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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato e obbligo di recupero – La Corte di Giustizia ha sanzionato la Grecia per non aver adempiuto ai propri obblighi di recupero di aiuti di Stato illegali con riguardo al settore della cantieristica navale

Ellinika Nafpigeia AE (ENAE o la Società) è una società, originariamente a controllo pubblico, proprietaria di un cantiere navale civile e militare e specializzata nella costruzione di navi. Nel 1985 ENAE era stata posta in liquidazione e, dopo essere stata rilevata da una banca appartenente allo Stato greco, era stata privatizzata nel 2001.

Nel 1998, la Grecia aveva concluso con l’ENAE un contratto per la costruzione di tre sottomarini e per l’ammodernamento di altrettanti sottomarini già appartenenti alla marina greca.

Tra il 1996 e il 2003, la Grecia ha adottato una serie di misure d’aiuto nei confronti della Società, nella forma di apporti di capitale, garanzie e prestiti, che sono state oggetto di esame da parte della Commissione europea (Commissione). Quest’ultima ha infine adottato la decisione 2009/610 (la Decisione), che dichiarava tali misure degli aiuti di Stato incompatibili con il mercato unico, ordinandone l’immediato recupero. A fronte di tale conclusione, la Grecia si era opposta, sostenendo che il recupero integrale di tali aiuti poteva comportare il fallimento dell’ENAE, incidendo in tal modo sulle attività militari della Repubblica ellenica e recando un pregiudizio agli interessi essenziali della sicurezza nazionale. Ad esito di successive discussioni, la Commissione e la Grecia avevano raggiunto un accordo secondo il quale la Decisione sarebbe stata considerata rispettata se la Grecia avesse dato seguito ad una serie di impegni tra cui: (i) l’interruzione delle attività civili dell’ENAE per 15 anni; (ii) la vendita dei beni inerenti alle attività civili dell’ENAE, il cui ricavato sarebbe stato versato alle autorità greche; (iii) la rinuncia alla garanzia di compensazione inizialmente fornita dalla banca pubblica ai nuovi proprietari privati (che prevedeva il risarcimento in caso di misure di recupero degli aiuti, garanzia a sua volta ritenuta illecita dalla Commissione).

In seguito, ritenendo che la Grecia non si fosse conformata ai menzionati impegni, la Commissione ha proposto un ricorso per infrazione di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG). Ad esito del giudizio, nel giugno 2012, la CdG ha emanato la sentenza che accertava l’inadempimento della Grecia (la Sentenza del 2012). Nel periodo successivo, la Repubblica ellenica ha emanato una serie di atti legislativi riguardanti il patrimonio di ENAE ed ha inviato alla Società un ordine di recupero per l’80% degli aiuti concessi. Successivamente, le autorità greche hanno intentato azioni esecutive sugli asset civili di ENAE e inviato un secondo ordine per la restituzione del restante 20% delle misure di aiuto. Tuttavia, nessuna di queste azioni ha avuto successo, rilevando la Grecia un atteggiamento ostruzionistico da parte della Società, che a sua volta ha intentato numerosi ricorsi di fronte ai tribunali greci contro i provvedimenti delle autorità pubbliche. Nel novembre 2014, considerando che la Decisione non era ancora stata adempiuta, la Commissione ha inviato una lettera alla Grecia concedendo un termine finale di due mesi per l’esecuzione, con scadenza nel gennaio 2015.

Nel 2017, alla luce del permanente inadempimento da parte della Repubblica ellenica, la Commissione ha deciso di proporre un ulteriore ricorso per far valere l’inadempimento degli obblighi sanciti dalla Decisione e accertati dalla Sentenza del 2012. Con la sentenza in commento, la CdG ha accertato che alla scadenza dell’ultimo termine del gennaio 2015 imposto dalla Commissione, la Grecia non aveva ancora adempiuto ai propri obblighi di recupero nei confronti di ENAE. La CdG ha ricordato che gli Stati membri hanno l’obbligo di adottare tutte le misure atte ad assicurare il recupero degli aiuti incompatibili. Nel caso di specie, la circostanza relativa al possibile fallimento dell’ENAE non pregiudicava l’obbligo di recupero, posto che in questi casi gli Stati sono tenuti a provocare la liquidazione della società e a far iscrivere il proprio credito nel passivo fallimentare, o ad adottare qualsivoglia altra azione simile che consenta la restituzione delle somme. La CdG ha osservato che la Commissione e la Grecia, a tal proposito, si erano impegnate ad applicare un metodo alternativo per il recupero, che avrebbe consentito alla Commissione di considerare adempiuti gli obblighi della Repubblica ellenica e a quest’ultima di proteggere gli interessi essenziali della sicurezza nazionale in relazione ai contratti di fornitura e ammodernamento dei sottomarini destinati alla marina militare. Inoltre, la CdG ha ritenuto fondata l’osservazione della Commissione relativa al fatto che la Grecia non ha mai invocato l’impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla Decisione, sebbene questa costituisse l’unica valida difesa che poteva essere avanzata.

Il semplice riferimento ai comportamenti ostruzionistici da parte di ENAE non sollevava dai propri obblighi lo Stato ellenico, il quale, osserva la CdG, avrebbe dovuto prontamente assoggettare la Società ad amministrazione straordinaria, misura che peraltro avrebbe permesso di tutelare nel contempo gli interessi strategici nazionali. Tuttavia, pur avendo la Grecia disposto l’amministrazione straordinaria, tale misura è stata adottata con ingiustificato ritardo solo nell’ottobre 2017, ben oltre l’ultimo termine concesso per l’adempimento.

Pertanto, la CdG ha ritenuto di sanzionare la Repubblica ellenica per il proprio inadempimento, accertato già in precedenza dalla Sentenza del 2012. Le sanzioni disposte consistono in una somma forfetaria di 10 milioni di euro da versare alla Commissione, più un’ulteriore somma di oltre 7 milioni di euro da versare per ogni periodo di sei mesi a decorrere dalla pronuncia della sentenza in oggetto e fino alla data di esecuzione dei propri obblighi di recupero.

Leonardo Stiz
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Diritto della concorrenza Italia / Bid-rigging e servizi di consulenza – Il TAR Lazio annulla parzialmente il provvedimento dell’AGCM con cui venivano sanzionate società dei gruppi Ernst & Young, Deloitte, KPMG e PWC nel caso relativo all’asserita intesa tra le “big four” in relazione alla consulenza nelle gare Consip

Con le distinte sentenze del 14 novembre scorso, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR) ha disposto in ordine ai ricorsi avverso il provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva sanzionato, tra gli altri, i ricorrenti Ernst & Young Financial Business Advisors S.p.A. (EYFBA), Deloitte & Consulting S.r.l. (Deloitte), KPMG Advisory S.p.A. (KPMGA), Pricewaterhousecoopers S.p.A. (PWC) e Pricewaterhousecoopers Advisory S.p.A (PWCA), Ernst & Young S.p.A. (EY), Deloitte & Touche S.p.A. (D&T), e KPMG S.p.A (KPMG). Dette società erano state sanzionate in ragione della loro partecipazione ad un’intesa atta a falsare il risultato della gara bandita dalla Consip S.p.A. (Consip) per l’affidamento dei servizi di supporto e assistenza tecnica per l’esercizio e lo sviluppo della funzione di sorveglianza e audit dei programmi cofinanziati dall’Unione europea (gara AdA).

In particolare, l’AGCM era pervenuta alla conclusione che fosse stata posta in essere un’intesa segreta volta alla ripartizione dei lotti disponibili. Tale meccanismo avrebbe previsto la formulazione di offerte “a scacchiera”, secondo cui gli operatori avrebbero formulato offerte in due range di sconto fortemente diversi: alcune con sconti rilevanti pari al del 30–32% della base d’asta, per i lotti di maggiore interesse; ed altre scontate del 10–15% sulla base d’asta ma del tutto inidonee ad aggiudicarsi i lotti. Ciò, senza mai sovrapporre le offerte più vantaggiose sui medesimi lotti, sostanzialmente eliminando il rischio del reciproco confronto concorrenziale. L’AGCM aveva indicato che i principali elementi “esogeni” da cui aveva dedotto l’esistenza dell’intesa erano rappresentati dai contatti e dalla corrispondenza rinvenuta, nonché dalle simulazioni pre-gara svolte dagli operatori che significativamente indicavano la “competenza” di ciascuno dei network. L’AGCM inoltre aveva evidenziato l’irrilevanza dell’incompleta esecuzione del piano collusivo, ostacolato dai risultati sorprendentemente favorevoli assicuratisi da una società outsider. Da ultimo, l’AGCM aveva qualificato l’intesa come grave, applicando le sanzioni per ciascuna impresa solidalmente con le parti facenti capo al medesimo network (KPMG e KPMGA, D&T e Deloitte, EY e EYFBA, PWC e PWCA) in ragione del riconoscimento di queste ultime come ciascuna facente parte di una single economic unit con le società aventi partecipato in concreto alla gara.

I ricorsi presentati possono essere suddivisi in due categorie: i ricorsi dalle società direttamente coinvolte nell’intesa sanzionata, da un lato, e quelli proposti dalle società appartenenti ai medesimi network, cui il procedimento era stato esteso in un secondo  momento. Il TAR ha deciso con sentenze sostanzialmente analoghe i ricorsi di ciascuna categoria, tra le quali sono in commento le sentenze n. 11004/2018 e 11003/2018 relative a EY ed EYFBA.

EY, con il proprio ricorso, lamentava la ricostruzione degli elementi probatori, negando il contenuto collusivo delle comunicazioni indicate dall’AGCM, nonché l’inadeguatezza delle ragioni addotte da questa nella qualificazione di tali comunicazioni. Inoltre la ricorrente sosteneva di avere elaborato la propria strategia autonomamente rispetto agli altri operatori ma anche rispetto ad EYFBA secondo logiche commerciali indipendenti. Da ultimo, la ricorrente contestava il calcolo della sanzione effettuato dall’AGCM negandone le conclusioni sulla gravità e la segretezza, fattori importanti di aumento della sanzione.

Il TAR non ha condiviso le obiezioni riguardanti l’impianto probatorio dell’AGCM, e, più significativamente, ha confermato che, nonostante la ricorrente fosse in grado, a posteriori, di elaborare giustificazioni non illogiche per la propria strategia commerciale, a convincere dell’esistenza di una logica spartitoria concordata in precedenza fosse dirimente la complessiva simmetria delle strategie adottate, tra i diversi operatori, sia da un punto di vista dell’omogeneità all’interno dei due range di sconto (tutte le offerte rientravano nei ristretti range 30–32% o 10–15%),  sia da un punto di vista della perfetta non sovrapposizione delle offerte più vantaggiose.

Peraltro, ove l’AGCM aveva attribuito all’intesa carattere di segretezza, applicando di conseguenza forti maggiorazioni alle sanzioni comminate, il TAR si è espresso in direzione opposta, richiamando la precedente sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio 2017, n. 927, e notando che tale caratteristica di segretezza non può essere dedotta dai semplici accorgimenti, connaturati alla condotta in analisi, quali la riservatezza delle riunioni tra i partecipanti e la minimizzazione delle evidenze scritte, in assenza di accorgimenti particolari e inusuali quali cifrari o appunti occultati, a dimostrare un effettivo intento di segretezza, che l’AGCM, nel caso di specie, non avrebbe dimostrato, di conseguenza annullando il provvedimento nella parte in cui quantifica le sanzioni ed ordinandone il ricalcolo.

Con riguardo al ricorso presentato da EYFBA, la ricorrente lamentava, segnatamente, l’erronea attribuzione ad essa della responsabilità in solido per la sanzione. In particolare, EYFBA segnalava la ripartizione di competenze tra le società stabilita dalle norme interne del network, che avrebbe determinato l’incompatibilità della partecipazione di EYFBA alle gare per i lotti cui avrebbe partecipato anche EY, riconducendo a tale circostanza non solo l’assenza di sovrapposizione ma anche i contatti con EY, che sarebbero stati atti ad individuare quale tra le due società avesse i requisiti più idonei alla partecipazione a ciascuna gara; sviluppando poi ciascuna società in maniera del tutto autonoma la propria strategia commerciale. L’AGCM avrebbe invece tuttavia giustificato l’applicazione della responsabilità solidale in ragione del comportamento commerciale delle società appartenenti ai medesimi network assimilabile a quello di una unica entità economica, condividendo risorse professionali e strutturali e adottando strategie condivise sul mercato.

Il TAR, rilevando l’assenza di un’attività di direzione e coordinamento tra le due società, ha escluso la possibilità di applicare la nozione di unica entità economica, né di individuare una posizione di controllo dell’una sull’altra; né, d’altro canto, vi era stata la possibilità di dimostrare che gli organi cui è demandato l’effettivo potere decisionale delle rispettive società abbiano concordato la strategia di gara. Di conseguenza, il TAR ha accolto questo ricorso ed annullato il provvedimento nella parte in cui coinvolge la ricorrente.

Una differenza sostanziale tra i ricorsi analoghi a quello in commento si riscontra per quanto concerne il ricorso presentato congiuntamente da PWC e PWCA, le quali, avendo partecipato alla gara tramite RTI, non hanno contestato l’imputazione della sanzione in solido ad entrambe; da ultimo, PWC e PWCA, non essendosi aggiudicate alcun lotto di gara, hanno ulteriormente contestato la particolare marginalità rispetto all’impresa testimoniata dalla mancata aggiudicazione di alcun lotto, che peraltro il TAR ha giudicato irrilevante ai fini sia della dimostrazione dell’asserita estraneità all’intesa, sia della quantificazione della sanzione, ricordando che la concertazione di prezzo integra una fattispecie “di pericolo”, sanzionando il danno concorrenziale anche se esclusivamente potenziale e non realizzato. Per quanto riguarda gli altri profili di tale ricorso, nonché gli altri ricorsi presentati in parallelo a quello in commento, il TAR ha giudicato con sentenze sostanzialmente del tutto analoghe.

Riccardo Fadiga
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Tutela del consumatore e PCS / Pratiche commerciali scorrette e diamanti da investimento – Il TAR Lazio conferma le sanzioni a Intermarket Diamond Business, Unicredit, Banco BPM e MPS per pratiche commerciali scorrette nella commercializzazione dei diamanti da investimento

Con le sentenze pubblicate il 14 novembre scorso, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR) ha respinto il ricorso di Intermarket Diamond Business S.p.A.  e Diamond Private Investment S.p.A. (insieme, le Società), attive nella commercializzazione e ricollocazione sul mercato dei diamanti da investimento, e di Unicredit S.p.A., Banco Bpm S.p.A. e Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A (insieme, le Banche), gli istituti bancari attraverso cui IDB vendeva e pubblicizzava i diamanti da investimento, avverso il provvedimento con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) le aveva sanzionate per essere incorse in alcune pratiche commerciali scorrette per un importo complessivo superiore ai 9 milioni di euro (il Provvedimento).

Come si ricorderà (si veda sul punto la Newsletter del 6 novembre 2017), l’AGCM aveva individuato due distinte pratiche: (i) la rappresentazione, in modo ingannevole ed omissivo, del prezzo di vendita dei diamanti (che veniva fissato in maniera autonoma dal professionista in modo tale da includere importi complessivamente superiore al reale valore della pietra ma presentati come quotazione di mercato), l’aspettativa di apprezzamento del valore futuro dei diamanti, la facile liquidabilità e rivendibilità del diamante e la qualifica di leader di mercato senza alcuna precisazione (la Pratica A); e (ii) la predisposizione di clausole contrattuali che descrivevano in maniera generica i termini di recesso, limitandone altresì le modalità di esercizio, e quelle che individuavano il foro eventualmente per incardinare eventuali controversie (la Pratica B).

Le Banche, che costituivano i principali canali di vendita dei diamanti, erano state sanzionate limitatamente alla Pratica A.

Con le sentenza in commento, il TAR ha rigettato tutti i motivi di ricorso delle Società. Tra gli altri, il TAR ha confermato che il valore di mercato dei diamanti venduti era di molto inferiore al prezzo proposto per l’acquisto dei medesimi, senza che fosse chiara al potenziale acquirente l’incidenza delle varie componenti di prezzo sul costo finale.  Inoltre, il TAR ha respinto altresì l’argomento secondo cui l’equilibrio di mercato sarebbe stato turbato dalla trasmissione Report, che aveva portato all’attenzione dei consumatori alcuni profili di criticità dell’offerta delle Società (e dal quale era stata avviato il procedimento istruttorio).

Sempre con riguardo alla Pratica A, il TAR ha confermato l’ingannevolezza delle (apparenti) quotazioni che venivano pubblicate sul quotidiano Il Sole 24 Ore. Tali pubblicazioni, infatti, avevano natura pubblicitaria, nonostante non fosse espressamente menzionato ne riconoscibile ad un esame da parte di un consumatore mediamente accorto.

Inoltre, il TAR ha ritenuto condivisibile e argomentata in maniera logica la motivazione del Provvedimento relativa alla falsa rappresentazione dell’andamento del mercato e dell’aspettativa dei diamanti. Infatti, l’andamento dei prezzi in costante crescita era (logicamente) dipendente dalla modalità di individuazione dei prezzi, che, come detto, venivano individuati in piena autonomia dalle Società, le quali non indicavano le oscillazioni di prezzo che potevano invece essere osservate dai diversi indici basati sulle rilevazioni di contrattazioni.

Con riguardo alla condotta tenuta dalle Banche, il TAR ha respinto le tesi volte a dimostrare la non riconducibilità della condotta contestata alle Società anche agli istituti bancari coinvolti.

In primis, il TAR ha confermato che l’AGCM non era incorsa in errore nel non avere acquisito, durante il procedimento istruttorio, il parere della Banca d’Italia, in quanto l’attività oggetto di istruttoria era “…meramente connessa all’attività bancaria…” e pertanto non rientrerebbe nell’ambito di regolamentazione della stessa.

Inoltre, il TAR ha riconosciuto, confermando la ricostruzione dell’AGCM, come le Banche svolgessero “…un ruolo attivo nella dinamica contrattuale complessiva in cui il consumatore era coinvolto…”. Infatti, ad esempio, in forza dell’accordo di collaborazione sottoscritto tra IDB e Unicredit, quest’ultima era tenuta a mettere a disposizione dei clienti, nei propri locali, il materiale divulgativo predisposto da IDB, “…provvedendo anche a raccogliere gli ordini di acquisto e ad inoltrarli, accettando, altresì i bonifici di pagamento…”.

La responsabilità delle Banche per le condotte contestate nel Provvedimento risulta, secondo il TAR, correlata al ritorno economico da queste conseguito a seguito dell’attività di promozione dei diamanti di investimento nonché “…al, dichiaratamente perseguito, effetto di fidelizzazione della clientela, che aveva la sensazione di avere a disposizione un più ampio servizio consulenziale in materia di investimenti…”.

Infine, con riguardo alla Pratica B, il TAR ha confermato che la disciplina applicabile al caso in commento fosse, come correttamente aveva fatto l’AGCM,  quella prevista per i contratti conclusi fuori dei locali commerciali, dato che i contratti venivano sottoscritti non nei locali delle società, bensì presso le Banche.

Anche con riguardo alla clausola relativa al foro competenza, il TAR non ha potuto che constatare come questa in realtà non riportasse la norma di legge applicabile e fosse pertanto “…ambigua ed imprecisa e come tale suscettibile di distorta interpretazione da parte del consumatore…”.

Infine, anche in merito alla quantificazione della sanzione, il TAR ha confermato la gravità della violazione posta in essere da IDB e dalle Banche, alla luce delle dimensioni delle società coinvolte e dall’ampia diffusione della pratica, dipendente sia dalle modalità utilizzate per la comunicazione, sia dalla distribuzione di materiale cartaceo presso le molteplici filiali bancarie.

Jacopo Pelucchi