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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Diritto della concorrenza e ispezioni – La Commissione può utilizzare informazioni acquisite durante una ispezione come base per accertare una diversa condotta anticoncorrenziale, a condizione che tali informazioni siano state acquisite legittimamente

Il 20 giugno scorso il Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) ha pubblicato due importanti sentenze (causa T-325/16 e causa T-621/16) in materia di accertamenti ispettivi che la Commissione europea (Commissione) può compiere presso le sedi delle imprese al fine di raccogliere documenti ed evidenze di possibili infrazioni del diritto della concorrenza.

Questi i fatti all’origine delle controversie in commento: tra il 2011 e il o 2012 l’autorità antitrust della Repubblica Ceca avviava un procedimento nei confronti dell’impresa ferroviaria nazionale ceca České dráhy (České), sospettata di abusare della propria posizione dominante offrendo prestazioni di trasporto di passeggeri a prezzi predatori sulla tratta Praga-Ostrava; successivamente, due concorrenti di České agivano contro quest’ultima dinanzi ai giudici cechi per chiedere il risarcimento del danno causato da tale asserito comportamento abusivo. Tali domande venivano entrambe respinte in primo grado e i due concorrenti proponevano appello. In pendenza di tali procedimenti, la Commissione procedeva ad ispezionare České al fine di verificare la sua eventuale partecipazione ad un’infrazione dell’articolo 102 TFUE, comprendente “in particolare” la pratica di prezzi sottocosto su certe tratte ferroviarie, “in particolare (ma non esclusivamente) sulla tratta Praga-Ostrava” (di seguito, la Prima Ispezione). Successivamente, e sulla base delle informazioni raccolte durante tale Prima Ispezione, la Commissione deliberava di effettuare una seconda ispezione presso le sedi di České (di seguito, la Seconda Ispezione), questa volta diretta ad accertare l’esistenza di possibili accordi o pratiche concordate anticoncorrenziali tra questa e altri vettori ferroviari in violazione dell’articolo 101 TFUE, volte a limitare la vendita di materiale rotabile ferroviario ai concorrenti.

České ha quindi impugnato entrambe le decisioni con le quali la Commissione ha deliberato i due accertamenti ispettivi relativi, rispettivamente, ad un possibile abuso di posizione dominante in violazione dell’articolo 102 e ad un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 TFUE.

Con riferimento alla decisione relativa alla Prima Ispezione disposta dalla Commissione, il Tribunale ha parzialmente accolto il ricorso di České (causa T-325/16), annullando in parte tale decisione in quanto la Commissione avrebbe dovuto limitare l’oggetto dell’ispezione unicamente alla presunta pratica di prezzi predatori sulla tratta Praga-Ostrava, rispetto alla quale la Commissione ha dimostrato di essere in possesso di indizi sufficientemente seri da legittimare il sospetto di tale infrazione. Secondo il Tribunale, la Commissione avrebbe invece formulato l’ordine di accertamento in maniera eccessivamente ampia e vaga, facendo riferimento ad un’infrazione comprendente “in particolare” la pratica di prezzi sotto-costo, e non limitata alla suddetta tratta ferroviaria. Simile formulazione, a giudizio del Tribunale, avrebbe lasciato illegittimamente intendere la possibilità per l’autorità antitrust di includere nell’accertamento in questione qualsiasi altra forma di infrazione dell’articolo 102 TFUE e in relazione a qualsiasi tratta, senza che la Commissione disponesse di indizi sufficientemente seri per legittimare anche solo il sospetto della sussistenza di simili pratiche anticoncorrenziali.

Il Tribunale ha invece respinto in toto il ricorso proposto da České avverso la decisione della Commissione di disporre la Seconda Ispezione nei confronti di tale società, questa volta per accertare la sussistenza di un’infrazione ai sensi dell’articolo 101 TFUE (causa T-621/16). Sul punto, il Tribunale ha in primo luogo riconosciuto la possibilità per la Commissione di servirsi di documenti e informazioni, acquisiti nel corso di un’ispezione, dai quali emergano indizi di una diversa pratica anticoncorrenziale e di condurre un ulteriore accertamento su tale base. Inoltre, pur riconoscendo in via di principio l’illegittimità della decisione della Commissione di disporre un successivo accertamento nei confronti di una società sulla base di documenti prelevati in occasione di una prima ispezione dichiarata illegittima dal giudice, il Tribunale ha tuttavia precisato che nel caso di specie la decisione della Commissione relativa alla Prima Ispezione era stata annullata solo in parte dai giudici europei, lasciando quindi impregiudicata la possibilità della Commissione di servirsi di documenti legittimamente acquisiti durante la Prima Ispezione, cosa che quest’ultima avrebbe fatto nel caso di specie. Infatti, secondo il Tribunale, la Commissione avrebbe fondato la propria decisione di effettuare la Seconda Ispezione sulla base di documenti correttamente acquisiti durante la Prima Ispezione (in quanto relativi a pratiche predatorie sulla tratta Praga-Ostrava) e, pertanto, legittimamente utilizzabili dalla Commissione come base per la seconda.

Le sentenze in commento, se da un lato pongono dei limiti ai poteri ispettivi della Commissione, che deve indicare in maniera puntuale, l’oggetto dell’infrazione che intende accertare ed essere in grado di dimostrare la sussistenza di indizi rilevanti in tal senso, dall’altro rappresentano un importante monito per le imprese in merito alla rilevanza che i documenti legittimamente acquisiti dall’autorità antitrust presso le proprie sedi possono assumere, potendo gli stessi essere impiegati dall’autorità anche successivamente come evidenze di ulteriori illeciti anticoncorrenziali diversi da quelli contestati in origine.

Martina Bischetti
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Accordi restrittivi e settore del gas naturale liquefatto – La Commissione europea ha aperto un procedimento per verificare l’esistenza di presunte restrizioni anticoncorrenziali nei contratti di fornitura di gas naturale liquefatto tra Qatar Petroleum e gli importatori europei

La Commissione europea (la Commissione) ha annunciato l’apertura di un procedimento istruttorio volto a verificare se alcune clausole contenute nei contratti di fornitura del gas naturale liquefatto (GNL) tra l’esportatore Qatar Petroleum e gli importatori europei integrano una violazione del diritto antitrust comunitario.

Qatar Petroleum (QP) è un’azienda petrolifera statale del Qatar, che rappresenta, anche attraverso società controllate, il maggior fornitore di GNL in Europa, con circa il 40% dell’import complessivo dell’UE, percentuale che si innalza significativamente per alcuni Stati membri. I contratti di fornitura di QP con gli importatori europei seguono due possibili schemi:

-     il primo, più rilevante e prevalente nell’Europa meridionale, consiste in contratti a lungo termine, con durata di 20 o 25 anni, che hanno ad oggetto una quantità prefissata di GNL che gli importatori sono obbligati a comprare anche se non necessitano di un tale ammontare di prodotto;

-     il secondo, relativo all’Europa nord-occidentale, consiste in contratti che lasciano a QP la discrezionalità di decidere quanto GNL fornire. La spedizione di tale prodotto avviene con navi cargo, dalle quali, attraverso i porti europei e mediante il passaggio per un rigassificatore, il gas viene immesso nella rete.

I contratti oggetto di esame conterrebbero delle clausole di restrizione territoriale suscettibili di impedire la libera circolazione del GNL nel mercato unico europeo. In particolare, alcune clausole contrattuali limiterebbero la libertà degli importatori di rivendere il GNL in destinazioni portuali alternative, all’interno dell’area economica europea, rispetto a quelle indicate nei contratti. Alcune clausole, infatti, vietano la deviazione delle navi verso destinazioni diverse da quelle previste o, in alternativa, restringono le aree geografiche verso le quali sono permesse deviazioni o i volumi che si possono deviare, impedendo inoltre la rivendita del gas ad altri acquirenti. Sulla base di tali restrizioni, un dato importatore di uno Stato membro non potrebbe ad esempio, in casi di necessità o di emergenza, spedire una determinata quantità di GNL importato da QP verso altri territori, per supportare potenziali carenze energetiche, a discapito così dei benefici del mercato unico. Tali clausole in definitiva, secondo le valutazioni preliminari della Commissione, sono suscettibili di segmentare il mercato europeo e di limitare la libera circolazione del gas venduta da QP.

Con riguardo alla natura anticoncorrenziale delle clausole contrattuali in oggetto, la Commissione ha lasciato aperta la valutazione relativa al fatto che le condotte possano integrare una restrizione di natura orizzontale ex articolo 101 TFUE e/o un abuso di posizione dominante ex articolo 102.

L’apertura del procedimento nei confronti di QP si inserisce nel contesto dei recenti sforzi della Commissione diretti a sostenere lo sviluppo di un mercato europeo dell’energia pienamente integrato, nei confronti del quale le restrizioni di natura territoriale si sono già dimostrate problematiche da un punto di vista concorrenziale, e meritevoli dunque di intervento. Di recente infatti, la Commissione europea ha chiuso con impegni il procedimento contro Gazprom (commentato in questa Newsletter), riguardante anch’esso restrizioni territoriali nell’esportazione di gas in Europa.

Leonardo Stiz
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Tutela del Consumatore e settore del trasporto marittimo - L’AGCM sanziona Direct Ferries per pratiche commerciali scorrette nella vendita di biglietti dei traghetti operanti le principali rotte marittime italiane ed europee

Con il provvedimento n. 27193 dello scorso 29 maggio (e pubblicato sul Bollettino n. 23 del 18 giugno 2018), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha irrogato sanzioni complessivamente per € 200.000 nei confronti di Direct Ferries Limited (DF) per aver posto in essere di pratiche commerciali scorrette nella vendita di biglietti dei traghetti operanti sulle principali rotte marittime italiane ed europee.

DF è un’agenzia commerciale che, attraverso il proprio sito internet, svolge (oltre alla vendita dei biglietti dei traghetti, per una commissione, di solito pari al 10%, in aggiunta al costo dei biglietti stessi) un’attività di comparazione  di servizi di trasporto marittimo. I consumatori selezionano la rotta desiderata e il sito genera i risultati sulla base dei criteri pre-indicati dagli stessi utenti.

Con riferimento allo svolgimento di tale attività, l’AGCM ha rilevato l’assenza di sufficienti informazioni circa la natura dei servizi offerti, il costo dei biglietti, la disponibilità di posti, le modalità per contattare il professionista, oltre a contestare l’applicazione di un supplemento richiesto per il pagamento effettuato con alcuni mezzi di pagamento (c.d. credit card surcharge).

In merito alla natura del servizio reso ai consumatori, l’AGCM si è concentrata, in particolare, sull’attività di comparazione svolta, secondo la stessa, in maniera parziale, ossia solamente in relazione agli operatori marittimi aventi un accordo commerciale con la stessa DF e con l’esclusione di alcuni tra i vettori più importanti (proprio a causa dell’assenza di un accordo commerciale con questi ultimi). Ciò a fronte di un claim campeggiante sul sito nel quale si indica che la comparazione riguarda tutte le compagnie operanti sula tratta individuata (recante la dicitura “…stiamo confrontando tutte le compagnie di navigazione per trovare la miglior offerta e i marchi dei principali operatori della rotta marittima prescelta”). DF ha provato a replicare a questa tesi, dichiarando di non aver mai avanzato la pretesa di ricomprendere nel servizio tutte le compagnie operanti nelle tratte prese in considerazione, evidenziando la generale soddisfazione riscontrata tra i consumatori per i propri servizi (con una percentuale di reclami inferiore all’1%).

Inoltre, DF (sulla base di una scelta intenzionale, parzialmente ammessa dalla stessa società nelle more della difesa nel corso dell’istruttoria) offriva i propri servizi solamente online, indicando (dal marzo 2017) come unico punto di contatto per il consumatore un numero a pagamento. Nel mese di marzo 2018, DF (nonostante il rigetto della proposta di impegni formulata) ha spontaneamente ripristinato l’indicazione sul proprio sito internet dell’indirizzo email e di un numero telefonico del centralino a disposizione dei consumatori senza costi aggiuntivi.

In relazione all’applicazione del credit card surcharge (in violazione, tra l’altro, dell’art. 62 del Codice del Consumo) DF ha tentato di distinguere la propria condotta rispetto a quelle accertate in procedimenti simili nei confronti di altri soggetti, e, in ogni caso, ha ribadito l’assenza di una violazione degli obblighi di trasparenza informativa, in quanto il consumatore veniva edotto di tale supplemento in maniera chiara, sia nella fase antecedente al pagamento, sia nelle condizioni di vendita.

Al termine dell’istruttoria, l’AGCM ha quindi riscontrato, da un lato, la natura “parziale” del servizio di comparazione offerto da DF, che si traduceva, in pratica, nell’intermediazione nella vendita di biglietti marittimi a favore di specifici operatori; dall’altro, l’applicazione di una addizionale per l’utilizzo della carta di credito a cui, comunque, la società ha spontaneamente posto fine nel corso del procedimento (insieme ad altre misure, originariamente presentate come impegni, non accettati dall’AGCM, ma che hanno contribuito alla quantificazione di un importo sanzionatorio non eccessivamente elevato).

Filippo Alberti
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Legal News / Accesso agli atti ed informazioni riservate – la Corte di Giustizia dell’Unione europea alla ricerca del giusto contemperamento

Con la sentenza del 19 giugno 2018, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (la Corte) si è pronunciata sull’interpretazione delle disposizioni della Direttiva 2004/39/CE (relativa ai mercati degli strumenti finanziari, la c.d. MIFID) concernenti, in particolare, le nozioni di “segreto professionale” e “informazioni riservata”, il relativo ambito di applicazione e regime giuridico, nonché il loro coordinamento con le norme in materia di accesso agli atti e di condivisione e cooperazione tra autorità di settore degli Stati membri.

La controversia da cui ha avuto origine il rinvio alla Corte era sorta a seguito della decisione, da parte del Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht (Ufficio federale di vigilanza dei servizi finanziari, Germania), di negare ad un individuo (un risparmiatore danneggiato da un sistema fraudolento di tipo piramidale da parte di una società denominata Phoenix) l’accesso ad alcuni documenti raccolti dalla stessa autorità nell’esercizio delle proprie attività di vigilanza. Tale decisione è stata quindi impugnata dinanzi al tribunale amministrativo competente tedesco dal menzionato risparmiatore in più gradi di giudizio, fino alla Corte amministrativa federale della Germania. Quest’ultima ha quindi sollevato 3 questioni pregiudiziali, risolte dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza qui in commento. In sintesi:

(i)     l’articolo 54, paragrafo 1, della citata direttiva 2004/39, che fa riferimento alla nozione di “informazioni riservate” (ad avviso della Corte, non da interpretarsi alla stregua del diritto nazionale bensì solo del quadro europeo) e ne impedisce la diffusione da parte delle autorità competenti (salvo in forma sommaria/aggregata, e salvi i casi previsti dal diritto penale e dalla direttiva stessa), deve essere interpretato nel senso che né tutte le informazioni relative all’impresa vigilata e trasmesse da questa all’autorità competente, né tutte le dichiarazioni di detta autorità presenti negli atti relativi alla sua attività di vigilanza (ivi inclusa la sua corrispondenza con altri servizi) “…costituiscono incondizionatamente informazioni riservate, coperte, pertanto, dall’obbligo di mantenere il segreto professionale…”. Rientrano invece in tale qualificazione le informazioni detenute dalle autorità competenti che non hanno carattere pubblico e che rischierebbero, se divulgate, di ledere gli interessi della persona fisica o giuridica che le ha fornite o di terzi, oppure il buon funzionamento del sistema di vigilanza sull’attività delle imprese di investimento. In altre parole, è da escludersi qualsiasi connessione automatica tra la modalità di raccolta/produzione dei documenti/dati in sede di attività di vigilanza e la loro qualificazione come attività riservate;

(ii)     la valutazione circa la natura “riservata” o meno delle informazioni deve avvenire rispetto al momento della domanda di divulgazione, indipendentemente dalla qualificazione di tali informazioni quando esse sono state trasmesse a dette autorità;

(iii)     le informazioni detenute dalle autorità competenti che risalgono a cinque anni addietro o più, sono presunte (anche se la Corte evita questo termine) “…in linea di principio, a causa del decorso del tempo, storiche e ormai prive, per tale motivo, del loro carattere segreto…”.  Ciò, tuttavia, “…salvo che, in via eccezionale, la parte che invoca tale carattere non dimostri che, sebbene siano risalenti, tali informazioni costituiscono ancora elementi essenziali della propria posizione commerciale o di quelle di terzi interessati…”.

La sentenza, anche se non sempre particolarmente chiara, appare importante, in quanto affronta tematiche di grande rilevanza pratica ed operativa nel contesto dei rapporti fra autorità regolatorie, imprese indagate e terzi interessati ad accedere ai documenti, i cui rispettivi interessi sono, chiaramente, spesso in conflitto. Inoltre, pur essendo relativa alla normativa sui servizi finanziari, la pronuncia riguarda principi generali tali da risultare rilevanti anche in altri settori (ad esempio, altri mercati regolamentati ovvero nella materia antitrust). Al contempo, appare degno di nota come la sentenza, nelle valutazioni circa il contemperamento fra i vari interessi in gioco, abbia sottolineato l’importanza dell’ “…interesse generale collegato al normale funzionamento dei mercati degli strumenti finanziari…”, a sua volta dipendente dalla “fiducia” generalizzata circa l’accorto trattamento delle informazioni riservate da parte delle autorità regolatorie. Al contrario, la sentenza in commento non ha invece affrontato in modo compiuto il tema della difesa dei diritti da parte di terzi (tipicamente, dinanzi alle stesse autorità ovvero in giudizi separati), connessa all’accesso agli atti, e di come questo profilo interagisca con le altre esigenze e gli altri valori in campo.

Alessandro Di Giò