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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE / Private enforcement e questioni giurisdizionali – La Corte di Giustizia si pronuncia sull’applicabilità di una clausola attributiva di giurisdizione in un’azione di risarcimento danni per violazione dell’art. 102 TFUE
La Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG), con la sentenza del 24 ottobre scorso, si è pronunciata in via pregiudiziale in merito all’applicabilità di una clausola attributiva di giurisdizione in un’azione di risarcimento danni per violazioni del diritto della concorrenza. La questione si inserisce nel contesto di un contenzioso davanti ai giudici francesi tra Apple e la società eBizcuss.com (eBizcuss).
In particolare, eBizcuss, rivenditore autorizzato dei prodotti Apple in Francia, citava Apple davanti al Tribunale commerciale di Parigi (il Tribunale) chiedendone la condanna al risarcimento del danno per concorrenza sleale e abuso di posizione dominante. Apple quindi eccepiva il difetto di giurisdizione del Tribunale in forza di una clausola di scelta del foro competente inserita nel contratto intercorrente tra la stessa società e eBizcuss. Come riportato nella sentenza, tale clausola prevedeva che il contratto “…e i rapporti che ne derivano inter partes saranno disciplinati ed interpretati conformemente alla legge della Repubblica d’Irlanda e le parti saranno soggette alla giurisdizione dei giudici della Repubblica d’Irlanda…” (la Clausola). Come è noto, l’art. 23 del Regolamento n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (ora trasposto, per quanto qui rileva, in maniera sostanzialmente uguale nell’art. 25 del Regolamento n. 1215/2012, che ha abrogato il regolamento in parola) stabilisce che “…[q]ualora le parti […] abbiano attribuito la competenza di un giudice o dei giudici di uno Stato membro a conoscere delle controversie, presenti o future, nate da un determinato rapporto giuridico, la competenza esclusiva spetta a questo giudice o ai giudici di questo Stato membro…”.
Alla luce di tale disposizione, il giudice di primo grado riteneva sussistere il difetto di giurisdizione a favore dei tribunali irlandesi. Ad opposte conclusioni giungeva, dopo la conferma in sede di appello, la Corte di Cassazione francese, la quale annullava la sentenza in base alla non corretta applicazione dell’art. 23 del Regolamento Brussels I in quanto “…aveva tenuto conto della [Clausola] sebbene la clausola non si riferisse alle controversie riguardanti la responsabilità derivante da violazione del diritto della concorrenza…”.
La questione veniva così rinviata alla Corte di Appello, che accoglieva l’impugnazione proposta da eBizcuss e rinviava la causa nuovamente al Tribunale. Apple impugnava la sentenza davanti alla Corte di Cassazione che decideva di sospendere il giudizio e di sottoporre alla CdG in via pregiudiziale la questione se l’art. 23 del Regolamento Brussels I “…debba essere interpretato nel senso dell’inapplicabilità ad un’azione di risarcimento del danno, intentata da un distributore nei confronti del proprio fornitore ex articolo 102 TFUE, di una clausola attributiva di competenza giurisdizionale pattuita inter partes in un contratto, che non faccia espresso riferimento alle controversie relative alla responsabilità insorta per violazione del diritto della concorrenza…”.
Innanzitutto, la CdG ricorda come la clausola attributiva di giurisdizione possa riguardare “…solo controversie, presenti e future, nate da un determinato rapporto giuridico…”, ossia solo quelle controversie che abbiano tratto origine dal rapporto giuridico in occasione del quale tale clausola sia stata conclusa. Tale disposizione è volta “…ad evitare che una parte sia colta di sorpresa dall’attribuzione, ad un foro determinato, dell’insieme delle controversie […] che trovino origine in rapporti diversi da quello in occasione del quale sia stata convenuta l’attribuzione di competenza giurisdizionale…”.
Alla luce di ciò, la CdG ha quindi evidenziato, facendo riferimento ad un’ipotesi di richiesta di risarcimento del danno per violazioni dell’art. 101 TFUE, come una clausola che astrattamente si riferisce a controversie che sorgono nei rapporti contrattuali, non può ricomprendere una controversia relativa alla pretesa responsabilità extracontrattuale in cui una controparte sarebbe per effetto del proprio comportamento conforme ad una violazione della concorrenza rappresentata da un’intesa illecita ex art. 101 TFEU. Ciò in quanto una controversia del genere non sarebbe prevedibile nel momento della pattuizione della clausola, essendo ignota alla parte, all’epoca, l’intesa illecita in cui è coinvolta la controparte. Per tali motivi, la CdG ha ricordato che la sua giurisprudenza tiene conto delle clausole di scelta del foro nel caso di azioni di risarcimento proposte per violazione dell’art 101 TFUE, “…subordinatamente alla condizione che tali clausole si riferiscono alle controversie relative alla responsabilità derivante da infrazioni al diritto della concorrenza…”.
La CdG è quindi passata ad esaminare se tale giurisprudenza potesse applicarsi anche nell’ambito di una controversia relativa alla pretesa responsabilità per fatto illecito in cui una parte sarebbe incorsa per violazione dell’art. 102 TFUE. Secondo la CdG, la risposta dovrebbe essere affermativa, e pertanto la clausola di scelta del foro non troverebbe applicazione, qualora il preteso comportamento anticoncorrenziale si presenta estraneo al rapporto contrattuale nell’ambito del quale sia stata pattuita la clausola attributiva di giurisdizione. Tuttavia, la CdG ricorda come, mentre il comportamento anticoncorrenziale ex art. 101 TFUE non è, in linea di principio, direttamente connesso al rapporto contrattuale, “…un abuso di posizione dominante può materializzarsi nei rapporti contrattuali tessuti da un’impresa in posizione dominante per effetto delle condizioni contrattuali…”. Di conseguenza, l’applicazione di una clausola attributiva di competenza giurisdizionale in un’azione di risarcimento del danno per violazioni dell’art. 102 TFUE “…non è esclusa per il solo motivo che la clausola stessa non faccia espresso riferimento alle controversie vertenti sulla responsabilità per violazione del diritto della concorrenza…”.
La CdG sembra pertanto basare le sue conclusioni circa la possibilità di applicare una clausola di scelta del foro ad una azione di private enforcement ex art. 102 TFEU sulla possibilità di prevedere in concreto se le parti, al momento del perfezionamento del contratto, abbiano inteso ricomprendere i contenziosi radicati sulla possibile violazione del diritto della concorrenza, piuttosto che in funzione di un’astratta distinzione in base della natura contrattuale o extra-contrattuale dell’azione che si intende far valere.
Jacopo Pelucchi
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In particolare, eBizcuss, rivenditore autorizzato dei prodotti Apple in Francia, citava Apple davanti al Tribunale commerciale di Parigi (il Tribunale) chiedendone la condanna al risarcimento del danno per concorrenza sleale e abuso di posizione dominante. Apple quindi eccepiva il difetto di giurisdizione del Tribunale in forza di una clausola di scelta del foro competente inserita nel contratto intercorrente tra la stessa società e eBizcuss. Come riportato nella sentenza, tale clausola prevedeva che il contratto “…e i rapporti che ne derivano inter partes saranno disciplinati ed interpretati conformemente alla legge della Repubblica d’Irlanda e le parti saranno soggette alla giurisdizione dei giudici della Repubblica d’Irlanda…” (la Clausola). Come è noto, l’art. 23 del Regolamento n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (ora trasposto, per quanto qui rileva, in maniera sostanzialmente uguale nell’art. 25 del Regolamento n. 1215/2012, che ha abrogato il regolamento in parola) stabilisce che “…[q]ualora le parti […] abbiano attribuito la competenza di un giudice o dei giudici di uno Stato membro a conoscere delle controversie, presenti o future, nate da un determinato rapporto giuridico, la competenza esclusiva spetta a questo giudice o ai giudici di questo Stato membro…”.
Alla luce di tale disposizione, il giudice di primo grado riteneva sussistere il difetto di giurisdizione a favore dei tribunali irlandesi. Ad opposte conclusioni giungeva, dopo la conferma in sede di appello, la Corte di Cassazione francese, la quale annullava la sentenza in base alla non corretta applicazione dell’art. 23 del Regolamento Brussels I in quanto “…aveva tenuto conto della [Clausola] sebbene la clausola non si riferisse alle controversie riguardanti la responsabilità derivante da violazione del diritto della concorrenza…”.
La questione veniva così rinviata alla Corte di Appello, che accoglieva l’impugnazione proposta da eBizcuss e rinviava la causa nuovamente al Tribunale. Apple impugnava la sentenza davanti alla Corte di Cassazione che decideva di sospendere il giudizio e di sottoporre alla CdG in via pregiudiziale la questione se l’art. 23 del Regolamento Brussels I “…debba essere interpretato nel senso dell’inapplicabilità ad un’azione di risarcimento del danno, intentata da un distributore nei confronti del proprio fornitore ex articolo 102 TFUE, di una clausola attributiva di competenza giurisdizionale pattuita inter partes in un contratto, che non faccia espresso riferimento alle controversie relative alla responsabilità insorta per violazione del diritto della concorrenza…”.
Innanzitutto, la CdG ricorda come la clausola attributiva di giurisdizione possa riguardare “…solo controversie, presenti e future, nate da un determinato rapporto giuridico…”, ossia solo quelle controversie che abbiano tratto origine dal rapporto giuridico in occasione del quale tale clausola sia stata conclusa. Tale disposizione è volta “…ad evitare che una parte sia colta di sorpresa dall’attribuzione, ad un foro determinato, dell’insieme delle controversie […] che trovino origine in rapporti diversi da quello in occasione del quale sia stata convenuta l’attribuzione di competenza giurisdizionale…”.
Alla luce di ciò, la CdG ha quindi evidenziato, facendo riferimento ad un’ipotesi di richiesta di risarcimento del danno per violazioni dell’art. 101 TFUE, come una clausola che astrattamente si riferisce a controversie che sorgono nei rapporti contrattuali, non può ricomprendere una controversia relativa alla pretesa responsabilità extracontrattuale in cui una controparte sarebbe per effetto del proprio comportamento conforme ad una violazione della concorrenza rappresentata da un’intesa illecita ex art. 101 TFEU. Ciò in quanto una controversia del genere non sarebbe prevedibile nel momento della pattuizione della clausola, essendo ignota alla parte, all’epoca, l’intesa illecita in cui è coinvolta la controparte. Per tali motivi, la CdG ha ricordato che la sua giurisprudenza tiene conto delle clausole di scelta del foro nel caso di azioni di risarcimento proposte per violazione dell’art 101 TFUE, “…subordinatamente alla condizione che tali clausole si riferiscono alle controversie relative alla responsabilità derivante da infrazioni al diritto della concorrenza…”.
La CdG è quindi passata ad esaminare se tale giurisprudenza potesse applicarsi anche nell’ambito di una controversia relativa alla pretesa responsabilità per fatto illecito in cui una parte sarebbe incorsa per violazione dell’art. 102 TFUE. Secondo la CdG, la risposta dovrebbe essere affermativa, e pertanto la clausola di scelta del foro non troverebbe applicazione, qualora il preteso comportamento anticoncorrenziale si presenta estraneo al rapporto contrattuale nell’ambito del quale sia stata pattuita la clausola attributiva di giurisdizione. Tuttavia, la CdG ricorda come, mentre il comportamento anticoncorrenziale ex art. 101 TFUE non è, in linea di principio, direttamente connesso al rapporto contrattuale, “…un abuso di posizione dominante può materializzarsi nei rapporti contrattuali tessuti da un’impresa in posizione dominante per effetto delle condizioni contrattuali…”. Di conseguenza, l’applicazione di una clausola attributiva di competenza giurisdizionale in un’azione di risarcimento del danno per violazioni dell’art. 102 TFUE “…non è esclusa per il solo motivo che la clausola stessa non faccia espresso riferimento alle controversie vertenti sulla responsabilità per violazione del diritto della concorrenza…”.
La CdG sembra pertanto basare le sue conclusioni circa la possibilità di applicare una clausola di scelta del foro ad una azione di private enforcement ex art. 102 TFEU sulla possibilità di prevedere in concreto se le parti, al momento del perfezionamento del contratto, abbiano inteso ricomprendere i contenziosi radicati sulla possibile violazione del diritto della concorrenza, piuttosto che in funzione di un’astratta distinzione in base della natura contrattuale o extra-contrattuale dell’azione che si intende far valere.
Jacopo Pelucchi
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Diritto della concorrenza Italia / Abuso di posizione dominante e settore della gestione dei diritti d’autore – L’AGCM accerta l’abuso di posizione dominante di SIAE nei mercati dei servizi di gestione dei diritti d’autore
Con il provvedimento dello scorso 25 settembre 2018, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha accertato l’abuso di posizione dominante della Società Italiana Autori ed Editori (SIAE) nei mercati dei servizi di gestione dei diritti d’autore.
SIAE è un organismo di gestione collettiva dei diritti d’autore e diritti connessi, la quale concede l’autorizzazione all’utilizzazione delle opere protette, riscuotendo i compensi per i diritti d’autore delle opere e ripartendo i proventi da ciò derivanti.
A livello europeo, la normativa di settore ed, in particolare, la Direttiva 2014/26/UE, c.d. Direttiva Barnier, ha ampliato sempre più lo spazio concorrenziale per la gestione collettiva delle opere (anche su base transnazionale) e l’identificazione dei soggetti deputati a tal fine, in qualche modo certificando l’equiparazione tra le sempre più numerose entità di gestione indipendenti e i tradizionali organismi di gestione collettiva.
SIAE è un organismo di gestione collettiva dei diritti d’autore e diritti connessi, la quale concede l’autorizzazione all’utilizzazione delle opere protette, riscuotendo i compensi per i diritti d’autore delle opere e ripartendo i proventi da ciò derivanti.
A livello europeo, la normativa di settore ed, in particolare, la Direttiva 2014/26/UE, c.d. Direttiva Barnier, ha ampliato sempre più lo spazio concorrenziale per la gestione collettiva delle opere (anche su base transnazionale) e l’identificazione dei soggetti deputati a tal fine, in qualche modo certificando l’equiparazione tra le sempre più numerose entità di gestione indipendenti e i tradizionali organismi di gestione collettiva.
Tali evoluzioni hanno avuto un impatto anche per il sistema italiano, che, originariamente, prevedeva una riserva legale esclusiva per l’intermediazione dei diritti d’autore in favore di SIAE che, nel tempo, si è andata riducendo soprattutto con riferimento ai diritti connessi al diritto d’autore.
Le condotte contestate nella decisione di avvio del procedimento del 5 aprile 2017 (già commentate nella nostra Newsletter) sono state considerate volte ad escludere i concorrenti dai mercati dei servizi di gestione dei diritti d’autore non inclusi nella riserva legale. Ciò con riferimento sia ai servizi offerti agli autori, sia alla gestione dei rapporti con gli utilizzatori e con le società estere di collecting. Alla luce delle evidenze probatorie raccolte dall’AGCM anche in occasione di accertamenti ispettivi effettuati presso la sede romana di SIAE, l’AGCM ha accertato che tali pratiche sono state poste in essere deliberatamente con l’obiettivo di arginare l’espansione di entità di gestione indipendenti, come ad esempio la più nota Soundreef (principale denunciante di SIAE nell’istruttoria in commento).
Il procedimento è stato piuttosto articolato, anche a seguito della partecipazione di numerosi operatori e soggetti terzi.
Per quanto concerne le principali argomentazioni difensive, SIAE ha preliminarmente contestato la mancanza di imparzialità dell’AGCM che, nel passato, aveva reso un parere ex art. 22 della l. 287/1990 sollevando alcune criticità in merito alla riserva legale attribuita a SIAE e le modalità di recepimento in Italia della Direttiva Barnier (anche questo commentato nella nostra Newsletter). Inoltre, SIAE ha altresì rivendicato la propria natura semi – pubblicistica (essendo un ente pubblico economico a base associativa, sottoposto alla vigilanza congiunta del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministero dell’Economia e delle Finanze) affermando di perseguire interessi generali di rilievo costituzionale, arrivando addirittura, in alcuni suoi atti, ad equipararsi ad un soggetto incaricato dello svolgimento di un servizio di interesse economico generale.
L’AGCM, nel respingere le tesi difensive di SIAE, negando qualsiasi imparzialità o pregiudizio della stessa né dando rilievo alle funzioni pubblicistiche di SIAE, ha acclarato l’assoluta dominanza di tale società sia nei mercati soggetti a monopolio legale, sia in quelli connessi (aperti, invece, al regime concorrenziale). L’AGCM ha quindi riconosciuto la natura abusiva dei comportamenti adottati da SIAE (almeno a partire dal 1° gennaio 2012), volti ad escludere l’entrata sul mercato dei concorrenti, e, seppur in presenza di un’infrazione qualificata come grave (e, peraltro, non ancora cessata), ha comminato una sanzione simbolica pari a € 1.000, in considerazione del contesto peculiare e dell’incertezza giuridica in cui l’illecito anticoncorrenziale è stato attuato.
Filippo Alberti
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Le condotte contestate nella decisione di avvio del procedimento del 5 aprile 2017 (già commentate nella nostra Newsletter) sono state considerate volte ad escludere i concorrenti dai mercati dei servizi di gestione dei diritti d’autore non inclusi nella riserva legale. Ciò con riferimento sia ai servizi offerti agli autori, sia alla gestione dei rapporti con gli utilizzatori e con le società estere di collecting. Alla luce delle evidenze probatorie raccolte dall’AGCM anche in occasione di accertamenti ispettivi effettuati presso la sede romana di SIAE, l’AGCM ha accertato che tali pratiche sono state poste in essere deliberatamente con l’obiettivo di arginare l’espansione di entità di gestione indipendenti, come ad esempio la più nota Soundreef (principale denunciante di SIAE nell’istruttoria in commento).
Il procedimento è stato piuttosto articolato, anche a seguito della partecipazione di numerosi operatori e soggetti terzi.
Per quanto concerne le principali argomentazioni difensive, SIAE ha preliminarmente contestato la mancanza di imparzialità dell’AGCM che, nel passato, aveva reso un parere ex art. 22 della l. 287/1990 sollevando alcune criticità in merito alla riserva legale attribuita a SIAE e le modalità di recepimento in Italia della Direttiva Barnier (anche questo commentato nella nostra Newsletter). Inoltre, SIAE ha altresì rivendicato la propria natura semi – pubblicistica (essendo un ente pubblico economico a base associativa, sottoposto alla vigilanza congiunta del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministero dell’Economia e delle Finanze) affermando di perseguire interessi generali di rilievo costituzionale, arrivando addirittura, in alcuni suoi atti, ad equipararsi ad un soggetto incaricato dello svolgimento di un servizio di interesse economico generale.
L’AGCM, nel respingere le tesi difensive di SIAE, negando qualsiasi imparzialità o pregiudizio della stessa né dando rilievo alle funzioni pubblicistiche di SIAE, ha acclarato l’assoluta dominanza di tale società sia nei mercati soggetti a monopolio legale, sia in quelli connessi (aperti, invece, al regime concorrenziale). L’AGCM ha quindi riconosciuto la natura abusiva dei comportamenti adottati da SIAE (almeno a partire dal 1° gennaio 2012), volti ad escludere l’entrata sul mercato dei concorrenti, e, seppur in presenza di un’infrazione qualificata come grave (e, peraltro, non ancora cessata), ha comminato una sanzione simbolica pari a € 1.000, in considerazione del contesto peculiare e dell’incertezza giuridica in cui l’illecito anticoncorrenziale è stato attuato.
Filippo Alberti
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Tutela del consumatore e PCS / Pratiche scorrette e settore del secondary ticketing – Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso di My Way Ticket contro il provvedimento con cui veniva sanzionata dall’AGCM per pratiche scorrette nel settore della vendita di biglietti online
Con il provvedimento n. 26537/2017 del 5 aprile 2017 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva sanzionato la società My Way Ticket s.a. (MWT), attiva nella vendita online di biglietti per eventi nel mercato secondario, per condotte ingannevoli ed omissive con riferimento ad alcune caratteristiche dei biglietti stessi.
In particolare, le era stata contestata la scarsa comprensibilità delle informazioni veicolate attraverso messaggi pubblicitari online in quanto inidonee a chiarire al consumatore il prezzo del biglietto che intendeva acquistare e il posto cui tale biglietto dava titolo per accedere all’evento (c.d. seat location). Per tali condotte, MWT veniva sanzionata per 20.000 euro. Successivamente, MWT ha impugnato il provvedimento di fronte al Tar Lazio (il Tar), contestando la violazione del principio di tutela dell’affidamento da parte dell’AGCM, l’intervenuta decadenza del termine per l’avvio del procedimento e la presenza di un vizio di eccesso di potere in relazione alla mancanza dei presupposti per irrogare la sanzione. Il Tar ha tuttavia rigettato il ricorso, confermando la decisione dell’AGCM.
In particolare, le era stata contestata la scarsa comprensibilità delle informazioni veicolate attraverso messaggi pubblicitari online in quanto inidonee a chiarire al consumatore il prezzo del biglietto che intendeva acquistare e il posto cui tale biglietto dava titolo per accedere all’evento (c.d. seat location). Per tali condotte, MWT veniva sanzionata per 20.000 euro. Successivamente, MWT ha impugnato il provvedimento di fronte al Tar Lazio (il Tar), contestando la violazione del principio di tutela dell’affidamento da parte dell’AGCM, l’intervenuta decadenza del termine per l’avvio del procedimento e la presenza di un vizio di eccesso di potere in relazione alla mancanza dei presupposti per irrogare la sanzione. Il Tar ha tuttavia rigettato il ricorso, confermando la decisione dell’AGCM.
Con riferimento al motivo di impugnazione inerente alla violazione del principio della tutela dell’affidamento, MWT ha sostenuto che le condotte in oggetto sarebbero state in realtà già note all’AGCM, in quanto oggetto di una precedente istruttoria conclusasi nel 2015 con una valutazione di conformità al Codice del Consumo delle pratiche esaminate. MWT avrebbe pertanto fatto legittimo affidamento su tale giudizio, prefigurandosi di conseguenza la legittimità anche delle pratiche in oggetto, del tutto analoghe. Il Tar non ha condiviso il motivo, rilevando come non vi sia che una minima sovrapposizione tra le condotte oggetto dei due procedimenti. Infatti, secondo il giudice di primo grado la precedente istruttoria del 2015 riguardava pratiche poste in essere con riferimento alla vendita di biglietti per un preciso evento (il Festival di San Remo), in occasione del quale era stata ipotizzata la presenza di informazioni fuorvianti sull’effettiva disponibilità dei biglietti e l’omessa indicazione delle componenti accessorie del prezzo. Nel caso di specie, al contrario, le condotte sanzionate riguardano la generale attività di vendita dei biglietti e i profili di illegittimità si riferiscono ad omissioni relative alla seat location e al valore del biglietto. In virtù di tali diverse caratteristiche delle condotte contestate nei due procedimenti, il Tar ha rilevato che non poteva formarsi alcun legittimo affidamento.
Il Tar ha respinto le lamentele di MWT anche con riguardo al motivo inerente alla carenza dei presupposti per ritenere scorrette le pratiche contestate. In linea con i rilievi dell’AGCM, il Tar ha sottolineato come le informazioni omesse fossero essenziali ai fini della formazione di un giudizio consapevole da parte del consumatore circa le caratteristiche dell’offerta. Infatti, la mancata indicazione del valore del biglietto, fin dalla prima schermata, ha impedito di operare un raffronto con analoghe offerte presenti su altri siti attivi nello stesso mercato. Inoltre, l’omissione dei dati relativi alla seat location è rilevante nella misura in cui ha ostacolato la percezione della reale convenienza dei biglietti, posto che il posizionamento, rispetto al palco, a cui questi danno titolo è una variabile fondamentale per valutare l’opportunità dell’acquisto.
Il Tar si è inoltre espresso sulla contestazione relativa alla gravità della violazione accertata dall’AGCM, rigettando anche su questo punto i motivi di impugnazione. I giudici hanno infatti confermato la correttezza della valutazione già operata, posto che l’AGCM ha tenuto conto della dimensione economica del professionista e della circostanza che le condotte sanzionate riguardavano elementi fondamentali dell’offerta promozionale, che era stata inoltre posta in essere attraverso l’uso del mezzo internet, idoneo a generare asimmetrie informative e ad elevare la potenzialità offensiva dell’offerta stessa. Infine, con riguardo alla doglianza circa la tardività della contestazione dell’illecito da parte dell’AGCM, la quale non avrebbe rispettato il termine di 90 giorni a decorrere dalla notizia dell’illecito di cui all’art. 14 della legge n. 689 del 1981, il Tar ha richiamato la costante giurisprudenza secondo la quale il termine non è tassativo e va contemperato con la complessità della valutazione richiesta per decidere se aprire il procedimento.
Per tali ragioni, il Tar ha dunque confermato il provvedimento di condanna dell’AGCM e la sanzione di 20.000 euro irrogata a MWT.
Leonardo Stiz
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Pratiche scorrette e mercato dei dispositivi mobili – L’AGCM sanziona Apple e Samsung per pratiche commerciali scorrette relative all’obsolescenza programmata dei dispositivi mobili
Con i provvedimenti PS11009 e PS11039 recentemente pubblicati e qui in commento, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) mostra il pugno di ferro e irroga elevate sanzioni per pratiche commerciali scorrette ai gruppi Samsung e Apple.
Di particolare rilievo risulta il provvedimento con cui l’AGCM ha inflitto al gruppo Apple due sanzioni, ciascuna di euro 5 mln e corrispondenti al massimo edittale previsto per singola violazione.
Più nello specifico, l’AGCM contesta ad Apple Inc., Apple Distribution International, Apple Italia s.r.l. e Apple Retail Italia s.r.l. (congiuntamente, Apple) di aver posto in essere due diversi illeciti. Una prima pratica, che si caratterizza sia in termini di aggressività, sia di ingannevolezza, consisterebbe nell’aver indotto insistentemente i consumatori in possesso dei modelli di iPhone 6/6plus/6s/6splus alla installazione del sistema operativo iOS 10 e successivi aggiornamenti, senza tuttavia fornire adeguate informazioni circa l’impatto di tale scelta sulle prestazioni degli smartphone. La seconda contestazione dell’AGCM riguarda la mancata ed insufficiente informazione fornita ai consumatori su alcune caratteristiche essenziali delle batterie, quali la loro vita media e deteriorabilità e la correlazione con le prestazioni degli iPhone, specificamente con riferimento alle batterie degli iPhone 6/6Plus/6s/6sPlus.
In relazione alla prima contestazione, l’AGCM ha evidenziato che i consumatori in possesso di iPhone 6/6Plus/6s/6sPlus che avevano deciso di non aggiornare il proprio dispositivo, nel periodo che va da settembre 2016 a gennaio 2018 hanno ricevuto da Apple una continua e insistente sollecitazione a procedere in tal senso, con circa 70 richieste di installazione degli aggiornamenti del firmware. Apple, inoltre, non avrebbe fornito adeguate informazioni sul fatto che con l’installazione della nuova versione iOS, dotata di maggiori funzioni, sarebbero state necessarie maggiori prestazioni energetiche della batteria, senza alcun avvertimento circa i rischi di possibili riduzioni delle prestazioni e quindi della fruibilità dello smartphone.
L’AGCM ha rinvenuto i profili di ingannevolezza relativi alla seconda condotta nella mancata comunicazione ai consumatori di informazioni: (i) sulla rilevanza centrale della batteria per le prestazioni degli iPhone; (ii) sulle caratteristiche delle batterie in termini di ciclo di vita e sulla loro capacità di fornire energia in tempi rapidi; (iii) sulla necessità di controllare cautelativamente lo stato della batteria in occasione del rilascio di nuovi aggiornamenti software; e, infine, (iv) sul momento in cui potrebbe rendersi necessario procedere alla sostituzione della batteria. Tutte informazioni che, secondo l’AGCM, dovevano essere rese disponibili ai consumatori in quanto sarebbero necessarie al corretto uso e a mantenere un adeguato livello di prestazioni dei dispositivi cellulari e, soprattutto, consentire un’appropriata durata di vita del prodotto coerente con le richieste e le preferenze dei consumatori.
Alla luce dell’autonomia delle singole violazioni riscontrate, della loro gravità e durata, l’AGCM ha, infine, ritenuto di non applicare alcuno “sconto” e cumulare le sanzioni previste, giungendo ad applicare il massimo edittale per ciascuna.
Stessa sorte è toccata a Samsung Electronics Co Ltd e Samsung Electronics Italia S.p.A. (congiuntamente, Samsung). A Samsung l’AGCM contesta l’adozione di un’unica pratica commerciale scorretta in relazione al rilascio degli aggiornamenti firmware per il dispositivo Note 4, basati sulla versione Marshmallow di Android, il sistema operativo installato sui dispositivi Samsung.
La pratica consisterebbe nella proposta, insistente, ai consumatori in possesso di Note 4, di aggiornamenti del firmware le cui caratteristiche e impatto sulle prestazioni dello smartphone sono state descritte in maniera omissiva ed ingannevole. A fronte della riduzione delle funzionalità di moltissimi apparecchi, Samsung ha prestato assistenza solo per i prodotti coperti dalla garanzia legale, mentre per i prodotti fuori garanzia veniva richiesto un elevato costo di riparazione (salvo limitate eccezioni), senza offrire alcun mezzo di ripristino dell’originaria funzionalità dell’apparecchio (quali il downgrading), anche allo scopo di indurre i consumatori a sostituire il proprio Note 4 con un nuovo cellulare.
Mario Cistaro