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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza Europa / Concentrazioni e digital economy – La Commissione europea autorizza l’acquisizione di Shazam da parte di Apple

Con un comunicato stampa pubblicato il 6 settembre scorso, la Commissione europea (la Commissione) ha autorizzato, ai sensi del Regolamento n. 139/2004 sul controllo delle Concentrazioni (il Regolamento), l’acquisizione di Shazam da parte di Apple (la Concentrazione), dichiarandola compatibile con il mercato comune.

Shazam è un’azienda inglese che ha sviluppato e commercializzato l’omonima famosa app, che permette di riconoscere le canzoni e altri contenuti analizzandoli tramite il microfono del proprio smartphone. La società genera ricavi principalmente tramite la pubblicità online e le commissioni ottenute reindirizzando gli utenti a servizi di streaming o download di musica, quali Spotify, Deezer e Apple Music. Come noto, Apple, oltre a produrre sistemi operativi, computer e dispositivi multimediali, offre anche il servizio di streaming di musica e video mediante la app “Apple Music” (la maggiore app in Europa dopo Spotify in tale settore).

La Commissione ha comunicato di aver autorizzato la Concentrazione al termine di una approfondita istruttoria (c.d. fase II) iniziata lo scorso aprile.  Inizialmente la Concentrazione era stata notificata in Austria, in quanto non superava le soglie di fatturato previste nel Regolamento. L’Austria, seguita da altri paesi europei tra cui l’Italia (oltre che Francia, Islanda, Norvegia, Spagna e Svezia), ha richiesto che fosse la Commissione ad occuparsi dell’esame della Concentrazione mediante un rinvio della medesima, come può accadere in quei casi in cui, nonostante l’assenza di una dimensione comunitaria, si ritiene che l’operazione possa incidere sulla concorrenza oltre i confini di un solo Stato membro.

Come ricordato dalla Commissione nel press release in commento, Apple e Shazam offrono servizi sostanzialmente complementari e non sono direttamente concorrenti. Tuttavia, la Commissione aveva deciso di avviare l’istruttoria al fine di valutare (i) se Apple avrebbe potuto ottenere l’accesso a dati commercialmente sensibili relativi ai clienti dei propri concorrenti nel mercato dei servizi di musica in streaming in Europa e se tali dati avrebbero permesso ad Apple di rivolgersi direttamente ai clienti dei proprio concorrenti; e (ii) se, data la forte posizione di mercato di Shazam nel mercato delle app per il riconoscimento della musica, a valle della Concentrazione i concorrenti di Apple Music avrebbero potuto essere danneggiati qualora l’impresa post merger decidesse di fermare il reindirizzamento alle loro app tramite Shazam.

Al termine della Fase II, che ha visto l’adozione da parte della Commissione di numerosi mezzi istruttori e ha coinvolto i maggiori player del settore della musica digitale, la Commissione ha ritenuto che, a seguito della Concentrazione, Apple non sarebbe stata comunque in grado di escludere i concorrenti di servizi di streaming musicale accedendo a informazioni commercialmente sensibili dei loro clienti.

Secondo la Commissione, l’accesso ai dati di Shazam non aumenterebbe in misura significativa la capacità di Apple di rivolgersi direttamente ai fruitori di servizi di musica in streaming. Inoltre, ogni condotta volta a modificare le preferenze dei clienti avrebbe, secondo la Commissione, un impatto del tutto trascurabile. Di conseguenza, i fornitori concorrenti di servizi di musica in streaming non verrebbero esclusi dal mercato.

Inoltre, la Commissione ha escluso che l’entità post-merger avrebbe la capacità di escludere i propri concorrenti limitando l’accesso alla app Shazam, in quanto è stato rilevato che l’app ha un’importanza limitata quale punto di entrata per i servizi di streaming di musica dei concorrenti di Apple Music.

Infine, la Commissione ha rilevato come l’integrazione dei dati sugli utenti a disposizione di Shazam e Apple non attribuirebbe un vantaggio esclusivo all’impresa post merger, in quanto i dati in possesso di Shazam non sono unici e i concorrenti di Apple avrebbero comunque l'opportunità di accedere e utilizzare set di dati simili.

Per tali motivi, la Commissione ha ritenuto che l’operazione non avrebbe creato problemi di natura concorrenziale all’interno dello Spazio economico europeo e ha pertanto autorizzato la Concentrazione incondizionatamente.

Jacopo Pelucchi
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e mercato dell’intermediazione di servizi di autonoleggio a breve termine – l’AGCM accetta gli impegni proposti da Rentalcars nell’ambito di un procedimento per l’accertamento di pratiche scorrette in violazione del Codice del Consumo

In data 26 luglio 2018, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva aperto un procedimento contro TravelJigsaw Limited, operante con il marchio Rentalcars (di seguito Rentalcars o il Professionista), per presunte pratiche commerciali scorrette. Rentalcars, con riferimento al mercato italiano, è il più importante intermediario broker di servizi di autonoleggio a breve termine resi dalle principali società di noleggio.

Oggetto del procedimento erano tre condotte poste in essere da Rentalcars sul proprio sito web. La prima consiste nelle modalità con cui il Professionista promuoveva, durante l’iter di prenotazione online, la possibilità di acquistare una specifica copertura assicurativa denominata “Protezione Completa”, tali da non rendere evidenti la natura del prodotto e l’identità del soggetto che offriva l’assicurazione. In particolare, alcuni consumatori avevano lamentato l’incertezza relativa al fatto che la polizza, offerta da Rentalcars, veniva proposta da un soggetto comparatore, mentre il servizio di noleggio viene concretamente svolto da un soggetto terzo, il quale, a sua volta, offre le proprie polizze assicurative. Secondo l’AGCM, il rapporto tra tali servizi assicurativi e la diversa natura di questi non venivano resi sufficientemente chiari dal Professionista, generando così il rischio di trarre in inganno i consumatori, in possibile violazione degli artt. 21 e 22 del Codice del Consumo.

La seconda condotta consisteva nella scarsa chiarezza offerta dal sito di Rentalcars relativamente all’identità della compagnia che in concreto sarebbe andata ad offrire il servizio di noleggio. In taluni casi infatti, il Professionista non riportava tale informazione nell’iter di acquisto, sicché il consumatore non poteva conoscere l’identità della controparte contrattuale sia con riferimento al noleggio, sia per quanto riguarda le eventuali coperture assicurative aggiuntive. L’AGCM ha evidenziato come ciò fosse suscettibile di integrare una violazione dell’art. 49, comma 1, lettere b) e c) del Codice del Consumo.

La terza condotta consisteva nella comparsa, in fase di prenotazione, di messaggi e avvisi riguardanti una presunta crescente scarsità di veicoli, sia con riferimento alla stazione di noleggio prescelta, sia allo specifico modello di vettura. La mancanza di spiegazioni o riferimenti oggettivi in accompagnamento a tali claim è stata ritenuta suscettibile di integrare una violazione dell’art. 23, lettera g) del Codice del Consumo.

Nel corso del procedimento, Rentalcars ha presentato una proposta di impegni. Tali impegni prevedono:

(i) con riferimento alla prima pratica, le misure idonee a rendere i consumatori maggiormente edotti dell’identità della controparte contrattuale nell’acquisto del prodotto assicurativo in oggetto. In particolare, Rentalcars si impegna a modificare la modalità di presentazione delle informazioni ad oggi già presenti all’interno del sito web, ma distribuite su più documenti e in più passaggi dell’iter di prenotazione, attraverso l’accorpamento di tali informazioni e la modifica del layout della prima immagine di presentazione del prodotto. In tal modo, saranno rese chiare e di immediata consultazione le informazioni relative all’identità della controparte contrattuale e alla natura del prodotto stesso. Inoltre, il Professionista si impegna a chiarire il rapporto tra tale polizza e quelle offerte dalle compagnie di noleggio precisando che il prodotto offerto da Rentalcars non subentra nel rapporto che si instaura tra il consumatore e il noleggiatore, ma si propone di rimborsare al cliente l’eventuale importo richiestogli dal noleggiatore nell’ambito della franchigia, in caso di danni;

(ii) con riferimento alla seconda pratica, l’utilizzo da parte di Rentalcars di ogni informazione relativa ai noleggiatori che sia in suo possesso, compatibilmente con gli obblighi contrattuali nei confronti di questi ultimi, al fine di fornire al consumatore chiarezza sull’identità del soggetto che fornisce il noleggio. In particolare, all’interno dei “Termini e Condizioni” contrattuali, visibili in fase di prenotazione, verrà aggiunto un nuovo titolo relativo ai dettagli sulla compagnia di noleggio;

(iii) con riferimento alla terza pratica, l’assicurazione che i messaggi relativi alla disponibilità dei veicoli e l’elevata richiesta degli stessi siano supportati da dati oggettivi basati sulle prenotazioni effettuate sul sito del professionista. A tal riguardo, i claim verranno modificati con l’aggiunta di tali dati, prevalentemente numerici, e di indicazioni puntuali e precise a supporto (ad es., il numero di vetture appartenenti a una specifica tipologia/modello che sono state prenotate in una certa data nella località oggetto di ricerca).

Alla luce dei suddetti impegni, l’AGCM ha valutato che questi siano idonei a sanare i possibili profili di illegittimità delle pratiche contestate, poiché permettono al consumatore di conoscere la controparte contrattuale del servizio assicurativo e la natura, nonché il perimetro, di quest’ultimo, di conoscere l’identità del noleggiatore, nonché di comprendere il significato dei claim relativi alla disponibilità e alla domanda di una data vettura in una specifica località. Per tali motivi, l’AGCM ha accettato e reso obbligatori gli impegni proposti da Rentalcars e ha chiuso il procedimento senza l’accertamento di un’infrazione.

Leonardo Stiz
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Legal News / Regolazione e settore energetico – il TAR Lombardia respinge il ricorso di Axpo anche in relazione al motivo in materia di aiuti di Stato

Con la sentenza n. 2042, lo scorso 3 settembre il TAR Lombardia ha respinto il ricorso proposto da Axpo Trading AG (Axpo) avverso il provvedimento sanzionatorio con cui l’ARERA aveva irrogato una sanzione pari a 12.400 euro per il mancato acquisto di circa 13mila Certificati Verdi (CV) per gli anni di importazione 2012 e 2013.

Per meglio comprendere i fatti di causa è necessario ripercorrere seppur brevemente la vicenda e la normativa posta alla base dell’obbligo di acquisto di CV. Nel novembre del 2015 l’allora AEEGSI (ora ARERA) aveva avviato tre distinti procedimenti avverso l’operatore svizzero Axpo, Ilva e Taranto Energia (ossia la società che gestisce gli impianti energetici al servizio dello stabilimento dell’Ilva stessa) per l’asserito mancato acquisto nel 2014 di CV relativi all’energia importata nel 2013.

Come noto, allo scopo di incentivare la produzione nazionale di energia da fonte rinnovabile (c.d. energia verde), sin dal 2001 era stato imposto ai produttori e importatori di energia elettrica di immettere nel sistema nazionale una determinata quota di energia verde, prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili (art. 11 comma 1 del D. Lgs. 79/99), mediante acquisto diretto di essa. In tal modo veniva conformata la libertà di iniziativa economica degli importatori e produttori: una determinata quota (c.d. d’obbligo) dell’energia distribuita ovvero prodotta in Italia doveva essere rappresentata da energia verde. A tale adempimento poteva procedersi in differenti modi: mediante l’immissione diretta nel sistema elettrico nazionale della quota d’obbligo ovvero tramite l’acquisto (i) della quota equivalente o di una parte di essa da altri produttori; (ii) o dei relativi diritti, i.e. dei CV rilasciati dal Gestore dei Servizi Energetici S.p.A. (GSE) ai soggetti che producono nel territorio nazionale energia rinnovabile, in proporzione al quantum prodotto e nella misura indicata nel quadro legislativo di riferimento. Tale obbligo originariamente non era assoluto ma poteva subire deroghe, la c.d. esenzione mediante l’esibizione delle c.d. ‘garanzie di origine’. In altre parole, l’importatore di energia poteva chiedere al GSE l’esenzione dall’obbligo di acquisto dimostrando di avere importato dall’estero una corrispondente quota di energia verde, siccome certificata dalla garanzia di origine rilasciata dallo Stato di produzione.

Nel caso di specie, dagli accertamenti del GSE e dal procedimento sanzionatorio avviato dall’ARERA – in relazione all’energia importata nel 2013 e 2014 – si rilevava in capo ad Axpo l’obbligo di acquisto di circa 13 mila CV. Axpo inizialmente provava a richiedere l’esenzione, che però non gli veniva accolta. Pertanto, la società decideva di proporre il ricorso in questione, prospettando diverse censure tra cui degna di nota risulta essere quella con cui la ricorrente ha provato a sostenere la sussistenza di un contrasto con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato, per quanto concerne il sistema di compravendita di CV.

Più precisamente, ad avviso di Axpo tale meccanismo integrerebbe una ipotesi di aiuto di Stato, sussistendone tutti gli elementi necessari: l’utilizzo di risorse statali, potendo il GSE con il gettito della componente A3 (versata dai consumatori e destinata a promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili e assimilate mediante un sistema di incentivi che garantiscono una remunerazione certa per l'energia prodotta e in particolare – con riguardo al caso di specie - volta alla copertura dei costi dei CV) acquistare CV a prezzo regolamentato; la sua idoneità ad incidere sul commercio transfrontaliero di energia; la sussistenza di un vantaggio selettivo che ai produttori nazionali di energia verde deriverebbe dall’attribuzione di CV (che possono essere venuti sul mercato o al GSE) comportando in thesi la distorsione delle normali dinamiche competitive, favorendo i produttori nazionali.

Axpo inoltre aveva sollevato una correlata questione relativa alla competenza, in quanto non sarebbe compito dell’Autorità – ovvero del giudice nazionale – valutare la compatibilità dell’aiuto di Stato con il mercato interno, bensì spetterebbe alla Commissione UE.

Pertanto, secondo la ricorrente, l’argomentazione con la quale l’Autorità avrebbe giustificato l’aiuto di Stato in ragione di una esigenza interpretativa attinente alla tutela dell’ambiente sarebbe dunque viziata da incompetenza, sconfinando nell’ambito di prerogative della Commissione.

Sul punto il giudice rigetta la tesi prospettata da Axpo, chiarendo che posto che il GSE utilizza fondi pubblici (la c.d. componente A3) nelle operazioni di compravendita dei CV sul mercato, esso effettua un intervento con “valenza generale, e non selettiva, in quanto volto a garantire l’equilibrio e la stabilizzazione del mercato a beneficio di tutti, indistintamente, i soggetti che su quel mercato siano chiamati ad operare, anche in ossequio ad un obbligo imposto dalla legge, e in conformità delle previsioni sovranazionali (D.Lgs. 79/99 e Direttiva 2009/28/CE).

Risulta evidente come, secondo il TAR, vengano a mancare due elementi fondamentali per la qualifica dell’aiuto di Stato, ossia quelli del vantaggio e della selettività. Considerata la complessità della questione, non resta che attendere se l’operatore svizzero deciderà di impugnare dinanzi al Consiglio di Stato la decisione in commento.

Gloria Panaccione
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