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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza Italia / Abuso di posizione dominante e settore dell’editoria - L’AGCM accerta l’abuso di posizione dominante escludente da parte di SIE nel settore dell’editoria

Con il provvedimento n. 26907 (Provvedimento), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha accertato la condotta abusiva posta in essere da parte di Società Iniziative Editoriali S.p.A. (SIE) in violazione dell’art. 3 della legge n. 287/1990.

Si tratta dell’ultimo atto dell’istruttoria che era stata avviata su segnalazione di Euregio S.r.l. GmbH (oggi, Infojuice S.r.l. GmbH, d’ora in avanti il Segnalante), società fornitrice di servizi di media intelligence e di rassegna stampa locale e nazionale. Il Segnalante si era lamentato della decisione di SIE (editrice de “L’Adige”, per distacco il quotidiano più diffuso nella Provincia Autonoma di Trento) di ritirare la propria adesione al Repertorio Promopress, il sistema attraverso il quale gli editori concedono i diritti di riproduzione delle proprie testate e le società interessate (tra cui quelle attive nel comparto della rassegna stampa), dietro apposita licenza, accedono ai contenuti delle stesse per riprodurli nei servizi che offrono ai clienti finali. Come anche comunicato al mercato dalla stessa SIE, a seguito di tale decisione, gli operatori del settore (tra i quali, il Segnalante) avrebbero dovuto rivolgersi direttamente a SIE (o al proprio partner commerciale Volocom) per ottenere la licenza a riprodurre i contenuti de L’Adige. Tuttavia, a fronte di ripetute richieste, SIE avrebbe comunque rifiutato di concedere tale licenza al Segnalante, di fatto impedendogli di partecipare ai bandi di gara per la fornitura del servizio di rassegna stampa.

Ritenendone sussistenti i presupposti (come anche già commentato in una precedente newsletter), l’AGCM era, quindi, intervenuta con misure cautelari d’urgenza, dapprima per ordinare a SIE il rilascio della licenza a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie e, successivamente, in assenza di un accordo sulle condizioni tra le due parti, disponendo di adeguare la licenza in questione al modello Promopress.

Nel Provvedimento con cui ha chiuso il procedimento, l’AGCM ha, in primo luogo, confermato le considerazioni già svolte nel corso dell’istruttoria, identificando quali mercati rilevanti il mercato a monte della stampa quotidiana locale nella Provincia Autonoma di Trento (anche tenuto conto delle peculiari componenti storico-culturali e linguistiche dell’area interessata, profondamente diverse dalle zone limitrofe) e il mercato a valle della rassegna stampa quotidiana nella Provincia Autonoma di Trento.

L’AGCM ha, inoltre, ricordato che un rifiuto escludente – quale quello opposto da SIE al Segnalante – può essere giustificato solo in presenza di esigenze oggettive e non meramente soggettive, come, ad esempio, un mancato vantaggio a livello economico o una maggior tutela dei propri diritti d’autore.

L’AGCM, anche sulla scorta delle previsioni degli Orientamenti sulle priorità nell’applicazione dell’art. 82 del Trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti e della giurisprudenza applicativa dell’essential facilty doctrine, ha, altresì, chiarito che L’Adige rappresenta un input essenziale per l’aggiudicazione del servizio di rassegna stampa; a tal riguardo, a nulla è valso l’argomento difensivo portato avanti da SIE circa la non perfetta sovrapponibilità del concetto di essenzialità in senso antitrust rispetto a quello inteso nel senso comune, circostanza che avrebbe influito sulle risposte fornite ai questionari trasmessi dall’AGCM ai clienti attuali e potenziali del servizio di rassegna stampa nella Provincia Autonoma di Trento.

L’AGCM ha classificato l’infrazione accertata come “ontologicamente” grave (in quanto suscettibile di determinare l’eliminazione della concorrenza effettiva - per giunta, su un mercato concentrato e locale -, nonché di mettere a rischio la possibilità per i clienti interessati di fruire del servizio di rassegna stampa locale), facendola decorrere dal momento in cui SIE aveva reso nota al mercato la propria decisione di uscire da Promopress, potendo tale condotta incidere già in via previsionale su rinnovi contrattuali e aggiudicazione di gare in corso.

Ai fini della quantificazione della sanzione, a carattere largamente simbolico in considerazione della brevità dell’infrazione (6 mesi e 15 giorni) e dell’accertata assenza di effetti pregiudizievoli sul mercato, l’AGCM ha assunto quale stima approssimativa dei ricavi attesi il valore delle vendite dei servizi di rassegna stampa nella Provincia Autonoma di Trento, calcolato in funzione degli elementi a disposizione della stessa AGCM, quali il fatturato del Segnalante (principale potenziale concorrente di SIE), l’importo delle basi d’asta delle gare prese in esame, nonché il numero dei clienti del servizio.

Il Provvedimento in commento sembrerebbe rilevare non tanto per il ridotto importo sanzionatorio irrogato (circa mille euro), quanto per la ribadita diffida (già disposta con le misure cautelari precedentemente adottate) da parte dell’AGCM circa l’obbligo in capo a SIE “…di concedere in licenza a tutti gli operatori di rassegna stampa che ne facciano richiesta i diritti di utilizzo dei contenuti de L’Adige a condizioni FRAND, sia sotto il profilo economico che contrattuale…”, la quale espone SIE a futuri interventi della stessa AGCM se ciò non si dovesse verificare.

Filippo Alberti
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Cartelli e settore del calcestruzzo – Il Consiglio di Stato mette un punto sulla vicenda della concertazione in Friuli Venezia Giulia

Con le sentenze pubblicate lo scorso 21 dicembre, il Consiglio di Stato (CdS) ha respinto i ricorsi in appello proposti dalla Calcestruzzi Zillo S.p.A. e dalla Calcestruzzi Trieste Nord Est S.r.l. (le Società) avverso le sentenze del TAR Lazio che in primo grado avevano confermato la validità del provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva accertato la sussistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza con riguardo a due “tavoli” di concertazione tra produttori di calcestruzzo in Friuli Venezia Giulia, uno relativo all’area di Udine/Gorizia/Pordenone e l’altro concernente la provincia di Trieste.

Ripercorrendo brevemente la vicenda, l’AGCM aveva aperto un’indagine a valle di una domanda di clemenza presentata dalla società Calcestruzzi S.p.A. (gruppo Italcementi), che aveva “confessato” la propria partecipazione alle condotte collusive di cui sopra, ottenendo l’immunità dalla sanzione che le sarebbe stata altrimenti imposta. Le Società, sanzionate dall’AGCM per la propria partecipazione ai predetti “tavoli” di concertazione, avevano presentato ricorso dinanzi al TAR Lazio (TAR), contestando principalmente (i) la qualificazione dell’infrazione come “molto grave” operata dall’AGCM in luogo dell’accertamento della sua “gravità semplice”, data la mancata dimostrazione di effetti sui prezzi che sarebbe derivata dalla collusione; (ii) l’automatica applicazione del minimo del 15% sul valore vendite interessate dall’infrazione (percentuale prevista “di regola” dalle Linee guida dell’AGCM in materia sanzionatoria come minimo in caso di cartelli) per il calcolo della sanzione ad imprese mono-prodotto, posto che per queste ultime tale meccanismo condurrebbe automaticamente ad un superamento (e quindi all’applicazione) della soglia massima edittale prevista per legge del 10% del fatturato totale dell’impresa, con conseguente impossibilità di modulare la sanzione secondo quanto previsto dalla legge 689/81; (iii) il mancato riconoscimento della c.d. inability to pay, nonché di varie circostanze attenuanti. In primo grado il TAR non aveva esercitato un sindacato giurisdizionale forte, limitandosi a richiamare la decisione dell’AGCM e le imprese si erano viste confermare l’importo delle rispettive sanzioni, nonostante in sede cautelare lo stesso TAR avesse invece sospeso per un terzo il pagamento di siffatte ammende.

Con la sentenza in commento, il CdS ha confermato le valutazioni espresse dal TAR in primo grado, mettendo si un punto alla vicenda e confermando definitivamente l’accertamento al tempo compiuto dall’AGCM ma ancora una volta dimostrando che non sempre il supremo organo di giustizia amministrativa è in grado di effettivamente assicurare una verifica forte delle modalità con cui l’AGCM a volte conduce i suoi procedimenti. In primo luogo, dinanzi alla censura afferente la qualificazione dell’intesa come “molto grave”, il CdS si è limitato ad affermare, contraddicendo in maniere palese la casistica, anche recente, dello stesso CdS sul punto, che l’AGCM, nell’esercizio dei propri poteri valutativi, può considerare “molto grave” la tipologia di accordo in questione “a prescindere dalla valutazione degli effetti”. Parimenti, il CdS, con motivazione anche in questo caso poco convincente, ha ritenuto corretta la modalità con cui l’AGCM ha applicato i criteri per la quantificazione della sanzione nella specifica situazione di imprese mono-prodotto, quali sono le Società. In particolare, il CdS ha ritenuto che il fatto che, in relazione a imprese mono-prodotto, l’applicazione della percentuale minima del 15% in ragione della gravità della condotta implichi sempre anche l’applicazione del limite edittale del 10% del fatturato rilevante non può ritenersi in contrasto con il principio di ragionevolezza e proporzionalità. Ciò in quanto in tali circostanze l’illecito, secondo l’impostazione del CdS, “…copre l’intera attività dell’impresa stessa e dunque assume una maggiore gravità in quanto è l’intero fatturato che ottiene vantaggi dalla stipulazione di tale accordo  [anticoncorrenziale]. Ciò giustifica l’applicazione del minimo edittale del 15% che coincide con il massimo edittale del 10%” . Ciò senza tenere conto che il massimo edittale del 10% è, per definizione, una relazione tra la dimensione complessiva dell’impresa (come risultante dal sua fatturato totale) e la gravità della condotta e che una formula che, di regola, applica il massimo della sanzione ad una impresa cozza in maniera evidente con la necessità di tenere conto dei criteri per la modulazione della sanzione dettata dalla legge 689/81 sulle sanzioni amministrative.

In ultimo, anche per quanto riguarda le censure sollevate in punto di “inability to pay” e di mancata concessione di altre attenuanti, il CdS, con una motivazione anche qui estremamente sintetica e rivelatrice di una limitata verifica dei suoi presupposti applicativi, ha ritenuto corrette le valutazioni espresse dal TAR. In particolare, in punto di incapacità contributiva, il CdS ha ritenuto che il TAR avesse correttamente ponderato la finalità deterrente che deve assumere una sanzione e rilevato l’assenza dei connotati di eccezionalità che avrebbero potuto invece far propendere per la concessione di una simile attenuante. Inoltre, il CdS ha ritenuto che non fosse stato dimostrato che l’applicazione della sanzione alle Società avrebbe comportato la loro uscita dal mercato ed ha precisato che non potevano esser prese in considerazione le perdite di bilancio patite dalle Società negli ultimi esercizi ovvero la crisi generale di settore (aspetto che tuttavia l’AGCM ha di contro recentemente preso in considerazione in caso di intese anticoncorrenziali, applicando riduzioni del 50% e finanche dell’80% della sanzione imposta alle imprese coinvolte). Ed anche per quanto attiene le censure mosse in punto di mancata concessione di una attenuante per “ravvedimento operoso” e per aver attuato un “programma di compliance”, il CdS ha ritenuto da un lato che non fosse rilevante la mera cessazione di ogni forma di cooperazione anticompetitiva; dall’altro che le valutazioni per l’eventuale concessione di una attenuante in ragione dell’esistenza di un programma di compliance si estrinsecano in un “…giudizio causale ex post che valuti l’effettiva incidenza del programma sulla tutela della concorrenza…”, per cui le valutazioni svolte dall’AGCM dovevano ritenersi corrette.

Il CdS appare pertanto aver perso una buona occasione sia per indirizzare la conduzione dei procedimenti da parte dell’AGCM verso una maggiore coerenza con i principi contenuti nella legge 689/81, sia per garantire uniformità alla sua giurisprudenza in materia di rilevanza degli effetti della condotta nella valutazione della gravità dell’infrazione e quindi sulla determinazione della sanzione.

Cecilia Carli
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Energia / Giustizia amministrativa e incentivi per energie rinnovabili - Il TAR Lazio accoglie i ricorsi presentati dalle aziende agricole Ronchi Energy Farm e Fattorie San Prospero contro i provvedimenti del GSE di decadenza

Con le sentenze nn. 12690 e 12691 pubblicate lo scorso 27 dicembre, il TAR Lazio ha deciso di accogliere i due ricorsi presentati rispettivamente dalla Ronchi Energy Farm e Fattorie San Prospero (le Ricorrenti), entrambe titolari di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili ammessi al riconoscimento IAFR (ai sensi del DM 18 dicembre 2008). Per mezzo di tali impugnative le Ricorrenti impugnavano i diversi provvedimenti con cui il GSE, all’esito di alcune attività di verifiche effettuate, disponeva “la decadenza dagli incentivi con il recupero delle somme erogate”. Tale decisione veniva assunta facendo leva su un rapporto ARPA da cui sarebbero emerse diverse violazioni di alcune prescrizioni dettate, tra cui in sostanza (i) l’utilizzo di tipologie di biomasse differenti da quelle previste in progetto e autorizzate (quali quelle provenienti da produzioni extra-aziendali) e (ii) l’utilizzo di alcune materie e sostanze non previste nelle ricette approvate e il cui uso ha formato oggetto di diffida da parte dell’ente comunale.

Il ragionamento effettuato dal giudice di prime cure è incentrato sulla questione dell’effettiva sussistenza della condotta illecita contestata, in relazione alla quale le Ricorrenti, nel dedurre di aver sempre operato in conformità ai titoli autorizzativi, lamentano il difetto di “prove certe” sull’impiego di biomasse non assentite. In particolare, il TAR ha dapprima esaminato dettagliatamente le prescrizione autorizzative in questione, condividendo le tesi sostenute dalle Ricorrenti, tra cui l’insussistenza di un divieto di acquistare biomasse da soggetti terzi. Inoltre, il giudice ha ritenuto che il GSE non aveva adeguatamente confutato la doglianza relativa all’assenza, in tutti i verbali di ispezione sottesi ai rapporti ARPA, di un chiaro accertamento sull’effettivo impiego di biomasse non assentite a fini di produzione energetica, risultandone piuttosto attestata la mera presenza in loco. Sul punto, il GSE ha affermato che sarebbe spettato alle ricorrenti dimostrare che tali biomasse presenti sul sito venivano utilizzate per altro fine e che non sono state immesse nell’impianto e che i rapporti ARPA costituirebbero adeguata fonte di convincimento delle conclusioni recepite nell’atto finale. Il TAR sul punto ha ritenuto che “…l’onere di dare la prova del perfezionamento della “violazione rilevante” poi ascritta all[e] ricorrent[i] spettasse al Gestore e che quest’ultimo dovesse far riferimento proprio ai verbali di sopralluogo (più che ai rapporti) di Arpa, ossia gli unici atti che per ammissione della stessa Agenzia contengono le risultanze fattuali e tecnico-scientifiche rilevate nel momento specifico in cui viene svolto il sopralluogo stesso”.  In base a tali elementi, il TAR ha quindi concluso che il GSE non aveva pertanto offerto elementi idonei a far ritenere raggiunta la prova che le ricorrenti abbiano utilizzato biomasse non assentite per la produzione di energia.

Gloria Panaccione 
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Legal news / Antitrust ed economia digitale – I grandi operatori del settore dell’economia digitale sempre più nel mirino delle autorità antitrust nazionali

L’interesse delle autorità garanti della concorrenza nazionali al tema della c.d. economia digitale è sempre più forte. Seguendo quanto fatto dalle autorità della Germania e della Francia (che hanno pubblicato per prime, nel maggio 2016, un report congiunto sul rapporto tra il diritto della concorrenza e i big data), e l’indagine conoscitiva (iniziata qualche mese fa e attualmente in corso) dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), altre autorità nazionali hanno recentemente comunicato di voler avviare indagini nel settore dell’economia digitale (si pensi ad esempio all’autorità antitrust dell’Australia, che ha comunicato poche settimane fa di voler avviare un’indagine nei confronti di società quali Facebook e Google). Come è noto, le indagini settoriali e/o conoscitive hanno quale obiettivo quello di comprendere più nel dettaglio le possibile problematiche concorrenziali in un determinato settore e, frequentemente, costituiscono l’anticamera di veri e propri procedimenti istruttori nei confronti delle società attive in tali settori.

Peraltro, alcuni procedimenti istruttori sono già stati avviati: è del dicembre scorso la comunicazione da parte del Bundeskartellamt (l’autorità antitrust della Germania, l’Autorità) avente ad oggetto la lettera degli addebiti inviata a Facebook per un asserito abuso di posizione dominante. Nella documentazione esplicativa pubblicata dall’Autorità, prassi che in questa fase del procedimento antitrust è solitamente inusuale e che mostra come la tematica trattata sia di primario interesse (soprattutto per l’opinione pubblica), si contesta a Facebook di aver abusato della propria posizione dominante nel mercato dei social network in Germania, in particolare ponendo in essere una fattispecie di imposizioni di condizioni commerciali gravose, un sotto-tipo di “abuso di sfruttamento”. Il mercato rilevante individuato dall’Autorità sarebbe quello dei social networks in Germania, il quale avrebbe dimensione nazionale in quanto gli utenti tedeschi userebbero maggiormente i social networks per stare in contatto con persone all’interno della Germania. Dal punto di vista della struttura dell’offerta e del potere di mercato di cui godrebbe Facebook, nonostante siano attivi altri social networks in Germania, secondo l’Autorità non possono essere considerati prodotti sostituibili al servizio offerto dal social network di Facebook. Infatti, a causa dei c.d network effects (in base ai quali l’utilità che il consumatore trae da un prodotto –in questo caso un social network – dipende dal numero di persone che utilizzano lo stesso bene), la sostituibilità con altri social dalla caratteristiche simili (ma con un numero di utenti nettamente inferiore) è molto limitata. Inoltre, social networks professionali come Linkedin, app quali Snapchat e social media come Twitter non sono stati considerati parte del medesimo mercato, in quanto, dal punto di vista dell’utente, sarebbero prodotti complementari (e non sostituibili), senza tenere in alcun conto il tempo limitato che un utente ha che rende la complementarietà difficilmente concepibile. Il mercato in questione sarebbe altresì caratterizzato da alte barriere all’entrata, in quanto, sulla base dei citati network effects, gli utenti troverebbero particolarmente difficile spostarsi su altri social networks concorrenti. Tuttavia, anche in questo caso, l’Autorità sembrerebbe aver dimenticato che i dati forniti dagli utenti non sono mai forniti in esclusiva e che gli stessi dati di un singolo utente sono a disposizione di tutti i fornitori di servizi digitali.  Analogamente, il c.d. multi-homing (ossia la pratica da parte di un singolo utente di connettersi e utilizzare una pluralità, nel caso in parola, di social media, tutti facilmente ospitati sul medesimo smartphone), che potrebbe avere quale effetto quello di ridurre la concentrazione nel mercato, non è stato considerato sussistente dall’Autorità. Pertanto, Facebook deterrebbe una posizione di quasi monopolio, con quote di mercato (basate sul numero di utenti) superiori al 90%.

Passando all’asserita condotta abusiva, questa si sostanzierebbe nell’utilizzo iniquo (nei confronti degli utenti) da parte di Facebook dei propri termini e condizioni relativi alla raccolta e utilizzo dei dati degli utenti attraverso siti web e app di parti terze. L’Autorità distingue tra i dati raccolti su Facebook da quelli raccolti su siti o app di parti terze (inclusi Instagram e Whats’App, nonostante siano controllate da Facebook). In particolare, questi trasferiscono dati a Facebook tramite specifiche funzionalità quali, ad esempio, il bottone “mi piace” o l’opzione per registrarsi al sito con il proprio account Facebook. I dati così raccolti vengono uniti con i dati dell’account Facebook dell’utente anche nel caso in cui quest’ultimo abbia adottato misure volte a bloccare il web tracking sul proprio browser o dispositivo. Secondo la valutazione preliminare dell’Autorità, i termini e le condizioni di Facebook sul punto non sarebbero giustificate né alla luce delle norme in materia di protezione dei dati personali né di quelle a tutela della concorrenza.  L’effetto sugli utenti dell’asserita condotta abusiva di Facebook sarebbe la perdita di controllo dei propri dati. Accettando i termini e le condizioni di Facebook, gli utenti “…non sono più in grado di controllare come i propri dati personali vengono utilizzati…” (traduzione dall’inglese), rimanendo ignari su come i propri dati vengano utilizzati per le attività di profiling. In forza del già citato elevato potere di mercato di Facebook, secondo l’Autorità gli utenti non possono far altro che accettare tali termini.

Per avere una decisione finale sul caso in commento, uno dei primi ad avere ad oggetto il rapporto tra big data e diritto antitrust, bisognerà aspettare, come affermato dalla stessa Autorità,  l’estate del 2018. Nello stesso periodo dovrebbe concludere l’indagine conoscitiva avviata dall’AGCM la scorsa primavera e che in queste settimane vedrà la fase delle audizioni conoscitive.

Jacopo Pelucchi