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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Concentrazioni e settore ottico – La Commissione europea autorizza la concentrazione tra Essilor e Luxottica

Con il comunicato stampa dello scorso 1 marzo, la Commissione europea (la Commissione) ha annunciato di aver autorizzato, senza alcuna condizione, la concentrazione tra Essilor e Luxottica, imprese leader nel settore ottico. In particolare, Essilor e Luxottica sono, rispettivamente, il principale fornitore, sia a livello mondiale, sia europeo, di lenti oftalmiche e il principale produttore di montature per occhiali. Entrambe le società forniscono i propri prodotti agli ottici.

Producendo una lenti, l’altra montature, le due società vendono quindi principalmente prodotti complementari, rendendo l’operazione una vera e propria concentrazione conglomerale. La forte presenza delle due società nei rispettivi mercati aveva comunque portato la Commissione, nel settembre 2017, ad avviare un’indagine approfondita (la c.d. fase II), in quanto l’impesa post merger avrebbe potuto utilizzare i principali marchi detenuti da Luxottica (tra i quali Ray Ban, Oakley, Persol) per convincere gli ottici ad acquistare le lenti Essilor. Infatti, la preoccupazione della Commissione era che l’impresa risultante dalla concentrazione, attraverso pratiche quali la vendita aggregata o vincolata (c.d. in bundle), avrebbe potuto escludere gli altri produttori di lenti dal mercato. Allo stesso tempo, la Commissione intendeva valutare se la forte posizione di Essilor nel mercato delle lenti oftalmiche avrebbe potuto portare ad una esclusione dei concorrenti dal mercato delle montature. Infine, la Commissione aveva comunque voluto approfondire anche gli effetti che la concentrazione avrebbe potuto creare sulla reciproca concorrenza che Essilor e Luxottica stavano cominciando ad esercitare, rispettivamente, nel settore delle montature e in quello delle lenti.

Tali preoccupazioni concorrenziali sono state tutte risolte al termine della fase II. Infatti, a valle di tale fase, che ha visto l’invio alla Commissione di osservazioni da parte di circa 4000 ottici in tutta Europa, la Commissione ha accertato che, innanzitutto, i marchi più forti e famosi di montature e di occhiali da sole detenuti da Luxottica non rappresentano – in genere – prodotti essenziali (c.d. must have) per gli ottici. Tale conclusione sarebbe inoltre coerente col fatto che numerosi negozi di ottica in Europea non vendono i prodotti Luxottica, che infatti detiene una quota inferiore al 20% nel mercato delle montature in Europea.

La Commissione ha altresì escluso che l’entità post concentrazione potesse sfruttare il potere di mercato nel segmento degli occhiali da sole per escludere i fornitori di lenti concorrenti. Infatti, come rilevato dalla Commissione al termine dell’indagine, gli occhiali da sole sono per la maggior parte venduti senza lenti correttive e rappresentano una minima parte delle entrate degli ottici.

In merito alla preoccupazione di possibili pratiche di vendita in bundle, per quanto indicato nel comunicato  stampa, la Commissione riporta che l’impresa post merger non avrebbe incentivi sufficienti per intraprendere tali pratiche, dato il significativo rischio di perdere la clientela. Si aggiunge inoltre che, anche nel caso in cui tali pratiche fossero intraprese, l’effetto di marginalizzare i fornitori di lenti (che porterebbe ad una limitazione della concorrenza) sarebbe comunque improbabile. La Commissione ha altresì escluso che a valle della concentrazione l’impresa così risultante sarebbe stata in grado di escludere dal mercato i fornitori concorrenti in quanto, come riportato nel comunicato stampa, “…Essilor non detiene un potere di mercato e non ha incentivi tali da escludere i concorrenti di Luxottica…”.

Infine, con riguardo alla possibile eliminazione della concorrenza emergente tra le parti, la Commissione ha escluso problemi di natura concorrenziale sul punto, riconoscendo che le limitate attività di Essilor nel settore delle montature e di Luxottica in quello delle lenti, potessero assumere nel breve periodo un ruolo concorrenziale significativo.

Per tali motivi, la Commissione ha ritenuto che l’operazione non avrebbe creato problemi di natura concorrenziale all’interno dello Spazio economico europeo e ha pertanto autorizzato la concentrazione in parola. Si tratta di un caso, a dire il vero poco frequente, in cui la Commissione ha deciso di concludere una fase II senza subordinare l’autorizzazione ad alcuna condizione.

Jacopo Pelucchi
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Azioni di risarcimento danni antitrust e competenza giurisdizionale – Per l’AG Bobek la verifica su dove deve essere incardinata un’azione transfrontaliera per il risarcimento danni antitrust prodotti in ragione di un abuso di posizione dominante deve basarsi sulla natura della condotta illecita

Con le conclusioni rassegnate lo scorso 28 febbraio, l’Avvocato Generale Bobek (AG) ha suggerito alla Corte di Giustizia dell’UE (CdG) di pronunciarsi sul rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte d’Appello della Lituania relativa alla competenza a decidere una disputa tra AB flyLAL, compagnia aerea della Lituania (FlyLAL), e Air Baltic (unitamente all’Aeroporto di Riga) per il risarcimento dei danni asseritamente patiti in ragione di una pratica di prezzi predatoria posta in essere dalla Air Baltic. L’AG ritiene che il foro competente a decidere è quello del luogo in cui i prezzi predatori venivano offerti ed applicati, ossia il luogo nel quale la violazione ha avuto un impatto e dove la vittima sostiene di aver subito il calo delle vendite in questione.

Il rinvio in parola origina dalla disputa tra FlyLAL, che operava voli dall’aeroporto di Vilnius fintanto che è stata messa in liquidazione, e Air Baltic Corporation A/S, compagnia lettone che avrebbe asseritamente concordato con il gestore dell’Aeroporto di Riga una strategia anticoncorrenziale per ridurre drasticamente i prezzi pagati da Air Baltic per i servizi erogati all’aeroporto di Riga, così che la somma risparmiata fosse impiegata da Air Baltic per estromettere, mediante tariffe predatorie, FlyLAL dal mercato di Vinius. FlyLAL aveva citato in giudizio Air Baltic e l’Aeroporto di Riga per danni dinanzi al tribunale di Vilnius. Il giudice di primo grado aveva quindi accertato che Air Baltic e Aeroporto di Riga avevano violato l’art 102 TFUE e riconosceva un risarcimento di circa 16 milioni di Euro a carico di Air Baltic (ma non di Aeroporto di Riga). Air Baltic proponeva appello chiedendo di annullare la decisione di primo grado per violazione delle norme sulla competenza giurisdizionale, asserendo che (i) la controversia non concerneva l’esercizio della sua succursale lituana e che l’articolo 5, punto 5, del Regolamento CE n. 44/2001 (il Regolamento, che stabilisce le norme sulla competenza giurisdizionale in materia di illeciti civili e commerciali, affermando in particolare che “[la persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in altro Stato membro] qualora si tratti di controversia concernente l’esercizio di una succursale, di un’agenzia o di qualsiasi altra sede d’attività, davanti al giudice del luogo in cui essa è situata”) non era applicabile; (ii) nemmeno l’articolo 5, punto 3, del Regolamento (che stabilisce che “in materia di illeciti civili dolosi o colposi, [la persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in altro Stato membro] davanti al giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire”) sarebbe stato applicabile, in quanto gli atti illeciti di cui trattasi non sarebbero stati commessi in Lituania; (iii) tale disposizione non garantisce il diritto di adire i giudici dello Stato in cui si sono prodotte perdite indirette sotto forma di una riduzione delle risorse finanziarie. Il giudice del rinvio, quindi, sollevava tre questioni pregiudiziali, chiedendo alla CdG di chiarire (i) se la nozione di “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto” di cui all’articolo 5, punto 3 del Regolamento si riferisca al luogo in cui le convenute hanno concluso l’accordo illecito in violazione dell’articolo 102 TFUE oppure al luogo in cui i convenuti hanno compiuto gli atti attraverso i quali hanno sfruttato il vantaggio economico derivante da tale accordo, praticando una politica dei prezzi predatoria; (ii) se l’asserito danno (perdita di reddito) subito da FlyLALA debba essere considerato un danno risarcibile ai sensi dell’articolo 5, punto 3, del Regolamento; e, infine (iii) se si debba ritenere che le operazioni compiute dalla succursale di Air Baltic in Lituania costituiscano esercizi di una succursale ai sensi dell’articolo 5, punto 5 del Regolamento.

L’AG, nelle proprie conclusioni, ha ritenuto che dovessero distinguersi due tipologie di condotta anticoncorrenziale: la strategia di prezzi predatori e l’accordo anticoncorrenziale “a monte”. Per quanto riguarda la prima condotta, il danneggiato può azionare il proprio diritto nel Paese in cui si sono prodotti effetti sul mercato. Nel caso di specie dovrebbe quindi ritenersi la Lituania (in quanto Vilnius era il punto comune di partenza/destinazione delle varie rotte sulle quali FlyLAL operava, ed anche l’obiettivo della presunta politica dei prezzi predatoria di Air Baltic), nella misura in cui è lì che “è probabile” che FlyLAL abbia visto ridursi le proprie vendite. In sintesi, per l’AG, una società che pone in essere una condotta anticoncorrenziale deve aspettarsi di essere citata in giudizio in quei luoghi in cui la sua azione ha determinato una ripercussione sul mercato: il “danno” patito ai fini di stabilire la competenza giurisdizionale è il luogo sul quale incide la violazione. Per quanto riguarda l’accordo anticoncorrenziale tra Air Baltic e Aeroporto di Riga, per l’AG il luogo dell’evento generatore del danno – ossia la perdita di vendite di FlyLAL – dovrebbe essere il luogo dove l’accordo è stato concluso. Nel caso di specie, in Latvia, dove aveva sede Air Baltic ed era stato siglato l’accordo concluso in violazione dell’art 102 TFUE.

Quanto alla terza questione pregiudiziale, per l’AG il suo scopo era verificare l’esistenza di un nesso sufficiente tra le operazioni della succursale di Air Baltic in Lituania e la controversia. A tal proposito, il giudice del rinvio non aveva dubitato che vi fosse una “succursale” nell’accezione del Regolamento (per una serie di fattori quali il diritto della succursale di stabilire rapporti economici e commerciali con terzi, nonché fissare prezzi di servizi e prodotti). Posto che in caso di domande basate su un illecito civile, affinché la controversia derivi dall’esercizio della succursale, quest’ultima deve partecipare per lo meno a qualcuna delle azioni che costituiscono l’illecito stesso, per l’AG nel caso di specie rilevava soprattutto la possibilità che i prezzi fossero effettivamente fissati o meno dalla succursale: se si può dimostrare che la succursale fissava effettivamente i presunti prezzi predatori, allora per l’AG la controversia può concernere l’esercizio della succursale. Nelle parole dell’AG, “si può comunque ritenere che la succursale abbia partecipato alla politica dei prezzi predatori, sicché la controversia concerne l’esercizio della succursale, anche qualora quest’ultima non abbia fissato essa stessa i prezzi predatori, ma è possibile che abbia offerto tali prezzi sul mercato o sia stata altrimenti determinante per la conclusione di contratti per servizi a tali prezzi. In casi del genere, la succursale ha anche partecipato alla commissione di un atto che costituisce un presupposto necessario dell’abuso”. Ma questa è, in definitiva, una questione di fatto che spetterà al giudice del rinvio decidere.

Le conclusioni in commento offrono chiarimenti su come le regole sulla giurisdizione in tema di illeciti civili possono applicarsi alle azioni di risarcimento dei danni antitrust: le società potrebbero essere citate in giudizio nel Paese in cui hanno la propria sede ma anche dove si è verificato l’evento dannoso ovvero la condotta anticoncorrenziale ha prodotto i propri effetti, favorendo in certa misura il forum shopping verso giurisdizioni in cui l’onere probatorio è alleggerito.

Cecilia Carli
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Antitrust e fondi di investimento – Le partecipazioni detenute dai medesimi investitori in società concorrenti finiscono nel mirino della Commissione europea

I fondi di investimento sono finiti sotto la lente dell’antitrust europeo. In un discorso tenuto lo scorso 16 febbraio a Innsbruck, la commissaria per la concorrenza Margrethe Vestager ha manifestato l’interesse della Commissione europea (Commissione) ad indagare i possibili effetti anticoncorrenziali derivanti dall’acquisito da parte dei medesimi fondi di investimento di partecipazioni azionarie (di minoranza) in società concorrenti in un determinato mercato.

La commissaria Vestager ha difatti evidenziato la tendenza, sempre più diffusa, di tali investitori ad acquisire partecipazioni (di minoranza) in diverse società operanti in concorrenza sullo stesso mercato, con il rischio di alterarne le relative dinamiche concorrenziali, posto che verrebbe meno per i fondi che le partecipano, e conseguentemente per le medesime società, l’incentivo a competere in maniera effettiva.

L’interesse della Commissione ad indagare tale fenomeno sembrerebbe nascere, come spesso accade, dall’esperienza statunitense, dove sono già sati condotti studi sulla tematica e dove vengono raccolte sistematicamente informazioni sia sull’identità degli investitori, sia sulle società dagli stessi partecipate. Nel proprio discorso, la commissaria Vestager ha fatto riferimento ad uno studio condotto nel 2016 negli Stati Uniti, e pubblicato sulla Harvard Business Review, che mostra come tra i maggiori azionisti (di minoranza) di ciascuna delle quattro principali compagnie aeree statunitensi figurino proprio quattro fondi di investimento.

La Commissione è quindi interessata a fare chiarezza sul fenomeno in esame, indagando in primo luogo il grado di diffusione dello stesso sul mercato europeo, e conseguentemente cercando di comprendere i possibili effetti anticoncorrenziali che tali partecipazioni in società concorrenti possono avere sul mercato. Impresa questa non semplice, come ha riconosciuto la stessa commissaria Vestager, la quale ha precisato come il fatto che simili investitori potrebbero beneficiare di un minore livello di concorrenza tra le società partecipate non comporta necessariamente che le stesse operino di conseguenza – posto che nella stragrande maggioranza dei casi trattasi di partecipazioni di minoranza che non permettono a tali fondi di esercitare un controllo effettivo sulle decisioni strategiche delle società.

Ciò nondimeno, ha concluso la commissaria, pur in assenza di un effettivo potere di controllo, tali fondi hanno certamente la possibilità di “far sentire la propria voce”, potendo spingere le società partecipate a non competere in maniera effettiva sul mercato di riferimento, cosa che la Commissione intende ora accertare.

E’ interessante rilevare che già in alcune decisioni in materia di concentrazione (si veda ad esempio la decisione della Commissione M.7932 – Dow/DuPont), la Commissione abbia rilevato la presenza diffusa dei medesimi investitori istituzionali in vari concorrenti al fine di mettere in evidenza il particolare grado di concentrazione del settore, ossia considerarlo come un elemento strutturale esogeno, di per sé non contestabile, ma di cui tenere conto nell’analizzare una operazione in una industria con siffatte caratteristiche.

Martina Bischetti