giudici hanno stabilito che la presenza di utili in sé non esclude la concedibilità della rateizzazione, bensì che l’amministrazione, nell’operare la valutazione in ordine alla criticità delle condizioni economiche della società, debba effettuare una comparazione effettiva e realistica tra l’importo sanzionatorio e le risorse oggettivamente disponibili, avendo riguardo anche al rischio che l’impresa non riesca a restare sul mercato.

Leonardo Stiz
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Energia/ Gare per la distribuzione del gas e ambiti territoriali minimi – Secondo il Consiglio di Stato è legittima l’aggregazione di più ambiti territoriali minimi per lo svolgimento delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas.

L’aggregazione di più ambiti territoriali minimi (ATEM) per lo svolgimento delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas è lecita e non pregiudica la concorrenza tra gli operatori.

Ad affermarlo è il Consiglio di Stato (CdS) che, con la sentenza n. 427/2019, ha definitivamente respinto il ricorso proposto da G.E.I. – Gestione Energetica Impianti S.p.A. (G.E.I.), gestore uscente dell’ATEM “Cremona 2”, che aveva contestato l’aggregazione da parte della Provincia di Cremona dei due ATEM confinanti, “Cremona 2” e “Cremona 3”, nell’ambito della procedura aperta per l’affidamento della concessione del servizio di distribuzione del gas nei suddetti ATEM. Secondo G.E.I., tale aggregazione avrebbe violato la disposizione di cui all’art. 46-bis della legge n. 222/2007, la quale ha innovato la regolamentazione del settore della distribuzione del gas naturale, passando da un sistema di affidamento del servizio mediante gara disposta dai singoli Comuni ad uno incentrato sulle c.d. gare d’ambito, aventi una dimensione sovra-comunale, e la cui individuazione rientra nella competenza del Ministero dello Sviluppo Economico (Mise).

Secondo la ricostruzione della ricorrente, l’attribuzione di tale competenza esclusiva al Mise nell’individuazione degli ambiti territoriali impedirebbe agli enti locali di “…definirne di diversi, neppure mediante accorpamento…”. Tale ricostruzione non è stata tuttavia condivisa dal CdS, il quale ha precisato che, secondo la norma di legge invocata da G.E.I., è devoluta alla competenza ministeriale solamente l’individuazione degli ambiti territoriali “minimi”, mentre la successiva aggregazione tra detti ambiti da parte degli enti locali non solo è consentita ma anche incentivata dalla stessa legge, che impone al Mise l’individuazione di “…misure per l’incentivazione delle relative operazioni di aggregazione…”.

Il CdS ha altresì negato la sussistenza di un possibile pregiudizio alla concorrenza derivante dall’aggregazione di più ATEM ai fini delle procedure di gara, che, secondo G.E.I., avrebbe avuto l’effetto di penalizzare le società di minori dimensioni rispetto a quelle più grandi, in considerazione del fatto che un maggior numero di Comuni oggetto di gara avrebbe comportato un maggior valore di rimborso degli impianti dovuto dal gestore entrante a quello uscente. Sotto tale profilo, il CdS ha ritenuto tale maggiore onerosità configurabile solo in astratto, in quanto “…tale potenziale esposizione finanziaria trova comunque un contemperamento nella previsione normativa – introdotta proprio all’evidente fine di garantire l’accesso alla gara a tutti gli operatori – della possibilità, per il gestore entrante, di vedersi riconoscere in tariffa l’eventuale differenza tra il VIR [valore di rimborso al gestore uscente] e il RAB [valore del capitale investito netto riconosciuto ai fini tariffari] per tutta la durata della concessione, così ammortizzando la spesa…”. Inoltre, sempre con riferimento all’asserito pregiudizio concorrenziale lamentato da G.E.I., il CdS non solo ha negato la sussistenza di una lesione concreta ed effettiva in capo a G.E.I., ma ha altresì considerato le censure dedotte da quest’ultimo volte “…non […] tanto a perseguire una maggiore concorrenzialità del mercato, quanto piuttosto a conservare i vantaggi derivanti dalla posizione di gestore uscente nell’ambito Cremona 2…”.

Peraltro, con riferimento al presunto effetto distorsivo della concorrenza che G.E.I. aveva eccepito in considerazione della partecipazione indiretta del Comune di Cremona nel capitale dell’operatore concorrente LD Reti s.r.l. (già Linea Distribuzione s.r.l.), il CdS non solo ha negato rilievo a tali censure, non avendo G.E.I. chiarito come tale partecipazione indiretta avrebbe potuto incidere sulla legittimità dell’accorpamento degli ATEM oggetto di gara ma ha altresì evidenziato come “…dovrebbe invece presumersi che un ampliamento dell’ambito determini, semmai, una diluzione dell’effetto di tale riferita circostanza, per quanto la detta partecipazione non sia significativa in termini di possibile influenza sul mercato…”.
Infine, anche le contestazioni di G.E.I. relative ad un asserito difetto di istruttoria che avrebbe viziato gli atti di gara sono state respinte dal CdS, in considerazione della decisione della Provincia di Cremona di sospendere il termine per le richieste di partecipazione alla gara in oggetto fino all’avvenuta integrazione di dati e informazioni essenziali ritenuti mancanti e all’ottenimento dei pareri obbligatori dell’ARERA. Sul punto il CdS, richiamando l’orientamento giurisprudenziale secondo cui possono costituire oggetto di immediata impugnazione soltanto le clausole di bandi di gara immediatamente escludenti o che comunque determinano oneri incomprensibili, sproporzionati o abnormi a carico dei partecipanti, ha ritenuto il bando di gara impugnato da G.E.I., proprio perché sospeso, una sorta di atto preparatorio ad una gara futura, e come tale non immediatamente contestabile.

Secondo il CdS, un interesse ad impugnare il bando di gara in capo agli operatori partecipanti potrebbe eventualmente sorgere "...se e quando verranno adottati e, quindi definitivamente resi pubblici, gli atti costituenti la lex specialis di gara…”.

Martina Bischetti
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