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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Aiuti di stato e nozione di impresa – Il Tribunale dell’Unione europea si pronuncia in un caso di aiuti di Stato nel settore delle assicurazioni sanitarie e annulla la decisione della Commissione

Con la sentenza del 5 febbraio 2018, il Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) ha accolto il ricorso di Dôvera zdravotná poist'ovňa (la Ricorrente), annullando la decisione della Commissione europea (la Commissione) che aveva ritenuto che una serie di misure adottate dal governo della Slovacchia nei confronti di Spoločná zdravotná poisťovňa (SZP) e Všeobecná zdravotná poisťovňa (VZP), società di assicurazioni di proprietà dello stato slovacco , non costituivano un aiuto di stato vietato ai sensi dell’art. 107 TFUE. In particolare, la Commissione aveva ritenuto che SZP non svolgesse un’attività economica e, pertanto, non potesse essere considerata un’impresa ai sensi della normativa comunitaria in materia di aiuti di stato.

Il quadro regolamentare in materia di assicurazioni sanitaria in Slovacchia, rilevante per la valutazione della sentenza in parola, risulta essere stato caratterizzato dalla seguente evoluzione normativa. Prima del 1994, anno di apertura al mercato, era prevista un’unica società di assicurazioni sanitaria, in mano pubblica. Con il venire meno del monopolio statale, attualmente i cittadini slovacchi possono rivolgersi a tre diverse società di assicurazioni: SZP (statale, che ha incorporato anche VZP), la Ricorrente e la Union Insurance Company. Tutte tali società sono obbligate, per legge, ad offrire una copertura sanitaria obbligatoria.

Con il ricorso che ha dato origine alla sentenza in commento, la Ricorrente contestava la decisione della Commissione che aveva autorizzato l’aumento di capitale di SZP da parte del governo della Slovacchia. In particolare, riteneva che la Commissione avesse errato nel considerare che  le attività condotte da SZP all’interno del regime di assicurazione sanitaria obbligatoria non potessero essere considerate come un’attività economica e, di conseguenza, veniva esclusa la natura di impresa della stessa ai sensi dell’art. 107 TFUE.

Al contrario, secondo la Commissione, nel caso in commento, la gestione di un regime legale di assicurazione sanitaria non poteva essere considerata come un’attività economica in quanto l’obiettivo sociale e di solidarietà di tale attività era predominante. In particolare, si è in presenza di enti basati sul principio di solidarietà quando questi sono, ad esempio, legalmente tenuti ad offrire ai loro iscritti prestazioni obbligatorie, essenzialmente identiche, che sono indipendenti dall’ammontare dei contributi e, pertanto, non hanno così alcuna possibilità di influire sulle prestazioni fornite. Oltre al rilievo del principio di solidarietà, la natura di attività economica viene altresì esclusa se ed in quanto il regime di assicurazione sanitaria è stabilito e controllato in maniera penetrante dallo Stato.

Secondo la Commissione, tali elementi erano tutti presenti nel caso in commento. Tuttavia, come rilevato dalla Ricorrente e confermato dal Tribunale, altri due elementi non erano stati tenuti in considerazione nella valutazione sulla natura non-economica dell’attività di SZP. In primo luogo, la legge slovacca riconosce esplicitamente che le società di assicurazione sanitaria possono fare e distribuire profitti. In secondo luogo, tali società in Slovacchia di fatto competono in termini di qualità e servizi.

Invero, nonostante non possano determinare liberamente l’ammontare dei contributi da versare o le tariffe, le società di assicurazione sanitaria possono offrire, oltre ai servizi obbligatori previsti dalla legge, ulteriori servizi, come una migliore copertura per alcune cure complementari o preventive oppure una migliore assistenza alle persone assicurate. Di conseguenza, la Corte rileva che in realtà le società attive in questo settore possono differenziarsi in termini di qualità e oggetto del dei servizi offerti. Inoltre, è la stessa legge che riconosce agli assicurati la possibilità di scegliere di quale assicurazione servirsi nonché di cambiarla liberamente.

Pertanto, secondo il Tribunale, anche se non c’è formalmente concorrenza all’interno del regime di assicurazione sanitaria obbligatoria in Slovacchia per quanto riguarda i servizi legali obbligatori o l’ammontare delle contribuzioni, esiste tuttavia una forte concorrenza alla luce della volatilità del mercato dovuta al fatto che ogni persona assicurata è libera di scegliere la propria compagnia assicurativa, e successivamente di cambiarla, e che le compagnie competono tra loro in termini di qualità dei servizi.

Alla luce dell’esistenza di un confronto concorrenziale e del fatto che comunque le compagnie assicurative sanitarie perseguono profitti, l’attività di fornire un’assicurazione sanitaria obbligatoria in Slovacchia doveva considerarsi di natura economica. Il Tribunale ha inoltre aggiunto che a tale conclusione si sarebbe comunque arrivati anche qualora SZP e VZP non avessero cercato di fare profitti. Infatti, anche qualora i beni o servizi fossero stati offerti senza scopo di lucro ciò di per se non preclude la possibilità di riconoscere tali società come imprese (ai sensi della disciplina sugli aiuti di stato) se l’attività viene svolta in concorrenza con altri operatori che hanno quale fine quello di fare profitti. Anche in tale caso, infatti, SZP e VZP sarebbero considerate, “by contagion”, imprese.

Per tali motivi, il Tribunale ha annullato la decisione della Commissione che escludeva l’esistenza di un aiuto di stato nella misura in cui SZP  e VZP non potevano essere considerate imprese ai sensi dell’art. 107 TFUE. Ciò ancora una volta conferma l’impostazione comunitaria volta ad una applicazione sostanzialistica delle norme.

Jacopo Pelucchi
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Diritto della concorrenza e tutela del consumatore Italia / Intese e telecomunicazioni – L’AGCM avvia un’istruttoria per asserito coordinamento tra i principali operatori del settore

Lo scorso 15 febbraio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), accompagnata dal Nucleo specializzato della Guardia di Finanza, ha svolto ispezioni presso le sedi di Telecom Italia S.p.A. (TIM), Vodafone Italia S.p.A. (Vodafone), Fastweb S.p.A. (Fastweb), Wind Tre S.p.A. (Wind Tre) e dell’associazione di categoria Assotelecomunicazioni (Asstel) per accertare se tali imprese, anche tramite l’associazione, abbiano coordinato la propria strategia commerciale relativamente alla tempistica e modalità di fatturazione sui mercati dei servizi al dettaglio di telecomunicazione fissi e mobili. In particolare, secondo il provvedimento di avvio dell’istruttoria, l’asserito coordinamento sarebbe stato finalizzato a preservare l’aumento dei prezzi derivante dalla modifica della periodicità della fatturazione (da mensile a quattro settimane) avvenuto nel corso del 2015.

L’istruttoria si concentra in primo luogo su un asserito coordinamento successivo a una delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) che, in data 15 marzo 2017, ha stabilito che l’unità temporale per la cadenza di rinnovo e fatturazione dei contratti di rete fissa dovesse essere il mese, e che per la telefonia mobile la cadenza di rinnovo e fatturazione non potesse essere inferiore ai 28 giorni. L’AGCM fa in proposito riferimento a comunicati stampa di Asstel, da cui risulterebbe la sussistenza di un dialogo tra gli operatori telefonici, l’AGCOM e il Ministero competente per il tramite dell’associazione, la quale avrebbe gestito l’interlocuzione per conto delle proprie associate.

Particolare enfasi sembrerebbe essere posta sull’asserita concertazione della reazione all’entrata in vigore dell’obbligo introdotto dal D.L. 148 del 16 ottobre 2017 di prevedere una cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione dei servizi su base mensile (o multipli di mese). Ciò sia per i servizi di telefonia fissa, sia per quelli di telefonia mobile. Le imprese oggetto di istruttoria avrebbero comunicato quasi contestualmente ai clienti che, in ottemperanza al suddetto obbligo, la fatturazione sarebbe stata effettuata su base mensile senza alcun (ulteriore) aggravio (ma nemmeno riduzione) dei costi.

Interessante notare come l’AGCM faccia esplicito riferimento a notizie di stampa da cui emergerebbe il coordinamento: “…TIM … attraverso la pubblicazione di presunte indiscrezioni da parte di una nota testata (mai smentite dalla stessa TIM e riportata da tutti i quotidiani nazionali), annunciava la propria intenzione di ottemperare all’obbligo di fatturazione attraverso un repricing che avrebbe comportato un aumento del 10% circa a carico dei clienti-consumatori. Nella medesima nota di stampa si faceva riferimento ad un fronte composto da TIM, Fastweb e Vodafone all’interno di Asstel e al perseguimento di un obiettivo ad allinearsi sui rincari. A tale annuncio seguiva la pubblicazione di un’intervista dell’Amministratore Delegato di Vodafone il quale, riconoscendo l’ormai consolidato aumento delle tariffe, comunicava l’intenzione della società di tornare alla fatturazione mensile esclusivamente per una questione di trasparenza verso i clienti…”.

L’avvio del procedimento in commento ricorda per certi aspetti l’istruttoria avviata nel mese di dicembre 2016 relativamente al settore assicurativo (chiusa senza l’accertamento di alcuna infrazione), in cui l’AGCM aveva aperto un procedimento sulla base di alcune dichiarazioni pubbliche rilasciate dai vertici del gruppo Generali e del gruppo Unipol apparse in talune testate giornalistiche. Si veda in proposito il commento di cui alla presente newsletter.

Adesso sarà quindi interessante vedere come l’AGCM poterà avanti l’istruttoria in commento e valuterà gli elementi indiziari acquisiti. Ciò detto, il provvedimento di avvio rappresenta sicuramente un ulteriore segnale dell’importanza di un’attenta valutazione delle notizie riportate dalla stampa, utilizzabili dalle autorità come elementi di prova di un asserito coordinamento, nonché di una valutazione attentissima delle attività svolte nell’ambito delle associazioni di categoria.

Il termine del procedimento è previsto per il 31 marzo 2019.

Ermelinda Spinelli
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Informazioni ingannevoli e vendita online di biglietti aerei - Il Tar Lazio conferma la sanzione comminata dall’AGCM a Volotea per pratiche commerciali scorrette

Con la sentenza n. 1523/2018, pubblicata lo scorso 8 febbraio, il Tar Lazio ha respinto il ricorso presentato da Volotea Sa (Volotea) avverso il provvedimento n. 26020/2016 (Provvedimento) con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva irrogato nei confronti di tale società una sanzione complessiva pari a € 370.000 per aver posto in essere due distinte pratiche commerciali scorrette.

Secondo la decisione impugnata, Volotea da un lato promuoveva prezzi particolarmente vantaggiosi senza indicare (con adeguata evidenza grafica) che tali tariffe erano riservate esclusivamente agli aderenti al programma fedeltà Supervolotea (Supervolotea), la cui adesione risultava comunque essere onerosa e soggetto a rinnovo tacito (Pratica A); dall’altro, non forniva informazioni adeguate circa la gratuità del check – in, gratuità limitata a quello online e solo se effettuato fino a due ore e mezza prima della partenza, a fronte del check – in effettuato in aeroporto, che avrebbe, invece, comportato il pagamento di € 30 (Pratica B).

Con riferimento alla Pratica A, l’AGCM aveva ritenuto che questa fosse idonea a limitare il consumatore potendolo indurre ad assumere una scelta di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso; ciò anche tenendo presente del settore della vendita online dei biglietti aerei, caratterizzato da una forte asimmetria informativa tra consumatore e professionista.

Nell’ambito del giudizio, Volotea ha sostenuto di aver adottato sin dal principio alcuni accorgimenti grafici  al fine di favorire una migliore informazione circa i prezzi pubblicizzati, apponendo, in particolare, il simbolo grafico di forma prismoidale che identifica la stessa compagnia aerea per contraddistinguere le tariffe promozionali (ossia, quelle riservate agli aderenti allo schema Supervolotea); peraltro, al momento della selezione di una tratta, il sito generava due tariffe (quella standard e quella riservata agli aderenti a Supervolotea), posizionandosi di default sul prezzo più alto.

Tuttavia, il Tar ha ritenuto che le summenzionate soluzioni grafiche implementate da Volotea sul proprio sito non fossero immediatamente percepibili dal consumatore, il quale non sarebbe stato, quindi, nella posizione di compiere una scelta pienamente consapevole. A tal riguardo, il Tar ha inteso riproporre il passaggio del Provvedimento in cui l’Autorità aveva precisato che “…la semplice presenza di un prisma accanto al prezzo pubblicizzato non è elemento sufficiente a chiarire che detto prezzo è in realtà riservato al programma Supervolotea e soprattutto non è sufficiente a chiarire quale sia il reale prezzo di vendita della tratta aerea…”.

Respingendo le argomentazioni di Volotea sul punto, il Tar ha, inoltre, ricordato (estendendo tale posizione anche alla censure mosse dalla ricorrente in relazione alla Pratica B) che la normativa in materia di pubblicità ingannevole è volta a tutelare la generalità dei consumatori, indipendentemente dalla loro conoscenza e cognizione di un determinato settore merceologico.

Più specificamente in merito alla Pratica B, il Tar ha qualificato l’informativa prodotta al consumatore come omissiva, opaca e non adeguatamente rappresentata graficamente, oltre che, per certi versi, aggressiva, andando ad incidere sulla vulnerabilità del consumatore nel momento che precede la sua partenza.

Infine, il Tar ha rigettato integralmente le doglianze di Volotea riguardanti la sanzione ad essa comminata dall’AGCM (confermandone, pertanto, la congruità), ribadendo, tra l’altro, l’oramai consolidato principio secondo il quale le modifiche apportate a seguito delle contestazioni mosse dall’AGCM nel corso dell’istruttoria per interrompere la condotta illegittima non possono essere valutate alla stregua di un ravvedimento operoso, essendo necessario, invece, un comportamento attivo atto a rimuovere le conseguenze della violazione commessa.

Filippo Alberti
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Legal News / Regolamentazione  e settore delle comunicazioni – Il TAR Lazio rigetta il ricorso di Google: anche le concessionarie attive sul web e le società con sede all’estero devono comunicare l’Informativa Economica di Sistema all’AGCom

Le concessionarie di pubblicità attive sul web e le società con sede all’estero rientrano tra i soggetti obbligati a comunicare la c.d. informativa economica di sistema (una comunicazione annuale di dati contabili ed extra-contabili al cui invio sono obbligati gli operatori dei settori dell’editoria e della radiodiffusione sonora e televisiva, IES) all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCom), ai sensi della delibera n. 397/13/CONS. Questo il dictat del TAR Lazio (TAR), che con la sentenza pubblicata lo scorso 14 febbraio ha rigettato in toto il ricorso presentato da Google Ireland Limited e Google Italy Srl (insieme, Google), che invece sostenevano di non rientrare tra i soggetti obbligati a comunicare tali dati all’AGCom.

Giova ricordare che, ai sensi dell’articolo 1, commi 28 e 29 del D.L. 545/1996 (convertito in legge n. 650/1996) il Garante per la radiodiffusione e l’editoria aveva il compito di monitorare una serie di dati contabili ed extracontabili ritenuti rilevanti ai fini dell’espletamento delle sue funzioni istituzionali. Successivamente, sono stati attribuiti ad AGCom i poteri di verifica dei bilanci e dei dati relativi alle attività dei soggetti autorizzati o concessionari del servizio radiotelevisivo (l. 249/1997) e, quindi, con la delibera AGCom n. 129/02, veniva istituita l’informativa economica di sistema. Tale delibera è stata modificata nel tempo e, nella formulazione di cui alla delibera impugnata, ha ad oggetto anche i dati riguardanti i ricavi relativi all’anno precedente del soggetto dichiarante. I dati raccolti vengono utilizzati anche per la valorizzazione del sistema integrato delle comunicazioni (SIC), in relazione al quale l’AGCom ha il compito di verificare l’esistenza di posizioni dominanti (ex art. 43 del Dlgs. 177/2005, TUSMAR, che prevede tra i ricavi rilevanti ai fini della verifica del pluralismo anche quelli derivanti dall’attività di raccolta di pubblicità online).

Le due società ricorrenti sostenevano che un simile obbligo di comunicazione non si applicasse loro nella misura in cui si qualificavano, rispettivamente, come una società di diritto irlandese del gruppo Google, che sottoscrive in Italia i contratti con gli inserzionisti pubblicitari, senza operare nel settore audiovisivo o in quello editoriale, e una società che svolge attività di consulenza a favore di altre società del gruppo Google. Pertanto, posto che la legge n. 650/1996 obbliga all'invio dell'informativa economica di sistema gli operatori dei settori dell'editoria e della radiodiffusione sonora e televisiva, a detta delle ricorrenti esse sarebbero state esentate, non rientrando in dette tipologie di soggetti.

Per il TAR, tuttavia, “…al fine di adeguare la raccolta di dati contenuti nella IES alla specifica finalità di redazione del SIC, l'Autorità ha adottato il provvedimento impugnato, nel quale, ridefinendo i soggetti obbligati alla comunicazione dei ricavi, ha incluso le imprese concessionarie di pubblicità che esercitano, direttamente o per contro terzi, attività di negoziazione o conclusione di contratti di vendita di spazi pubblicitari da trasmettere sul web e, limitatamente ai ricavi realizzati sul territorio nazionale, le società aventi sede all'estero, ancorché non direttamente operanti nel settore radio televisivo o dell'editoria…”. La ridefinizione dei soggetti obbligati ha per il TAR chiaro fondamento normativo alla luce di una necessaria interpretazione adeguatrice e finalistica delle norme. Ciò anche coerentemente al fatto che molte previsioni nazionali ed europee equiparano le attività svolte sul web a quelle più tradizionali in campo di comunicazioni. Altrimenti, per il TAR si arriverebbe all’ “…inaccettabile conseguenza di precludere la conoscenza di un segmento rilevante del mercato…”. E neppure il richiamo alla differenza tra tutela del pluralismo e della concorrenza per il TAR è stato convincente, posto che la prima concretizza “…un’ipotesi di tutela rafforzata con riferimento a tutti i mercati rilevanti ai fini del pluralismo…”, incluso quello della pubblicità sul web.

Peraltro, il TAR ha anche ritenuto che fosse del pari infondata la censura secondo cui l’estensione dell’obbligo in questione non operasse nei confronti delle imprese non aventi sede legale in Italia. E ciò in quanto la funzione dello IES è quella di strumento per verificare il rispetto del principio del pluralismo, a prescindere dal fatto che la sede legale dell’impresa sia o meno in Italia. Altrimenti, la norma si presterebbe a comportamenti elusivi e renderebbe impossibile l’attività dell’AGCom in materia di tutela del pluralismo.

A nulla è valso sostenere, da parte di Google, che un simile obbligo comportasse una significativa “gravosità” dell'adempimento, tale da comportare una riscrittura del bilancio per estrapolare i dati rilevanti. Per il TAR, “..i dati da comunicare concernono i soli ricavi maturati in Italia..” e la possibilità  di comunicare una voce omologa, nonché l’esistenza dei principi contabili internazionali (IAS) hanno reso “…ulteriormente compatibili i criteri di redazione dei bilanci…”, dovendo pertanto escludersi la difficoltà tecnica ed il significativo costo economico lamentati dalle ricorrenti, peraltro rimasto – a detta del TAR – sfornito di prova.

Infine, il TAR ha ritenuto che non sussistesse alcuna lesione del diritto di stabilimento dell’impresa con sede in diverso Stato membro, nella misura in cui l’obbligo contestato, finalizzato al corretto adempimento dei compiti dell’AGCom in materia di tutela del pluralismo, è un “…mero obbligo comunicativo..” richiesto anche alle imprese italiane e nessun rilievo può avere il fatto che Google sia già tenuta al rispetto della normativa vigente in Irlanda, nella misura in cui le corrispondenti previsioni sul pluralismo fanno riferimento al solo territorio irlandese.

Con la sentenza in commento, il TAR sembra mostrarsi incline a riconoscere la pervasività dei poteri di regolamentazione del mercato in capo all’AGCom, che sta sempre più sottolineando la rilevanza strategica di internet sia sotto il profilo concorrenziale, sia sotto quello del pluralismo informativo. Stavolta nel mirino è finita Google, che analogamente alle concessionarie di pubblicità attive sul web, sarà tenuta a comunicare all’AGCom anche i ricavi derivanti dall’attività di raccolta di pubblicità online. Non resta che vedere in quale direzione continuerà a muoversi e quanto in là potrà effettivamente spingersi l’AGCom nel perimetrare le nuove (e vecchie) regole, per adeguarsi alle nuove sfide del mondo online.

Cecilia Carli